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DREDGE | Recensione (PC) | A pesca in un arcipelago da incubo

Cosa succede quando si unisce l’immaginario sinistro e disturbante di H.P. Lovecraft a un gioco di simulazione di pesca? Probabilmente è con queste domande che gli sviluppatori di Black Salt Games e Team17 hanno realizzato DREDGE, un survival horror da vivere tutto in barca pescando qua e là in un arcipelago che nasconde tanti misteri e tante creature surreali.

Deve essere stato divertente cercare di trasformare la solita battuta di pesca rilassante di un qualsiasi simulatore in qualcosa da vivere con ansia, timore e curiosità. È proprio con questi sentimenti che ci si trova ad affrontare DREDGE fin dai primissimi minuti di gioco, sebbene come vedremo più avanti a volte queste emozioni sfoceranno anche in frustrazione e noia a causa di alcuni difetti del gameplay. Cerchiamo di parlarne meglio nei prossimi paragrafi.

Un Posto al Sole

Senza tante cerimonie né approfondimenti sulla backstory del nostro anonimo personaggio, ci ritroviamo improvvisamente in un misterioso arcipelago, e va benissimo così: dopo essere stati “accolti” (si fa per dire) dal Sindaco della ridente cittadina portuale di Midolla Maggiore ci ritroveremo immediatamente catapultati su un gozzo malandato in veste di pescatori, e da lì in poi comincerà una escalation di incontri con personaggi strani, pesci mutaforma, bestie abissali, uccellacci malefici e nebbie assassine.

DREDGE ce la mette tutta a buttare in faccia al giocatore continui riferimenti Lovecraftiani o comunque risalenti a un immaginario da incubo, e a dipingere questa ambientazione ci riesce davvero benissimo. Non ci sono jumpscare o momenti di paura, ma l’arcipelago degli anni ’30 raccontato dagli abitanti (umani e marini) e dal gameplay contribuiscono comunque a creare un’atmosfera generale surreale e disturbante, da vivere ugualmente con curiosità per la storia e ansia per la notte.

Il mondo di DREDGE infatti offre diverse opportunità e pericoli a seconda dell’altezza del sole, con la notte a rappresentare il momento sicuramente più pericoloso. A partire dalle 19, oltre a oscurarsi il cielo, cala una fitta nebbia che riduce di molto la visibilità, mentre strane luci e altrettanto strane creature cominciano a muoversi nell’ignoto. I paesaggi pittoreschi e misteriosi del giorno diventano improvvisamente incubi a occhi aperti da cui scappare a vele spiegate.

Certo, converrebbe andare in giro di giorno direste voi… Ma ci sono diverse attività che possono essere svolte solo nelle ore notturne, ci sono creature che si trovano solo nell’oscurità e ci sono viaggi che non possono essere fatti nell’arco delle poche ore di luce a disposizione. La velocità con cui il tempo scorre, in effetti, contribuisce al carico di ansia e preoccupazione per i pericoli sotto le onde.

La paura dell’ignoto e la ricerca di indizi sulla storia di questo arcipelago navigano in coppia in una progressione di gioco volta proprio alla scoperta e all’esplorazione, peccato però che alcune iterazioni di gameplay inficino proprio sulla naturale curiosità del giocatore.

Pesciolini lovecraftiani per combattere la noia

In DREDGE quindi il giocatore si ritrova sospinto dalla curiosità per le storie che i bizzarri personaggi dell’Arcipelago raccontano e per l’esplorazione delle diverse isolette, dall’altro lato invece è intimorito dallo scorrere del tempo, dalla ristrettezza dell’inventario e dalla scarsa visibilità notturna. Questo mix funziona finché però non ci si scontra prepotentemente con una forte ripetitività di fondo del gioco.

Per quanto il team di Black Salt Games sia riuscito a creare una varietà ragionevole di creature da pescare con annesse mutazioni horror, a fornire un buon numero di minigiochi di pesca e a rendere il riempimento dell’inventario un puzzle game simpatico, le attività cominceranno presto a diventare noiose a causa del rapido scorrere del tempo e, soprattutto, a causa della carente povertà di offerta di missioni.

Il maggior difetto di DREDGE è infatti costituito dalla massiccia presenza di fetch quest tutte uguali: vai dal punto A al punto B, porta un oggetto dal punto B al punto C, porta una persona dal punto C al punto A, e così via all’infinito. È un vero peccato che il giocatore venga lasciato annegare in questo mulinello di ripetizioni dato il grandissimo potenziale dell’ambientazione e della lore, e dato l’impegno che traspare dalle tante meccaniche di gioco che sono state inserite.

Al di là delle varietà notturne e diurne di creature incontrabili o pescabili, ci sono diversi strumenti con cui catturare animali e mostriciattoli marini, ci sono canne e reti specifiche che vanno poste in slot determinati dell’inventario condizionando in questa maniera il suo riempimento, ci sono oggetti recuperabili dai fondali marini, ci sono espansioni e potenziamenti per l’imbarcazione e ci sono perfino abilità utili da utilizzare nei momenti più opportuni.

In altre parole, per gameplay e ambientazione DREDGE esprime un grandissimo potenziale, ma il tutto viene pericolosamente soffocato dalla ripetitività del sistema di missioni e della progressione temporale. Un vero peccato anche per la grafica idilliaca di giorno ma desatura di notte, le illustrazioni dei personaggi strambi e dei pesci, nonché i suoni ambientali in tema, sarebbero stati una ciliegina su una torta altrimenti impeccabile.

Misteri in mare

Ci sono tanti momenti di stupore misto a timore in DREDGE per la sua fascinosa atmosfera lovecraftiana tutta da vivere in barca in compagnia delle onde e della puzza di pesce che marcisce nella stiva. L’egregio lavoro svolto sulla lore, sulla caratterizzazione di creature, ambientazioni e personaggi, nonché sul gameplay divertente arricchito di minigiochi di pesca e concezione puzzle dell’inventario, sono tuttavia sommersi da un mare di ripetitività scaturita da una progressione del tempo troppo rapida e, soprattutto, da una scarsa varietà delle missioni. Tutto sommato, DREDGE è un videogioco indie simpatico e interessante che vi consigliamo caldamente di provare, a patto di spizzicare il suo gameplay per brevi sessioni in modo da mantenere intatta la sua patina di mistero e inquietudine.

This post was published on 11 Aprile 2023 19:30

Alessandro Colantonio

Game designer in erba e chitarrista a tempo perso. Nasce all'ombra del Vesuvio nel 1991, muove i suoi primi passi nel mondo dei videogiochi su un Windows 95 all'età di 5 anni, e diventa presto un Allenatore di Pokémon. Bazzica tra radio web e band durante i suoi studi universitari tra Napoli, Roma e Milano, si parcheggia nella fan-community di Pokémon Milennium dove instaura il suo regime dittatoriale da caporedattore, costruendo una macchina da recensioni e contatti e diventando inconsapevolmente PR. Oggi, oltre a prestare le sue dita a Player.it per articoli, recensioni e approfondimenti, figura anche come streamer di Twtich, content creator di TikTok e PR abusivo. I suoi generi preferiti sono i gestionali, gli strategici, i tattici e i GDR. Ma essendo un accumulatore seriale di videogiochi, cerca sempre di giocare ogni titolo che gli capita sotto mano. Ha una perversione per le pratiche fandom, i cani e la birra artigianale. Adora D&D, va in ira e carica.

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