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Recensioni

Have a Nice Death | Mors Mea, Burnout Tua | Recensione (PC)

Bona mors est homini, vitae quae extinguit mala

Con questo breve e sintetico brocardo, il drammaturgo romano Publilio Siro, esprimeva la sua idea di cosa fosse la morte. Traducendo alla buona, la frase diventa vascello di un concetto tanto scontato quanto crudele, cioè che la morte è un bene per l’uomo, in quanto estingue tutti i mali della vita.

Siro non era certo l’unico che in epoca romana imperiale, si era interrogato sui concetti di vita e morte. Un nome decisamente più noto ai più, Lucio Anneo Seneca, nel suo De Brevitate Vitae, si interrogava sui concetti di vita e morte, ponendo l’accento su una questione diversa da quella di Siro ma in un certo senso, complementare.

Seneca scriveva infatti:

Vivere tota vita discendum est et, quod magis fortasse miraberis, tota vita discendum est mori.

Il filosofo e scrittore, voleva esprimere con questa frase, il concetto per cui è necessaria “tutta la vita per imparare a vivere” specificando però come, nonostante la quasi paradossale affermazione, “ci vuole tutta la vita per imparare a morire.”

Il concetto di morte, sia come strumento, come mezzo, come fine, come porto franco, come punto finale della vita o come nuovo inizio, viene approfondito da millenni da pensatori che si arrovellano per cercare di dare unitarietà ad un pensiero tanto spaventoso quanto inevitabile. L’unica cosa certa, come direbbero alcuni.

Alcune culture, si sono però divertite a personificare la Morte, rendendola un’entità tangibile di un panteon di creature sgangherate. Dai greci che annoveravano Tanatòs tra le divinità nemiche dell’umanità, stabile presenza nel Tartaro, passando per la tradizione giudaico-cristiana con la presenza del cosiddetto “Angelo del Signore” descritto nell’Apocalisse, pronto a compierne la volontà, per arrivare all’iconografia più nota nella tradizione europea: il cupo mietitore, scheletrico figuro al di sopra delle parti, che con una cappa nera e una falce aguzza, miete le anime degli uomini sulla terra.

Personificare una situazione a cavallo tra ciò che è e ciò che non sarà più tuttavia, significa attribuirle un ulteriore grado di tangibilità.

Se è vero, come affermava Siro, che la morte è il sollievo per gli uomini che impiegano, come scriveva Seneca, tutta una vita per imparare a morire, assimilando il concetto di inevitabilità, come potrebbe comportarsi la Morte, resa entità tangibile, davanti all’inevitabilità di se stessa?

Da premesse sicuramente meno arzigogolate ma che mirano proprio a questo interrogativo, parte l’idea alla base di Have A Nice Death.

Have A Nice Death è il nuovo lavoro di Magic Design Studios, studio indie francese composto, in parte, da ex membri della sede francese di Ubisoft. Lo studio aveva fatto parlare di sé già nel 2019, quando pubblicarono il loro primo titolo, Unruly Heroes.

Si trattava di un adventure game 2D con enigmi e combattimenti, a scorrimento laterale, artisticamente incredibile, basato sul classico della letteratura cinese Il Viaggio in Occidente. Ai tempi, il gioco fu accolto molto bene dalla critica, che lo inondò di voti positivi, grazie ad un sistema di combattimento intuitivo e veloce, un altrettanto gradevole sistema di progressione e un setting artisticamente notevole.

E invece, Have A Nice Death, cos’è?

Welcome to the Afterlife

Sfinita

Have A Nice Death è un titolo che in tanti attendevano. Si tratta di un hack n slash rogue-lite in 2D, in cui interpreteremo un personaggio d’eccezione: la Morte.

Proprio così, interpreteremo la Morte, il tristo mietitore, la vecchia signora, la nera mietitrice. Ma una cosa che impareremo sin da subito, è di come questo titolo ami disattendere le aspettative. Ed è così che ci ritroveremo, si, a giocare nei panni di Morte ma la troveremo decisamente diversa da quella che ci figuriamo.

La Morte in Have A Nice Death è una figura tragica, patetica, stanca della sua monotona esistenza fatta di uccisioni, che decide di dedicarsi alla vita aziendale. Fonda così la Death Inc. una società che si occuperà di mietere le anime mortali e portarle nell’oltretomba. Esattamente il compito che prima, era Morte stessa ad addossarsi.

Un proverbio tradizionale però, nonché titolo di una commedia brillante in tre atti di Giuseppe Giacosa, recita che “chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa cosa lascia ma non sa cosa trova”. E Morte imparerà sulle sue ossa, cosa sia il rimpianto.

La sua (non)vita inizia quindi ad essere una noiosa routine d’ufficio, tra una pila di scartoffie e l’altra, con le braccia stanche a forza di firmare autorizzazioni e mettere timbri. Il suo spirito che piano piano la abbandona, i suoi impiegati che vedendola debole iniziano a fare il buono e il cattivo tempo nell’azienda. Non proprio una situazione piacevole per colei che tutto poteva.

Sospinta da un moto d’orgoglio, Morte deciderà di riprendere le redini della sua azienda. Così, indosserà la cappa che pensava appesa ad un eterno chiodo e affilerà la falce. Inizierà così la sua scalata tra i piani dell’aldilà, in cui la sua autorità viene messa in dubbio dalle Sofferenze, entità a cui lei stessa aveva delegato la mietitura delle anime.

Verremo quindi immersi immediatamente in una narrativa corrotta, composta da ambientazioni putrescenti, personaggi ridicoli e spaventosi e tanta voglia di rivalsa. Si respirerà un mood simile a quello dato da personaggi del piccolo e grande schermo come La Famiglia Addams, un umorismo corrotto, per cui scherzare su e con la Morte è non solo accettato ma necessario.

Respireremo quelle note alla Tim Burton, con quella tipica narrazione così tanto fuori dal tempo da risultare godibile in ogni istante, con presenze inquietanti che magari non vogliono altro che un giorno in più libero a lavoro o una semplice scarpa, perduta chissà dove.

La Death Inc. diventerà ben presto, la nostra casa. Ameremo muoverci tra quei corridoi, addobbarli per renderli adatti al tema del periodo, che si tratti di Halloween o Natale. Impareremo a conoscere ed amare ogni dipendente della società, conoscendone la vita, il motivo della sua presenza nell’oltretomba, passioni e follie.

Non è un titolo che fa della narrativa un punto fondamentale: viene messa in scena una narrazione molto criptica, in cui si cercano di ricostruire più che altro dinamiche aziendali in chiave comica, adattando il tutto all’ambiente più improbabile da associare all’idea d’ufficio.

Tuttavia, se tra una partita e l’altra, avremo la voglia di fermarci ad ascoltare i nostri dipendenti, riusciremo a ricevere molto più che semplici frasi di cortesia. Risulta incredibile infatti, la mole di frasi uniche e dialoghi che aiuteranno a rendere ogni situazione vera, nuova, imprevedibile, facendoci sentire veramente immersi in quello che ci viene raccontato, facendoci percepire la responsabilità del portare avanti la baracca e del dover, ancora, dimostrare qualcosa.

Burnout, la morte in vita

Decisamente sfinita

In Have A Nice Death, quando si viene sconfitti, non si muore.
È abbastanza normale in fondo visto che siamo noi ad essere la Morte.
Ma se la punizione per la sconfitta non è la morte, cosa potrà mai essere?

Have A Nice Death ci presenta una pletora di situazioni assurde, ridicole ed estremamente divertenti, in grado di strappare più di un sorriso, grazie ad un umorismo spesso ricercato e settoriale. Pensiamo ad esempio ad un impiegato, Patrick Thuggins che decide di firmarsi P.T. dicendo che “qualcuno sicuramente capirà”, facendo una chiara allusione alla demo sviluppata anni fa da Kojima Productions, per un gioco che poi non verrà mai realizzato. O solo io ci ho visto questo?

Il punto è che, dietro ad un mix di situazioni paradossali e assurde, si cela il vero motivo che ha spinto Morte a prendere una strada che le da insoddisfazione su più livelli e che non le permette di splendere come non ha mai spl…sples… brillato.

Ogni volta che durante una run, verremo sconfitti, arrivando a zero punti vita, comparirà la scritta “burnout”.

Il burnout è una sindrome, riconosciuta come tale da non molti anni, che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) deriva da stress cronico, associato maggiormente a contesti lavorativi o para-lavorativi. In italiano, il termine può venir tradotto con “esaurimento” ed è una condizione che può presentarsi in chiunque si trovi sottoposto a forti situazioni di stress, a prescindere da età o tipo di lavoro.

La Morte ne è afflitta. Il personaggio che ci troveremo a giocare infatti, avrà si, quel piglio giocoso e ironico, dato anche dallo stile animato che ricorda tanto i tempi d’oro di Cartoon Network, ma si porterà dietro l’onta di un esaurimento nervoso che non le permetterà di affrontare con tranquillità il mestiere più vecchio del mondo, il suo.

Il gioco, sin dalla prima schermata, ci tiene a chiarire come situazioni di burnout non siano da sottovalutare e che, nel caso in cui ci si riconosca in alcune sensazioni che il gioco descrive o nel caso queste situazioni ci evochino pensieri poco carini, sarebbe auspicabile rivolgerci a degli specialisti.

Facendo una piccola digressione, personalissima, posso dire di aver trovato questo aspetto di Have A Nice Death, incredibilmente attuale e in grado di parlare veramente col proprio pubblico di riferimento. Ragazzi e ragazze come me, figlie di un’epoca incerta, sopraffatti dalle aspettative e che molte volte, semplicemente, non ce la fanno più.

La Morte, che in molte culture è un’entità maligna o, al massimo, neutrale, qui appare come la figura più umana dell’opera di Magic Design Studios. Approfondire un tema così delicato, che tocca più persone di quante si pensi, illudendo di trovarsi all’interno di un’opera comica è l’emblema di quel disattendere, con cui Have A Nice Death accompagna il giocatore.

Ma il gioco in sé, com’è?

Gameplay

La Morte con un cannone? Ok

Proprio come accade in gioco, il giudizio sul gameplay procederà gradualmente, dal parere meno tecnico ad un’analisi più profonda delle meccaniche, di ciò che funziona e di ciò che andrebbe rivisto.

Parere totalmente atecnico ma essenziale: Have A Nice Death è estremamente divertente. Divertente da morire. Chiedo scusa, non avevo ancora fatto giochi di parole sulla morte.

Il gioco, come detto, si propone come un hack n slash rogue-lite in 2D. La tipologia di gameplay quindi, è già nota sia ai fan dello studio francese, che già in Unruly Heroes hanno potuto vedere il punto di partenza di quello che poi viene espresso da Have A Nice Death.

Il gameplay riesce a divertire grazie al funzionamento sinergico di diversi fattori: prima di tutto, ogni azione è estremamente veloce. Ci si può gettare nel mezzo dell’azione senza stare troppo a pensare, grazie anche alla semplicità di approccio del titolo.

La nostra arma principale sarà la falce, in tutte le derivazioni che potrebbe assumere man mano che progrediamo col gioco. Il gameplay consiste nell’avanzare all’interno dei piani, lottando a scudisciate di falce e incantesimi (che vedremo tra un attimo). Tuttavia, il rischio più grande che si corre con un titolo come questo, è di far diventare tutto un button mashing selvaggio, senza stare troppo a pensare.

Basterà infatti premere un tasto, quello della falce appunto, per avere quasi tutto quello che ci serve a livello offensivo. E per quanto la cosa non sia necessariamente un male, è innegabile che la varietà rischia di subire delle botte d’arresto. Un’alternativa potrebbe essere, spartire meglio le combo iniziali, magari assegnandole a combinazioni di un paio di tasti, così da rendere minimamente più tecnico e profondo il combat system.

Tuttavia, il gioco compensa molto bene, non facendo mai percepire la noia e concentrandosi sui tempismi delle schivate e sullo sfruttamento dei frame di invicinbilità, per evitare di fare una brutta fine. E qui si arriva al secondo punto dolente del gameplay, i danni.

Se è vero infatti che il button mashing rischia di rendere tutto molto più semplice di quanto un appassionato del genere desideri, è anche vero che il gioco cerca di compensare in una maniera alquanto fastidiosa: i nemici avranno output di danno esagerati.

Se già i nemici base ci sembreranno fastidiosi, specialmente quelli volanti, i boss potrebbero rappresentare più di un problema. Capiamoci, chi scrive non solo ha esperienza con giochi difficili ma li ricerca e li ammira. Tuttavia, Have A Nice Death non propone sfide difficili ma squilibrate.

Diverse boss fight infatti infliggono danni elevatissimi in lassi di tempo che non ne rendono nemmeno possibile lo studio. Ciò comporta delle sequenze in cui si dovranno affrontare sempre gli stessi piani, cercando di raggiungere il boss, per poi affrontarlo senza capire bene hitbox dei colpi e tattiche migliori, per morire qualche istante dopo, finché dopo un buon numero di tentativi non riusciremo a capire i tempismi.

Questo non è divertimento, questo è lavoro.
Coerente con la narrazione del gioco, per carità, ma non è detto che sia ciò che funziona al meglio in un contesto ludico.

Cosa deve avere un rogue lite

Piovono polpette

A ciò si aggiunge la difficoltà nel curarsi. Quando verremo colpiti, oltre a visualizzare la barra della vita che cala, vedremo un’ulteriore barra di colore grigio che rappresenterà il massimo della vita che possiamo recuperare con una cura. Le cure sono chiamate Anima.

Per ripristinare invece la salute oltre alla barra grigia, serviranno delle cure dette “Pure”. Tuttavia, ottenere le cure in gioco è quanto di più casuale e complicato ci sia. Vi è la possibilità che per intere run, non ne vediate nemmeno l’ombra, per poi trovarne a iosa qualche run dopo.

La sua natura “rogue” è sicuramente garanzia di casualità ma i capostipiti del genere, ci hanno ben insegnato negli anni cosa significhi casualità e come va applicata. Prendiamo ad esempio The Binding Of Isaac. In TBOI il giocatore viene sottoposto a sfide proibitive, spietate in certi frangenti, claustrofobiche. Ma se penso a quanti modi diversi esistono in TBOI per curarsi, faccio notte ad elencarli.

Questo perché, Isaac è pensato si per essere casuale, ma in un modo tale che, a meno di una run catastrofica fatta di soli fagioli, gli oggetti riusciranno a creare una certa sinergia tra di loro, utile a bilanciare l’esperienza del giocatore.

Prendiamo Hades invece.
Hades presenta una struttura molto diversa di Isaac, per molti fattori. La casualità è presente ma in maniera molto meno preponderante, dato che è anche basato sulla costruzione di una build prima di iniziare i vari tentativi di fuga. Tuttavia, con Isaac condivide la quantità di potenziamenti, utili a bilanciare l’esperienza. E anche in Hades, i modi per curarsi sono veramente tanti, dalle cure dirette al rubare vita agli avversari, prendere vita ogni volta che si entra in una stanza o ogni volta che si uccide un nemico.

In Have A Nice Death, oltre a sparute alternative quasi totalmente ininfluenti parlando di bilanciamento del gioco, come ad esempio trovare in giro delle fiale che ci fanno assorbire i punti vita dai nemici colpiti per un brevissimo periodo e agendo soltanto sulla barra grigia (vita recuperabile normalmente) e non sulla barra bianca (vita totale), le strade offerte al giocatore sono poche.

Certo è però che, seguendo molto il modello di Hades, il gioco propone un’enorme varietà negli armamenti utilizzabili, ognuno con un moveset diverso che comporta modi diversi di affrontare i piani e di prepararsi alla battaglia. Sarà infatti possibile provare tutte le armi prima di iniziare a giocare, così da inquadrare lo stile che fa più al caso nostro.

Potreste scoprirvi amanti della velocità e preferire la falce filante o cercherete la forza bruta con le doppia falce?

Le maledizioni e altri potenziamenti

Dai, ce n’è di roba

A cercare di dare varietà al gameplay, ci pensano le maledizioni.
Si tratta di potenziamenti passivi, che possono coprire ad una gamma di opzioni non così vasta. Si va dall’aumento della difesa all’aumento del danno, fino alla vita o al mana massimo. Nulla di troppo originale.

Dalla nostra esperienza, risulta alquanto ostico dare vita a combinazioni un minimo interessanti. Nonostante tutti i potenziamenti che è possibile trovare in una run, il gioco rimarrà sempre perfettamente bilanciato, senza arrivare mai a sentirsi imbattibili. Tuttalpiù, anche dopo ore di gioco, si continuerà a vivere nell’inquietudine della sconfitta.

E per cercare di arginare il button mashing, il team utilizza la cappa. Tramite questa potremo acquisire abilità uniche, che richiederanno il mana per essere utilizzate. Non tutte si rivelano molto utili o efficaci, anche se sicuramente molte riescono a dare una bella sferzata d’aria fresca a un gameplay che rischia la ripetitività.

Si riesce quindi a notare la volontà di creare qualcosa che duri nel tempo. Non sarebbe strano vedere delle rivoluzioni di gameplay con qualche prossimo aggiornamento, come successo a colleghi illustri del mondo rogue-like (The Binding Of Isaac stesso, sin dalla sua prima uscita, ha subito aggiornamenti che hanno cambiato radicalmente molte meccaniche di gioco).

La speranza è l’ultima a morire (secondo gioco di parole).

Arte e prestazioni

Welcome to the Afterlifeeeee

A livello prestazionale, il gioco non delude.
Non si tratta di un gioco che richiede performance incredibili per essere goduto, tuttavia è gradevole notare la cura che è stata messa nel rendere il titolo stabile, evitando cali di frame fastidiosi che potrebbero creare non pochi problemi, vista la frenesia richiesta dalle battaglie.

Have A Nice Death rimane granitico anche quando la quantità di nemici a schermo aumento vertiginosamente, o quando ci ritroviamo ad usare oggetti che provocano esplosioni e particellari che vagano per tutto lo schermo.

Altro lato che lascia assolutamente impressionati è quello artistico.
Have A Nice Death infatti, ha sfondi e personaggi interamente disegnati a mano. Tramite la tecnica di fini artisti digitali, si è arrivati alla creazione di personaggi dalle forme più strane e complesse, con delle idee di design che trovano forse la massima espressione nella rappresentazione delle Sofferenze.

Senza svelare troppo, diciamo solo che Waldo è stata la sorpresa più inaspettata e gradita.

Nonostante anche gli sfondi, ad un primo impatto, colpiscano molto l’occhio del giocatore, facendo notare anche un’evoluzione importante rispetto ad Unruly Heroes, si ha l’impressione che il filtro scuro ed opaco che ammanta tutto il gioco, serva un po’ a mascherare la ripetitività visiva che si ha dopo qualche ora di gioco.

Ogni piano è caratterizzato da uno stile a sé, in linea col tema della Sofferenza che domina quel piano. Le potenzialità sono quindi incredibili. Tuttavia, sono state poche le idee visive che ci hanno effettivamente fatto notare un cambiamento di marcia e di tema tra un piano e l’altro. Fin troppo spesso, ci si affida quasi soltanto a cambi di palette cromatica.

Ma aldilà di critiche da pelo nell’uovo, il gioco rimane artisticamente valido con delle idee veramente interessanti, specialmente nella rappresentazione grafica degli NPC, tutti così adorabili eppure estremamente raccapriccianti.

Il titolo può essere completato in una decina di ore, nel caso si opti per giocare a testa bassa la campagna senza perdersi in chiacchiere inutili. Se si cede alla sperimentazione di armi e potenziamenti, la longevità aumenta, senza contare il fatto che è un titolo basato sulla rigiocabilità, cosa che potrebbe portare a passare tranquillamente quelle trenta o quaranta ore alla ricerca di nuove vittime per la nostra falce.

Conclusioni

Have A Nice Death si propone come un porto sicuro per tutti gli amanti dei rogue-lite, sulla falsa riga di Hades. Non è un titolo che vuole inventare qualcosa di nuovo o che vuole emozionare con meccaniche mai viste prima. Il cuore del gioco è la continua ricerca di bilanciamento tra un’esperienza divertente pad alla mano e un bombardamento continuo di umorismo corrotto, in un ambiente così tanto improbabile eppure così familiare. Oltre al lato gameplay, che presenta delle pecche ma che nel complesso, riesce ad essere estremamente intrattenente, è apprezzabile anche il trattamento riservato ad alcune tematiche, che in questo titolo trovano una veste inedita. Anche dopo la recensione, continueremo a giocare ad Have A Nice Death… finché Morte non ci separi (terzo gioco di parole).

This post was published on 26 Marzo 2023 12:30

Pietro Falzone

Redattore Appassionato di videogiochi sin dal sempre più lontano 2002, quando per festeggiare i 5 anni ricevette una copia di Crash Bandicoot per la prima PlayStation. Il richiamo dell'avventura digitale lo fece innamorare di un mondo fatto di pixel, più o meno definiti. E l'amore non si è mai fermato. Inizia così a tastare tutti gli aspetti del mondo videoludico. Tra le sue più grandi passioni, si piazzano in ordine gli MMORPG (con sempre meno per giocarli, purtroppo), gli sparatutto in prima persona e, doprattutto, giochi di ruolo single player. Così si spiegano le più di mille ore, spalmate sui vari titoli From Software, da Demon's Souls in poi. Dalla fine delle medie, scopre una nuova passione: la scrittura. E come se non bastasse, scopre che nel mondo c'è chi scrive riguardo ai videogiochi, come se fosse un lavoro vero. Cosa fare di due passioni del genere dunque? Inizia così la ricerca disperata del giusto vascello, che riuscisse a convogliare voglia di fare, idee e tempo. Dopo un periodo passato a peregrinare, tra siti e sitarelli, approda su Player.it dove trova una casa in cui convogliare idee e spunti, al fianco di un team solido e costruttivo.

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