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Recensioni

Pharaoh: A New Era | Recensione (PC) | Una mastaba con qualche crepa di troppo

A cavallo del nuovo millennio il mondo dei videogiochi era in pieno boom creativo, un rinascimento artistico apice della rinascita cominciata dalla grande crisi del 1983. Dalla corsa all’innovazione tecnica e artistica molti generi presero il volo, ponendo la prima pietra per quella che diventerà l’industria videoludica moderna.

Ma si sa, ogni rivoluzione ha le sue vittime, e anche quella videoludica non fece eccezioni. Tra quelle illustri si arrovellò il genere dei city builder a tema storico, un tipo di gioco strategico isometrico che sarà d’ispirazione per la nascita di altri gestionali a tema storico come Civilization ed Europa Universalis, ma che non vedrà mai più la luce che vide alla fine degli anni 90.

Nonostante la caduta ed il relativo poco tempo di vita, gli strategici isometrici furono un discreto successo commerciale, e col tempo sono diventati dei veri e propri giochi cult al pari dei grandi classici come Monkey Island o Wonder Boy.

In particolare una serie è rimasta nel cuore a tutti, soprattutto in Italia, quella che poi darà il nome al genere stesso: la serie city-building prodotta da Sierra Entertainment, in cui facevano capolino giochi come Caesar III, Zeus, e Pharaoh.

Dopo oltre due decenni di oblio e silenzio, proprio il gioco dedicato al mondo dei Faraoni è stato ripreso in mano dai ragazzi di Triskell Interactive, una coppia di sviluppatori francesi molto promettenti, i quali hanno finalmente pubblicato, dopo oltre un anno dall’annuncio, un remake chiamato “Pharaoh: A New Era”.

Ogni gioco che si rispetti deve avere uno splash screen epico e dinamico, right?

Disclaimer emotivo

Ammetto che quando la remastered di Pharaoh è stata annunciata ho avuto un sussulto al cuore. Per me Pharaoh è il gioco dell’infanzia insieme a Imperium Galactica e pochi altri, ed è stato il primo gioco che ho comprato su GOG anni e anni fa. Ci ho sempre giocato a tempo perso da quando ho un computer, e nonostante i difetti e l’invecchiamento non eccellente ha avuto spesso un posto nel mio desktop dai 14 anni a oggi.

Essendo io non particolarmente amante delle remastered (per usare un eufemismo), ho avuto il terrore di cosa avrebbe potuto fare un duo con poca esperienza con un titolo del genere in mano. Dall’altro lato però, l’occasione di ripartire da capo, con un gioco nuovo, pulito, risistemato e ammodernato mi faceva gola. Contrariamente alle mie abitudini, per Pharaoh: A New Era ho seguito scrupolosamente lo sviluppo, leggendomi ogni dev-diary e seguendo persino le live Twitch in cui disegnavano i monumenti. Sono arrivato alla review carico di aspettative ma anche con un grosso magone.

Questa città avrebbe decisamente bisogno di più grattacieli. Fonte: Steam

Dove eravamo rimasti – Riassunto per i diversamente anziani

Prima di districarci tra meriti e demeriti di questa golosa remastered, ho pensato che potesse essere utile fare un breve riassunto sul gioco originale e sul mondo dei city builder isometrici in generale, a favore di quelli che nel 2000 ancora non avevano un computer.

A metà degli anni novanta prese piede un genere che come abbiamo già sottolineato viene definito dei “city-builder storici isometrici”, una classificazione per tag più che un vero nome di genere videoludico, ma che descrive perfettamente di cosa trattavano questi giochi.

Il fulcro di base era sempre lo stesso: partendo da una griglia 2d e un gioco in visuale isometrica, il giocatore doveva procedere alla costruzione di una città, preoccupandosi di qualsiasi aspetto possibile.

I giochi infatti contemplavano elementi come commercio, salute pubblica, intrattenimento, fede religiosa, e persino guerre con altri paesi. La costruzione della città richiedeva dunque una attenta pianificazione, per evitare che elementi non previsti potessero distruggere il lavoro fatto. Tutto ciò veniva arricchito con un tema storico, il quale dava la base al gioco non solo in termini grafici, ma anche di contenuti.

Le campagne infatti, modalità centrali del gioco, venivano costruite seguendo la storia del popolo rappresentato in quella edizione. Se può sembrare facile, sappiate che non lo era. Ogni mappa di ogni gioco aveva le sue caratteristiche e le sue sfide, partendo dagli animali selvaggi che uccidevano i cittadini incauti, passando per montagne, fiumi difficili da attraversare, e luoghi aridi dove non si poteva coltivare. Di problemi se ne trovavano in ogni angolo, e rendevano il gioco vario e affascinante. Certo, alla lunga il gameplay risultava stantio e ripetitivo nonostante l’impegno degli sviluppatori, ma stiamo comunque parlando di un genere nato 30 anni or sono. Cerchiamo di avere prospettiva.

Tre mastabe e parco pubblico. Così si costruisce! Fonte: Steam

Bentornati nel deserto

A livello di gameplay Pharaoh: A New Era non si discosta per nulla dall’originale, complice anche la sua natura di remake. Le meccaniche di gioco sono le stesse con l’unica eccezione del combattimento: se nella vecchia versione l’invasione di un esercito nemico veniva visualizzata direttamente nella mappa di gioco ed era un evento real time, ora gli scontri militari avvengono all’interno di una finestra di pop-up e sono gestiti dal computer.

Il motivo è abbastanza semplice da spiegare: nell’originale, se il tuo esercito veniva sconfitto allora i nemici distruggevano la città intera, completamente. Ora quando si perde uno scontro militare si perdono deben (la moneta egizia) e alcuni edifici vengono rasi al suolo. Sicuramente un brutto colpo, ok, ma almeno non qualcosa che obbliga il giocatore a ricominciare da capo.
Non tutti gli utenti sono stati felici di questa scelta e gli sviluppatori hanno già annunciato che rivedranno il sistema, ma personalmente spererei più in una evoluzione di questo che un ritorno al passato.

Una battaglia molto ben bilanciata…..

Una cosa che ho particolarmente apprezzato è stata la personalizzazione dell’esperienza di gioco entro un certo grado. Per esempio, è possibile disabilitare elementi di disturbo come gli animali predatori o stabilire dei valori di default per quali merci vengono accettate da bazar e depositi. Sono state introdotte anche due nuove possibilità per quello che riguarda la forza lavoro, ovvero la distribuzione dell’impiego dei propri cittadini.

Il gioco di default calcola una sorta di età media e non fa lavorare la popolazione giovane o anziana, una piccola aggiunta che rende la gestione del lavoro molto più profonda. Similmente, è possibile scegliere se utilizzare il sistema di default in cui i lavoratori vengono reclutati in prossimità delle loro abitazioni, o se avere un più semplificato pool globale di lavoratori indipendente dalla densità abitativa.

Piccoli accorgimenti insomma, ma che rendono l’esperienza personalizzabile quanto basta.

Menù di personalizzazione. Utile

Colori al potere

Un discorso simile a quello precedente si può fare anche per il comparto grafico. Il lavoro artistico è di primissimo livello, e lo si era intuito già dalle live su Twitch che erano state fatte negli anni passati. Ma nell’insieme sembra tutto più vivo, più dinamico, più moderno, anche se nel suo cuore il gioco è identico a quello passato. Le live avevano mostrato il design di alcuni monumenti ed i vari passaggi nella loro ricostruzione, ma non si era visto molto dell’insieme, e ammetto felice che il gioco ha proprio le stesso vibe che ricordavo, ma che ora ha una complessità e attenzioen al dettaglio degna del nuovo millennio.

Le nuvole dinamiche che passano e generano ombre sono roba di altissima scuola.

Le personalizzazioni per quello che riguarda le sprite dei monumenti in confronto all’originale sono nulle, ma i menù in game sono stati completamente rivisti, per posizione, design e categorizzazione. Il menù di costruzione a scomparsa è un enorme passo avanti che mi fa cospargere il capo di cenere, visto che lo avevo tanto criticato sul NOSTRO CANALE TELEGRAM quando giocai la demo. Invece col tempo lo sto amando, così come sto amando le nuove schede dei vari advisor e le heat map dello stato della città.

Le feature del gioco sono le stesse, non è cambiato nulla, ma questa nuova interfaccia è moderna, semplice ed intuitiva. Applausi.

Anche le altre schermate sono state completamente riviste, e in meglio.
I menù sono chiari (anche se qualche standard in più poteva fare comodo nella gestione dell’avanti-indietro e nella selezione), e un menù iniziale fresco e d’effetto, quasi da cartone animato (moderno eh, mica Papyrus e i misteri del Nilo). I pannelli che introducono le nuove meccaniche durante i tutorial hanno subito un piccolo restyling che li ha resi tutti delle stesse dimensioni. Ho speso così tanto tempo col Pharaoh originale che ogni volta provavo a scrollare per abitudine, fallendo miseramente.

Non ogni città nasce metropoli…..

Un ultimo applauso va fatto al comparto sonoro, che ha ricostruito le musiche originali in maniera divina. Ora, non sono di certo un appassionato di musica egiziana tardo-dinastica, ma oh, ci sta proprio bene. Non c’è molto altro da dire, è bella musica, fine.

Qualche crepa di troppo

Arriviamo ora alle note dolenti. Tutto sommato Pharaoh: A New Era è un gioco che sta in piedi, ma che ogni tanto scricchiola. Nonostante i due mesi aggiuntivi rispetto alla release annunciata inizialmente, il gioco si presenta ancora con qualcosa da rivedere, per essere delicati.

Il problema di gran lunga più pesante e a cui i ragazzi di Triskell stanno già provando a risolvere, è la corruzione completa di TUTTI i salvataggi di gioco di punto in bianco.
Non è ancora chiaro il meccanismo che lo causi ma sembra che possa essere legato ai salvataggi in cloud. Poco importa comunque, quando ciò accade diventa un putiferio risolvere. In un city builder anche tornare indietro di una città è pesante, un bug del genere è da matita rossa, senza se e senza ma.

Altri incidenti di percorso si notano qua e là, cose minori che non inficiano davvero il gioco ma che ogni tanto lo complicano. Per fare un esempio, nonostante una reputazione altissima col faraone, il suo esercito continuava ad attaccarmi per bassa reputazione.

Una piccolezza, ma che può dare fastidio sul lungo periodo (soprattutto in un gioco intrinsecamente ripetitivo come Pharaoh). Anche la difficoltà sembra essere cambiata in favore di un gameplay più facile, anche se qui mi riservo di dire che magari il Riccardo di 20 anni fa era molto più scarso.

Ci sono cose che però sono oggettivamente più player-friendly, come gli incendi che si propagano molto poco quando qualcosa prende fuoco. Anche alcune scorciatoie da tastiera avrebbero potuto essere migliori: quando si apre un prompt il modo migliore per chiuderlo sarebbe premere Esc, invece facendolo si mette il gioco in pausa col menù, ed è fastidioso.

Non la fine del mondo ma nel complesso qualche punto lo fa togliere.

Ma come, Faraone? Pensavo fossimo amici!

Conclusioni

Io sono sempre stato contrario alle remastered, ma oggi ho capito che lo ero perché non avevo ancora trovato una remastered che davvero avesse così tanto senso. Spesso si vedono remastered che cambiano 3 texture in croce, sviluppate in meno di un anno, che vengono vendute a prezzo pieno. Pharaoh: A New Era invece prende un gioco che ha oltre 20 anni e lo rende moderno, senza comunque snaturarlo, e viene venduta ad un prezzo ragionevole di 22 euro senza sconti.

Poi è chiaro che parliamo di un gioco con una dinamica di base obsoleta e che tende ad essere ripetitivo per molti giocatori, ma su quello si può fare ben poco. I problemi di una volta sono ancora tutti li, i carretti che girano per la città in maniera insensata, la gestione delle merci che diventa molto micro-management per essere efficace ed efficiente, edifici che rimangono fermi per ore e ore nonostante le risorse necessarie siano dall’altra parte della strada. Per migliorare questi aspetti si sarebbe dovuto snaturare molto il gioco, e i ragazzi di Triskell hanno fatto la scelta migliore, lasciare tutto come era, ma rendendolo migliore.

Peccato per il comparto tecnico, decisamente migliorabile. Le mixed review di Steam sono comprensibili ma confidiamo nel fatto che tempi migliori arriveranno.

This post was published on 1 Marzo 2023 12:30

Riccardo "The Gametist" Galdieri

Da bambino non riuscivo ad addormentarmi senza che mio padre si mettesse vicino a me a giocare al PC. Per forza di cose, negli anni, ho fatto mio questo amore, divorando tutto ciò che poteva stare su un Floppy. Crescendo, questo amore è diventato una professione: ad oggi sono un Freelance Game Developer (con esperienza nell'ambito della gamification legata ai beni culturali) e dottorando in Interazione Uomo-Macchina per ambienti virtuali immersivi alla Scuola Superiore Sant'Anna. Quando non faccio follie come guidare una vecchia macchina da Londra alla Mongolia, vivo di videogiochi. Li creo, li studio, li recensisco.

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