Possa la caccia, sol faro nella notte, illuminarti
Ogni appassionato di videogiochi, si sarà ritrovato almeno una volta a pensare al gioco perfetto per lui. L’offerta videoludica è ormai talmente tanto ampia, da riuscire in un modo o nell’altro ad accontentare tutti, da chi cerca quella mezz’ora di relax prima del lavoro a chi ha pomeriggi da riempire girovagando per enormi e dense mappe. Ogni giocatore, acquisita una certa esperienza inizia a riconoscere i punti che un gioco deve toccare, affinché si dimostri in linea coi propri gusti.
E quindi, generalizzando, se qualcuno si appassiona ad uno sparatutto in prima persona come Duke Nukem, ricercherà giochi con una scrittura ironica, tagliente ed un gun play soddisfacente; se ci si appassiona ad un action RPG come Dark Souls si cercheranno combattimenti all’arma bianca con un elevato livello di sfida. E il motivo per cui un giocatore si riferirà a quei giochi, è perché per lui, hanno rappresentato degli standard a cui ogni altro videogioco dello stesso genere, dovrà tendere per essere quantomeno soddisfacente.
Se per ogni genere e sottogenere esistono diversi esempi che possono fungere da standard qualitativo, vi sono ovviamente delle eccezioni, rappresentate da categorie di videogiochi il cui numero di esponenti è decisamente limitato. Le motivazioni possono essere diverse, ma ciò che importa in questa sede, è un esempio in particolare: i giochi di caccia.
I cosiddetti hunting game sono giochi dove si cerca di simulare, quanto più possibile, la sensazione della caccia, un’attività che non implica solo l’uccisione della preda ma la sua localizzazione attraverso tracce, orme, escrementi, foglie calpestate. Insomma, l’eccitazione nasce e si sviluppa anche grazie alla fase investigativa.
Parlando di standard cui fare riferimento per ogni genere e sotto genere, gli hunting game hanno sempre avuto un esponente molto forte e praticamente incontrastato: Monster Hunter. I vari titoli della saga di Capcom hanno infatti affascinato i videogiocatori, proponendo livelli di sfide sempre più impegnativi, design di creature incredibili che permettevano un’ottima gestione durante i combattimenti e una possibilità ottima di esplorare le mappe, garantendo sempre varietà d’approccio.
E alla luce di questo imponente standard, come potrebbe la community di appassionati valutare un titolo che ad una prima occhiata sembra veramente tanto Monster Hunter, che come Monster Hunter si propone come gioco di caccia ma che, alla tirata dei conti, è estremamente diverso? Siamo qui proprio per parlare di Wild Hearts, l’ultima fatica creativa di Koei Tecmo Games.
Qual è l’obiettivo di Wild Hearts? E come si pone rispetto ai suoi (al suo) competitor?
Sebbene il paragone risulti molto facile ed intuitivo, il primo punto su cui battere è che Wild Hearts non è e non vuole essere un clone di Monster Hunter.
Koei Tecmo Games non è sicuramente l’ultima arrivata in fatto di hunting game: a loro si deve infatti la saga di Toukiden, una serie di videogiochi che puntava proprio ad offrire un’alternativa al blasonato brand di Monster Hunter, come dichiarato dagli sviluppatori poco prima della release di Toukiden: Age Of Demons su PS Vita nel 2013.
La saga di Toukiden non riscosse grande successo, causa sia dell’enorme forza del colosso di Capcom sia di pecche in fase di sviluppo ed ottimizzazione del titolo. Tuttavia, senza stare qui a discutere sulla bontà di questo o quel gioco, Toukiden riusciva ad avere un’identità fortemente separata dai competitor, proponendo battaglie contro demoni a forza di colpi intrisi di magia.
Wild Hearts, al netto dell’esperienza maturata, cerca di fare un po’ lo stesso lavoro che cercarono di fare con Toukiden.
Wild Hearts potrebbe quasi esser visto come un inganno: illude gli osservatori disattenti di essere un Monster Hunter sbiadito, utile giusto a tappare un buco in attesa del prossimo titolo di Capcom ma, una volta dentro, ti incastra con una serie di meccaniche uniche, personaggi affascinanti ed estremo dinamismo.
Ci si potrebbe lamentare di come Wild Hearts sia estremamente meno tecnico di altri titoli, ma è impossibile prendere ciò come un vero e proprio difetto. Il difetto sta negli occhi dell’osservatore, il cui standard è rappresentato da un titolo a cui Wild Hearts non vuole tendere. Con ciò non si vuol dire che non vi siano delle similitudini, inevitabili forse, come ad esempio alcune armi e alcune dinamiche dei combattimenti.
Tuttavia, Wild Hearts riesce a dimostrare un’identità forte, una scrittura convincente e un nuovo modo di lottare, visivamente spettacolare e parecchio soddisfacente pad alla mano. Se si pensa però all’essenza del gioco, un po’ di delusione la si potrebbe provare.
Nonostante infatti Wild Hearts venga pubblicizzato come gioco di caccia, la caccia non riesce ad essere un elemento convincente nemmeno per un attimo e i motivi sono molteplici. Prima di concentrarci su ciò che di positivo ha da offrire il titolo, è giusto enumerare ciò che non è necessariamente un errore ma che potrebbe essere percepito come tale, vista la natura stessa del gioco.
Facciamo un gioco mnemonico e nostalgico: è il 2011, la vostra passione per il videogioco è in continua crescita e il mondo inizia a conoscere quel fenomeno di vendite che sarà Minecraft, ma non è tutto. Nel novembre dello stesso anno, una software house che ai tempi sapeva come farsi amare, pubblica il quinto capitolo di una serie che aveva affascinato i giocatori: The Elder Scrolls V: Skyrim. Il gioco diventa un culto e come ogni grande opera, tra i tanti amanti iniziano ad annidarsi i detrattori.
Una delle più ricorrenti critiche riservate non solo a Skyrim ma al modo di creare open world sul modello Skyrim, stava nel rendere l’avventura troppo guidata. E nonostante Skyrim avesse un livello di libertà invidiabile per l’epoca, a generare polemiche fu un incantesimo in particolare: Chiaroveggenza. Una volta lanciato, l’incantesimo tracciava una striscia luminosa sul sentiero da seguire per raggiungere i punti della missione che si stava seguendo in quel momento. Sui forum i giocatori più hardcore erano inorriditi da una meccanica del genere, che andava a minare un po’ il senso di scoperta del gioco.
Dal 2011 sono passati 12 anni. Wild Hearts è prossimo all’uscita e si preannuncia come un gioco di caccia. Basterà però giocarci un minimo per rendersi conto di come l’emozione della caccia sia quasi totalmente assente. Rintracciare le prede non richiederà ricerche particolari poiché le mappe, per quanto belle visivamente, non saranno chissà quanto ampie e richiederanno pochi minuti per essere esplorate nella loro interezza.
A ciò si unisce il poter utilizzare degli strumenti per localizzare sulla mappa la posizione esatta delle prede e, soprattutto quella Chiaroveggenza di Skyrimiana memoria. Ovviamente non si chiama Chiaroveggenza, ma il funzionamento è lo stesso: con un solo tasto, si creerà una linea luminosa sul sentiero, che ci indicherà la strada migliore per raggiungere le prede.
A ciò si aggiunge che i Kemono, le prede del gioco, avranno delle posizioni fisse sulla mappa in cui saranno sempre rintracciabili. Non si tratta di semplici habitat ma di vere e proprie aree dove è già sicuro che sarà possibile trovare questo o quel kemono specifico, appiattendo la sensazione di ricerca e facendoci percepire il mondo di gioco molto più minuto e non rigiocabile di quanto ci si aspetterebbe da un gioco simile.
Tutto ciò rende il gioco un’enorme boss fight itinerante, in cui il senso di scoperta lascia spazio alla voglia di combattere mostri sempre più grandi. E non è sicuramente una sensazione che non merita rispetto e attenzione, visto che i combattimenti sono estremamente divertenti, ma se ci si approccia ad un gioco di caccia, eliminare del tutto l’adrenalina della ricerca non sembra la scelta migliore. Un aspetto del game design che lascia sicuramente a desiderare.
Se si riesce ad ignorare la sensazione di tradimento che il gioco ci riserva in fase di ricerca, concentrandosi solo sulla fase del combattimento, il discorso prende tutt’altra piega.
Combattere contro i Kemono in Wild Hearts è, semplicemente, divertente. Sia chiaro, bisogna essere fan sia del combattimento all’arma bianca che della lotta contro mostri gargantueschi che riempiono lo schermo, creando un’incredibile sensazione di claustrofobia in un mondo tanto aperto. Se siete appassionati di questi due fattori, Wild Hearts è il gioco che fa per voi.
Grazie ai metodi spiegati sopra, sarà possibile gettarsi immediatamente in battaglia. Una volta imbracciata l’arma che preferite (delle armi parleremo a breve), dovrete soltanto cercare il Kemono che più volete fracassare in quel momento e il gioco avrà inizio.
Wild Hearts punta tutto sul combattimento, permettendo al giocatore di godere al meglio delle sensazioni che ogni singolo colpo darà, pad alla mano. Per quanto possa essere grande la nostra arma, sentiremo la sensazione di paura che i Kemono trasmettono grazie alla loro stazza, alla loro velocità e alle loro abilità quando andranno in berserker mode. E questo renderà ancora più emozionante distruggerli a colpi di arma gigante in testa.
Sentiremo perfettamente il peso di ogni arma, di ogni colpo. Sarà soddisfacente staccare pezzi di Kemono, colpendo ripetutamente le zone più deboli. Sarà soddisfacente arrampicarsi su di questi ed infilare una mano dentro di loro, dilaniandoli. Sarà soddisfacente schivare un colpo all’ultimo secondo o punirli con un attacco a sorpresa, prima ancora che si rendano conto della nostra presenza.
E per finire, in pieno rispetto di ciò che i Kemono rappresentano (anche di questo, ne parliamo a brevissimo), finirli con un colpo di grazia inferto in maniera brutale ma ferma, così da non causare loro alcuna sofferenza, chiedendo addirittura scusa prima di ultimarli. Dinamiche del genere, sempre diverse a seconda dell’arma utilizzata, rendono il combattimento assuefacente ed epico, carico di tensione e adrenalina, sensazioni che, come le migliori droghe, vorranno essere provate ancora e ancora, in maniera sempre crescente, sfidando i propri limiti e cercando di migliorare costantemente l’approccio.
Plinio Gaio Secondo, più noto come “il Vecchio“, scriveva nella sua Naturalis Historia:
è tutt’altro che facile dire se la natura si sia dimostrata per l’uomo una madre generosa o una spietata matrigna
Koei Tecmo con Wild Hearts, a riprova che corsi e ricorsi si manifestano anche nelle idee, decide di imperniare la storia del gioco proprio su questo modo ambivalente di concepire la natura. Da un lato vi è estremo rispetto di tutto ciò che ci circonda, dalla più microscopica pianta al più imponente animale; dall’altro, assistiamo al prosperare di una natura incontrollata e incontrollabile, che rischia di annientare gli ultimi insediamenti umani rimasti.
E dato che sul principio del rispetto, l’uomo fa sempre vincere quello della preservazione, in Wild Hearts ci ritroveremo a combattere quella natura che cerca, senza alcun tipo di cattiveria intrinseca ma con semplice rispetto dell’entropia che domina il mondo, di distruggerci.
La natura in Wild Hearts ha forme e rappresentazioni sensibili molto evidenti, tanto da costituire l’elemento cardine della narrazione: i Kemono. Queste creature, quelle che saranno le nostre prede per tutto il gioco, sono un combinato tra fauna e flora. Fisicamente saranno molto simili ad animali realmente esistenti, dai topi agli orsi, dai cinghiali ai corvi. Ogni Kemono avrà però una peculiarità.
Ogni Kemono avrà ovviamente un proprio habitat a cui si è adattato, per vivere al meglio. Il processo di adattamento ha comportato, per ogni animale, due fattori, uno endogeno e uno esogeno.
Nonostante queste caratteristiche siano tra le cose più interessanti che il gioco offre, creando una bella riflessione su quanto siamo disposti a tollerare e rispettare la natura, quando questa non si presenta razionale quanto la descrivono i letterati nei loro scritti, la magia si perde guardando i design dei Kemono.
L’intento è chiaro: si vogliono ricalcare veri animali, aggiungendo qualche caratteristica qui e la. Il risultato però appare pigro, senza alcun design in grado di colpire visivamente, senza nulla che riesca a rendere iconici i Kemono. Certo, alcuni sono più particolari di altri, uno di loro ad esempio è una vera e propria montagna deambulante. Tuttavia, nonostante nessun design paia particolarmente ispirato, i Kemono si calano molto bene nell’ambiente che li circonda.
Trovare un Kemono in un determinato luogo potrebbe non essere troppo originale, ma apparirà incredibilmente giusto, esatto e coerente.
Come rivelato dagli stessi sviluppatori, la main quest del gioco potrà essere completata in circa 45/50 ore, mentre con le secondarie e le varie cacce, la durata si dilaterà.
Spendere così tanto tempo dietro ad un singolo titolo, per molte persone, è un investimento che va ponderato attentamente, più di quanto non lo sia il fattore economico. Personalmente, prima di buttarmi in giochi tanto lunghi, mi chiedo se quel gioco potrebbe effettivamente divertirmi ed offrirmi la giusta varietà. Per Wild Hearts, la risposta è assolutamente si.
Wild Hearts presenta tanti fattori che ne favoriscono la rigiocabilità per i più curiosi. Iniziamo dalle armi. Sin da subito si avrà accesso a 5 tipi di armi (per una veloce guida alle armi vi rimandiamo all’anteprima). Sarà possibile cambiare a piacimento le armi prima di ogni caccia, così da provarle tutte e decidere con quale diventare un vero e proprio maestro.
Evolvere le armi porterà non solo ad aumentare l’output di danno o di conferire all’arma danni di tipo elementale, ma soprattutto di sviluppare abilità passive di ogni tipo: offensive, difensive, supporto. Potrete ad esempio aumentare la possibilità di colpi critici, la potenza degli attacchi in salto o la velocità di assunzione delle cure. Inoltre, ad ogni evoluzione dell’arma, potrete decidere alcune abilità da fare “ereditare” al nuovo modello che state per forgiare, così da costruirvi un set di passive che riescono a soddisfarvi e che è possibilità cambiare con molta facilità recandovi in una fucina da campo o dal fabbro principale del gioco, Natsume.
E i Karakuri invece cosa sono?
Si tratta di un ulteriore punto su cui gli sviluppatori hanno puntato tantissimo, nel sottolineare la differenza tra Wild Hearts e ogni altro gioco di caccia. I Karakuri sono strumenti che paiono ereditati da quel fenomeno mondiale che è Fortnite. Si tratta di strumenti vari come casse, piattaforme, martelli, catapulte, sonde, dispense per cibo, mezzi di trasporto. Insomma, c’è un po’ di tutto.
Potranno essere utilizzati sia in battaglia che in fase esplorativa e saranno la vera marcia in più del gioco. Saranno estremamente veloci da costruire, intuitivi nei loro utilizzi ed estremamente divertenti da usare. Ciò che è incredibile è la flessibilità che tali strumenti offrono al gameplay e di come tutto dipendono perlopiù dal vostro ingegno.
Potrete infatti sperimentare, utilizzare karakuri che il gioco vi descrive come utili a superare una parete ripida, per crearvi una piattaforma per saltare in testa ai Kemono con tutta la vostra forza; un aliante pensato per oltrepassare i burroni, potrà permettervi di scappare verso l’alto quando un Kemono vi attaccherà e di punirlo cadendogli con tutta la forza sulla coda; potrete utilizzare un’apparente semplice torcia per infuocare la vostra arma ed infliggere danni maggiori; potrete costruire una cassa dietro l’altra fino a creare un muro, un baluardo, che vi permetterà di proteggervi, bloccando le cariche nemiche e allo stesso tempo vi garantirà un punto favorevole da cui attaccare in salto.
Con la possibilità di giocare in cooperativa fino a 3 persone, sarà possibile avere accesso a combinazioni complesse che permetteranno di scoprire nuovi tipi di approccio contro Kemono con cui abbiamo già una certa familiarità. Per i dettagli su tutto ciò che concerno il multiplayer, vi rimandiamo all’anteprima.
E preferiamo fermarci qui. Rivelare il funzionamento e le combinazioni di tutti i Karakuri potrebbe essere uno spoiler molto più grande del rivelarvi il finale della trama.
Ah già, c’è una storia.
La storia di Wild Hearts è un piacevole contorno, a cui si può decidere che peso effettivo dare.
Di per sé, la storia di fondo è utile più che altro a creare una giustificazione alla caccia perenne verso i Kemono. Si tratta quindi di una lotta per la sopravvivenza, dell’uomo contro le bestie, della scienza contro la natura. Non la trama più originale del mondo e, certamente, non cerca nemmeno di esserlo. Si nota come sia un pretesto per mollare delle grandi mazzate ma, onestamente, va benissimo così.
Più che la storia, a colpire potrebbero essere i personaggi che contornano la nostra avventura di cacciatore solitario. Alcuni saranno dei libri aperti che, con spontaneità ci faranno immergere in un mondo luminoso ma logorato dalla paura. Ogni personaggio avrà un carattere molto forte e presente, alcuni manifesteranno un incrollabile senso dell‘onore, altri orgoglio, altri pavidità, altri ancora saranno forieri di mistero.
Ciò che colpisce veramente di Wild Hearts è l’ambientazione. L’intento degli sviluppatori era ricalcare in parte il Giappone feudale, inteso più che altro come costumi e tradizioni. E il risultato è veramente convincente. Ci si sente immersi nel Giappone del ‘500, nel periodo in cui la scienza bellica iniziò a farsi strada nella terra del sol levante, che per anni aveva adottato politiche isolazioniste.
Proprio come i portoghesi introdussero la polvere da sparo, permettendo ai giapponesi di passare dalle katane agli archibugi, così in Wild Hearts l’utilizzo di uno strumento chiamato “Filo Celeste” permette la creazione dei Karakuri, utili sia negli spostamenti che in campo bellico, permettendoci di passare da spadoni e martelloni a trappole complesse e, ogni tanto, esplosive. Forse non è poi così un caso che l’unica scienziata, l’unica che comprenda la scienza dietro ai Karakuri, sia l’unico personaggio dai tratti non orientali.
Artisticamente l’ispirazione al Giappone feudale è forte, mostrandosi più che nel mondo attorno a noi, nei costumi e nelle armature nostre e degli npc. Maschere di scimmia, katane e sandaletti di legno. Potrà sembrare stereotipato, ma l’effetto è innegabilmente convincente e potente.
Piccola postilla per parlare delle prestazioni del gioco:
la build da noi provata, come confermato dal resto della stampa internazionale, si presenta carente lato prestazioni. Il miglior device per fruire del gioco, al momento, pare essere PlayStation 5. Tuttavia, gli sviluppatori, durante la conferenza riservata alla stampa, hanno dichiarato che la patch day1 avrebbe risolto la maggior parte dei problemi.
Al momento, i problemi maggiori sono su PC. Il gioco pare infatti vittima di un’ottimizzazione non delle migliori, presentando cali frequenti di frame e artefatti grafici che passano dall’essere semplicemente fastidiosi al rischio di diventare invalidanti.
Wild Hearts si propone come alternativa al modo classico di concepire gli hunting game, mettendo in scena combattimenti resi mozzafiato dall’utilizzo dei Karakuri, le vere star del gioco. Se dunque cercate armi grandi con cui malmenare creature ancora più grandi, effettuando salti spettacolari e piroette infuocate, il gioco fa decisamente per voi. Se siete più emozionati dalla ricerca che dalla lotta, rimarrete delusi. La cosa più importante da ricordare è che approcciare Wild Hearts non significa approcciare un clone di Monster Hunter. Evitando futili confronti, potreste anche essere in grado di godere di un gioco dal grande cuore, che offre tanto a chi è disposto a prenderne il meglio. Buona caccia.
Possa la caccia, sol faro nella notte, illuminarvi.
This post was published on 16 Febbraio 2023 16:00
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