Atomic Heart arriverà a brevissimo sugli scaffali digitali e fisici di tutto il mondo come opera prima di Mundfish, una software house all’apparenza cipriota ma dal cuore e dalla storia made in Russia, non esattamente il paese più popolare del globo terracqueo almeno da un anno a questa parte.
Come sempre più spesso accade l’editoria videoludica cerca di integrare con maggiore frequenza, all’interno del suo percorso divulgativo e critico, delle analisi relative non soltanto al prodotto che recensiscono ma alle software house che tale prodotto l’hanno realizzato.
Solitamente ci si ritrova a parlare di gestazioni complicate, di publisher scorretti, di soldi non dati; oggi la situazione è un po’ diversa perché parliamo di uno dei più importanti videogiochi mai sviluppati da quello che, di fatto, è il paese meno popolare del momento agli occhi di noi occidentali. Mundfish è una software house russa che è stata accusata (e non solo) di aver ricevuto fondi dal governo del Cremlino, lo stesso che finanzia la guerra russo ucraina.
Vi consigliamo di leggere questo articolo di PC Gamer sul perché tante polemiche siano scaturite e tante parole dette intorno all’ opera prima del team russo.
Questo articolo, a nostra detta davvero ben realizzato, è anche il punto di partenza per parlare di una cosa che ci sta a cuore: durante il corso degli ultimi anni sempre più analisi e notizie non hanno fatto altro che farci accorgere di quanto sia sottile la linea che separa le cose che non ci piacciono da quelle che ci piacciono.
Dall’Arabia Saudita (non esattamente rispettosa dei diritti inalienabili per noi occidentali) che si è comprata il 5% di Nintendo o tutta SNK ad Activision che per rendere Call Of Duty più realistico ha collaborato con Oliver North, figura dalle posizioni non particolarmente condivisibili (almeno per chi scrive) all’interno del macro universo americano.
Il videogioco, da brava espressione culturale mediata dai meccanismi produttivi dei sistemi economici delle varie nazioni, è anche politica. Ad alcuni questa cosa non interessa, ad altri si: a noi piace pensare che avere quante più informazioni possibili sia la cosa più giusta da fare prima di effettuare l’acquisto.
Per integrare l’articolo di PC Gamer ci sentiamo anche di consigliare questo video riassuntivo di NFKRZ sul tema, così da avere tutte le informazioni necessarie per scegliere consapevolmente se il titolo in questione merita i vostri soldi, il vostro tempo e la vostra morale.
Presupposto tutto questo andiamo a farci un giro all’interno di un mondo che non esiste ma che ha rubato il nostro cuore in maniera davvero sorprendente.
Un cuore atomico in tachicardia o brachicardia?
Partiamo dal nostro solito punto di partenza: di che gioco stiamo parlando?
Atomic Heart è un videogioco in prima persona che cerca di vendersi come Immersive Sim mancando leggermente il bersaglio. Nonostante durante tutta la campagna mediatica intorno al lancio del gioco si sia parlato di Atomic Heart come di una produzione innovativa ed originale, durante le venticinque ore che abbiamo impiegato per vedere la quasi totalità dei contenuti del gioco di originalità non ne abbiamo trovata troppa.
Atomic Heart è un buon esempio di sparatutto in prima persona contornato da meccaniche simil-ruolistiche, che permettono al giocatore di avere un approccio personalizzabile al combat system attraverso diverse possibilità.
Il parente più prossimo di questo titolo è il primissimo Bioshock, con una fusione poco approfondita (ma molto immediata) di elementi RPG e interfaccia da sparatutto in prima persona.
Atomic Heart cerca di seguire le orme del suo illustre predecessore mettendo sul campo un comparto tecnico di livello assoluto, un art-direction che raramente si vede in giro, una classe incredibile nell’integrazione del comparto sonoro, una narrativa di rilievo, un worldbuilding di grande fascino e tante altre belle cose, senza però avere davvero a fuoco il suo cuore ludico.
Le motivazioni sono presto dette: il gameplay di Atomic Heart se la gioca troppo spesso sull’essere molto conservativo, lasciando spesso il fianco scoperto a critiche relative alla usa poca voglia di osare o ai suoi legami col passato. I frangenti open world del gioco, inoltre, finiscono per essere semplicemente meno riusciti di quelli lineari. Fortunatamente, in questo caso specifico, c’è un ottimo equilibrio tra le parti: la maggioranza del gioco si svolge all’interno di grandi dungeon, ben caratterizzati visivamente e sempre sopra la sufficienza in termini di proposta ludica. L’open world che funge da piccolo collante tra i vari dungeon risulta meno ispirato e, in generale, meno divertente: fortunatamente esso è relegato a poca cosa all’interno del gioco nel suo complesso.
Di che storia parliamo oggi?
La storia di Atomic Heart è senza dubbio interessante: la seconda guerra mondiale è stata stravinta dall’unione sovietica che, complice anche la scoperta di tutto un filone tecnologico legato al concetto di polimero, si è imposta come potenza egemone globale. In questo nuovo contesto l’unione sovietica si è lanciata in una corsa verso il miglioramento del benessere dei suoi abitanti, puntando tantissimo sulla ricerca scientifica e sulle applicazioni dei polimeri.
Questo, di fatto, ha permesso la creazione di una lunghissima serie di avanzatissimi automi in grado di sostituire l’uomo nelle più svariate mansioni. Questo progresso è stato possibile grazie agli sforzi di Sechenov, eminente scienziato del CCCP che, dalla scoperta dei polimeri in poi, non ha fatto altro che spingere sempre più in la l’asticella di ciò che è possibile fare e non fare con la tecnologia.
Il protagonista stesso, il maggiore P-3, è uno dei diretti beneficiari delle ricerche scientifiche del dottor Sechenov. Alla mano sinistra il maggiore indossa infatti un particolare guanto capace di sfruttare i polimeri per i compiti più svariati. Il guanto, co-pilotato da un’intelligenza artificiale chiamata Charles, funge da co-protagonista e da fido compagno per tutta la durata dell’avventura sovietica.
Il turning point, in ogni caso, è presto detto: come spesso accade nei contesti in cui tutto sembra troppo bello ad un certo punto l’idillio si interrompe e gli automi non sembrano più comportarsi nella maniera a loro consona. Starà al nostro protagonista capire cosa è successo e come riportare le cose al proprio posto.
Atomic Heart non reinventa la ruota e anzi, cerca di non allontanarsi mai troppo dal sopracitato Bioshock in termini di respiro. Nel fare ciò comunque mette sul piatto dei personaggi carismatici, una storia che per quanto già vista senza dubbio riesce a tenere il giocatore attaccato allo schermo e ambientazioni dalla inusitata potenza visiva.
Di automi, follia e sogni
Il prologo con cui Atomic Heart presenta il suo mondo al giocatore è uno dei più belli dai tempi di Bioshock Infinite per quanto ci riguarda. Tecnicamente la produzione di Mundfish è davvero incredibile e se goduta su un computer di fascia alta (ma nemmeno troppo) lascia davvero con le lacrime agli occhi per la cura proposta nel realizzare ambientazioni, edifici, vestiti, automi e personaggi.
In questo prologo al giocatore viene lasciata la possibilità di vedere da vicino la città forse più fulgida di tutta questa rinnovata versione dell’unione sovietica, caratterizzata da una ricchezza e da un lustro con pochissimi eguali nella storia della nazione. La città in questione viene tratteggiata come un luogo perfetto, dove edifici monumentali richiamanti alcuni storici edifici di Mosca o San Pietroburgo vengono accostati inframezzati da splendidi parchi pubblici, da canali e da laboratori di ricerca più belli di quanto al giorno d’oggi possiamo sperare. La bellezza dell’ architettura, l’atmosfera generale che si respira proseguendo lentamente su una barca verso una lussuosissima parata o il livello di cura per la gestione delle palette di colori sono solo i primi tre elementi che ci vengono in mente nel tentare di ricostruire a parole la grandiosità del prologo.
Tutto questo viene comunque iterato anche successivamente nel gioco, prima attraverso dungeon caratterizzati da ambientazioni in cui incroci di vetro, fiamme, metallo e ceramica serpeggiano selvaggi su strutture multipiano, poi in un open world un po’ meno solido graficamente ma sempre dotato di panorami affascinanti. In tutto questo vorremmo poi anche porre l’accento sulla resa dei polimeri, questo materiale tanto rivoluzionario, che visivamente ricorda una specie di un bellissimo aerogel che ricopre senza opacizzare qualsiasi cosa tocca.
Di sicuro, almeno per noi, una delle scene più memorabili di questo già frizzantissimo 2023 videoludico è la fugace entrata all’interno di una specie di deposito con tutti i semi delle più importante pianti dell’umanità. Complice anche un azzeccatissimo tappeto sonoro di sintetizzatori e un architettura che combina in maniera fortissima la monumentalità della cosa al mero pragmatico, ci ha convinto che ci impiegheremo un po’ a trovare qualcosa che nella sua semplicità sia in grado di colpirci al cuore.
Mick Gordon imbraccia i синтезаторы
Momento di pausa per fermarci anche a parlare del comparto sonoro, diretto da un Mick Gordon che dopo essersi preso a male parole con quei simpaticoni di Bethesda ed Id Software, ha ben pensato di lavorare su questo titolo donando tutto il ricavato dei suoi sforzi al fondo che la croce rossa Australiana ha aperto specificamente per le loro operazioni sul suolo Ucraino.
Gordon non è esattamente un compositore standard e dopo averci abituato a chitarroni devastanti o esplosioni ultramelodiche si è messo all’opera su una colonna sonora più ariosa, composta in larga parte attingendo direttamente all’immaginario sonoro dei sintetizzatori di epoca sovietica.
Torniamo ad esempio alla scena della banca di semi di poco fa e cerchiamo di contestualizzare la cosa la cosa. Siete all’interno di centro di ricerca ormai scevro di vita umana, martoriato da automi pericolosissimi che hanno spezzato le spine dorsali di chiunque, fermando di fatto il tempo e lasciando soltanto ai robot minerari il compito di distruggere fisicamente la struttura.
Mick Gordon fa una scelta molto interessante e decide di musicare l’ingresso del giocatore all’interno della banca dei semi scegliendo di dare un’idea della portata quasi cosmica della missione Russa. Il centro di ricerca in questione ha valore per il futuro dell’umanità, rappresenta l’impegno della nazione per la sfida che lo spazio pone nei confronti dell’uomo. Gordon mette da parte le orchestrazioni e punta invece alla kosmische musik più melodica, con un tappeto di sintetizzatori che non avrebbe di cerco sfigurato in dei lavori minori dei Tangerine Dream o di Klaus Schulze.
Una melodia ovattata, che dipinge l’algida freddezza del contenitore di tutta la vita della terra in un luogo che non prevede più vita per l’uomo. Tutto questo poi viene contrattaccato dal battle theme per quell’occasione: una canzone techno che punta alle atmosfere oscure che tra anni novanta e duemila tanto hanno fatto ballare i Berlinesi si, ma anche quelli che invece si erano ritrovati a nascere in quella parte di Germania che invece era sovietica.
Questo è soltanto uno dei modi che Gordon sceglie di usare per impiegare il sonoro per avvolgere il giocatore con atmosfere memorabili, di fatto regalandoci un OST tra le più interessanti del mercato AAA di quest’anno.
Zoppicare con grande stile
È un peccato vedere come tutto questo venga, di fatto, frenato da alcune scelte mosse da Mundfish dal punto di vista del gameplay. Atomic Heart nonostante si presenti fin da subito al giocatore con una bella citazione allo 0451 non offre le possibilità operative di un imsim, dando al giocatore un paio di sistemi ludici con cui interagire ma senza la profondità necessaria per far sbocciare il tutto.
Il gameplay di Atomic Heart chiede al giocatore di esplorare tante stanze raccogliendo risorse, queste ultime utili poi per craftare e potenziare le armi del gioco. Il sistema di potenziamento delle armi è piuttosto interessante, dando al giocatore diversi slot dove applicare abilità specifiche. Dato che un particolare accento viene posto sugli elementi degli attacchi del guanto, i giocatori più interessati al minmaxing saranno felici di sapere che è possibile applicare delle cartucce elementali a tutte le armi, così da poter aggiungere tale attributo ai vari strumenti di morte.
Il sistema di combattimento melee è piuttosto divertente da utilizzare, sebbene non goda di eccessiva profondità. Molto essenziale anche il sistema di combattimento ranged tra pistole, fucili, cannoni e chi più ne ha più ne metta; il gunplay non è di livello elevatissimo ma comunque assolve ai suoi compiti con grande classe, restituendo sensazioni gradevoli in assoluta prevalenza.
Interessanti i minigiochi legati allo scassinamento delle porte; questi sono diversi e richiedono al giocatore o in prevalenza riflessi o in prevalenza pensiero logico senza mai risultare odiosi o eccessivamente complicati. Non esattamente riuscito invece lo stealth, con telecamere che ti vedono anche quando non dovrebbero e con mappe che semplicemente non sono pensate per incentivare questo tipo di approccio al gameplay.
Abbiamo apprezzato molto anche un dettaglio che ci ha ricordato da vicino uno dei più grandi giochi degli ultimi 15 anni AKA Prey: il primissimo dungeon è pieno di computer con dentro caselle di poste personali e la lista completa di tutti i membri del laboratorio: tutto quello che serve per poter alimentare la curiosità dei giocatori.
Conclusione
Arriviamo in fondo generalmente molto felici di tutta la produzione di cui abbiamo parlato oggi. Al netto delle polemiche che circondano gli sviluppatori, al netto delle promesse non mantenute in termini di marketing tra originalità scarsina e leggero downgrade tecnico (con un risultato finale che è comunque di livello incredibile a nostro dire), Atomic Heart riesce ad essere un prodotto molto interessante: una nuova IP con grande potenziale. Le limitazioni ci sono, il piatto non è il più originale del mondo ed il gameplay sembra osare meno di avrebbe potuto fare senza snaturare tutto ma poco importa.
Atomic Heart riesce nel rimanere estremamente gradevole grazie ad una combinazione super riuscita di diversi elementi: un comparto tecnico di assoluto rilievo, un immaginario di incredibile forza visiva, una narrativa dall’anima efficace, dei personaggi scritti bene e musiche di grande qualità. Nel complesso quindi ci sentiamo di promuovere con ottimi voti questa produzione, nella speranza di poter mettere le mani su un secondo gioco in un futuro in grado di limare i difettucci che non permettono a questa produzione di lasciare un segno a tutto tondo.
PRO
- Visivamente impressionante
- Worldbuilding accattivante
- Scenografie che tolgono il fiato
- Colonna sonora super interessante
- Personaggi ben scritti
- Narrativa efficace
CONTRO
- Dal punto di vista ludico si poteva usare di più
- Level design non entusiasmante per le parti open world
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