Quando ci si approccia a una recensione non c’è cosa più bella e soddisfacente di continuare a cadere in un rabbit hole fatte d’informazioni, interviste, nozioni storiche e tanto altro ancora. Tipo prima di approcciarmi a questo pezzo non avevo idea della doppia identità di Ryoma Sakamoto, da una parte protagonista del titolo di cui parliamo oggi, dall’altra invece personaggio storico che in Giappone ha una certa rilevanza durante il 1800 e la fine del periodo Edo; non avevo nemmeno idea del background dietro Hajime Saito, anch’esso personaggio tanto storico quanto videoludico, che rimane uno dei volti più noti di un certo immaginario nipponico.
Dopo aver giocato a Like A Dragon: Ishin per quasi trenta ore non ho potuto fare a meno di constatare quanto sia bello rimanere affascinati dalla storia di un popolo lontano dal nostro, dalla sua cultura e da come queste cose vengano utilizzate per realizzare prodotti d’ intrattenimento; prodotti che riescono nel difficile compito di far percepire anche pezzi di storia a noi lontana, dal gusto esotico e che di sicuro non vedremmo se non cercandola appositamente.
Inutile nascondersi dietro un dito: per quasi 10 anni così è stato.
Il Like a Dragon: Ishin! di cui andiamo a parlare oggi in maniera più approfondita è una versione migliorata, arricchita e rimasterizzata di un prodotto uscito a cavallo tra PS3 e PS4.
Ishin era il secondo tentativo del Ryu Ga Gotoku Studio di utilizzare il framework della sua serie di maggior successo, quello che abbiamo conosciuto per la maggioranza del tempo con il nome Yakuza, all’interno di un contesto storico differente. Il primo tentativo è stato fatto nel 2008 con un altro videogiochi, Ryu Ga Gotoku: Kenzan (rimasto confinato, purtroppo per noi, su PS3) mentre questo Ishin ne rappresenta una versione più raffinata e adatta al pubblico moderno.
Ishin infatti è uscito appena dopo Yakuza 5, durante il primo grande tentativo di modernizzazione (almeno a livello tecnico) del brand. Di fatto la versione originale di Ishin non si discosterà poi tantissimo in termini di UX da ciò che la software house ha raffinato con Yakuza 6: The Song Of Life; il risultato finale è quello di avere un remaster che di fatto non ha fatto tantissimo oltre che aggiungere contenuti e sistemare il comparto grafico.
Dopo aver gettato alle nostre spalle le ultime lacrime perché interpreteremo, invece di Miyamoto Musashi (protagonista di Kenzan), il buon vecchio Sakamoto Ryoma, andiamo a vedere come si comporta questa versione di Like a Dragon: Ishin da noi giocata con sommo gaudio.
Like a Dragon: Ishin! non reinventa la ruota, non porta grandissime innovazioni sul campo e gioca la sua partita in maniera estremamente conservativa. Il titolo, uscito inizialmente in uno dei momenti di maggior appiglio commerciale della saga, di fatto applicava la struttura ludica del già ottimo Yakuza 5 a un ambientazione e a contesti storici differenti.
Questo significa che il gioco non ha il combattimento a turni di Yakuza: Like a Dragon ma anzi, è perfettamente ancorato a quella formula da beat em up estremamente personalizzabile con una pletora infinita di abilità da utilizzare per migliorare i propri cazzottoni. Questo sistema di combattimento è la linfa vitale di un avventura che, di capitolo in capitolo, porta il giocatore a spasso per Kyoto e altri luoghi del Giappone di fine periodo Edo, durante il cosiddetto periodo Bakumatsu.
L’alchimia generale è la stessa di sempre: un open world da esplorare lentamente, a piedi, pieno, pieno e ancora più pieno di cose da fare tra missioni secondarie, negozi da esplorare, minigiochi, storie da vivere, esperienze e così via. Il gioco straborda di contenuti e se in condizioni normali richiede circa una trentina di ore per essere portato a termine, nelle mani di chi è alla ricerca di tutti i trofei o dei platini queste finiscono tranquillamente per raddoppiare o triplicare, dipende poi da quanto siete skillati nel mahjong o in uno dei 4 giochi di carte tradizionali nipponici che accompagnano il poker.
Una struttura del genere, molto netta nelle sue divisioni e soprattutto nella sua lentezza, un po’ cozza con il modo odierno d’intendere gli open world e di sicuro rende Ishin un piatto non adatto a tutti i palati. Se invece avete già familiarità con la saga o, ancora meglio, avete voglia di giocare a qualcosa di affascinante e ostico, avete trovato davvero pane per i vostri denti.
Come al solito se c’è qualcosa dove Ryu Ga Gotoku Studio impegna molte delle sue forze senza sbagliare praticamente mai questo è il comparto narrativo. Quello di Like a Dragon: Ishin! è la solita, benedetta, storia ben scritta; una storia in cui i tradimenti sono all’ordine del giorno, gli amici non sembrano tali, i valori e le idee sono più forti e importanti del mero pragmatismo.
Il substrato narrativo che attraversa tutte le vicende di Like A Dragon: Ishin! è vecchio dentro ma non per questo poco efficace. Si prende tremendamente sul serio nonostante personaggi perennemente sopra le righe e situazioni anche particolarmente bizzarre (meraviglioso il combattimento ai bagni pubblici, con funzionalissime nuvolette di vapore a coprire le pudenda dei combattenti) e riesce, costantemente, ad inserire discorsi di una pesantezza e di una forza notevole con personaggi estremamente distanti da noi occidentali per cultura e modi.
Nel suo presentare la storia Ishin fa capire in maniera molto chiara del perché ci ha messo così tanto per arrivare in occidente: è un videogioco fatto dai Giapponesi per i Giapponesi, con infiniti riferimenti ad elementi della storia e della cultura del paese del sol levante al suo interno. Alla fine della storia concetti come Shinsengumi, Goshi, Ronin, Toshi o la divisione dei quartieri di Kyo (oggi conosciuta con un sinceramente più armonico Kyoto) diventano dolcemente familiari, come spesso accade all’interno di opere in cui sentirsi coinvolti è facile.
Questo discorso del coinvolgimento non può prescindere dai personaggi che animano l’opera, tutti volti già noti all’interno del panorama della serie Yakuza. In un gioco di maschere davvero interessante, che meriterebbe un analisi più approfondita, Ryu Ga Gotoku Studios ha scelto di utilizzare gli stessi attori virtuali dei vari Kiryu, Majima e compagnia per dare vita a gran parte del cast di questo videogioco. I volti, nonostante i contesti diversi, riescono sempre nel dare interpretazioni interessanti e per chi già è affezionato ai lineamenti dei vari personaggi di Yakuza non potrà far altro che rimanere ancora più affascinato da questo gioco di specchi e rimandi.
Tutto questo per dire che la storia funziona ANCHE per il suo contorno; il succo invece com’è?
Molto interessante, come sempre tra le altre cose. Like a Dragon: Ishin racconta una versione molto romanzata e un minimo distorta della reale storia Giapponese, prendendo in esame 2 figure storiche realmente esistite: Ryoma Sakamoto e Hajime Saito; due anime contrapposte che nel gioco trovano una crasi curiosissima.
Se storicamente queste due figure si sono combattute (Sakamoto ha combattuto in ogni modo contro lo Shogunato dei Tokugava, Saito era uno dei capitani delle forze speciali di polizia dello shogunato stesso), nel gioco finiscono per coincidere in maniera davvero efficiente.
Il giocatore vestirà i panni di Ryoma Sakamoto che, in seguito a un certo evento, fuggirà dalla prefettura di Tosa (ad oggi la parte sud del bellissimo Shikoku, andatevi a fare un giro su Instagram) per rifugiarsi a Kyo, dove sceglierà di entrare a far parte della Shinsengumi (le forze speciali di cui sopra) per scoprire un certo assassino.
La storia di Ishin è carica di forza, piena di voltafaccia e personaggi carismatici, spesso un po’ sopra le righe ma sempre forti una caratterizzazione adamantina.La narrativa, quindi, rimane sugli altissimi livelli a cui la serie di Like a Dragon ci ha abituato, con il pregio di aver saputo declinare il tutto all’interno del contesto storico in maniera super affascinante.
Come abbiamo detto qualche paragrafo fa, Like a Dragon: Ishin! è un videogioco che non esce di molto dal seminato, riproponendo una formula rodata e ancora oggi molto efficace. Se l’open world può apparire un po’ scricchiolante sotto il peso delle proposte odierne, a causa di una totale orizzontalità della mappa di gioco, lo stesso non si può dire per le attività proposte che per varietà e per originalità hanno pochi rivali.
Il gioco offre una miriade di mini giochi con cui interfacciarsi: dalla pesca al tagliare palle di cannone al volo, dall’occidentalissimo poker passando poi per una pletora di giochi da tavolo tipicamente nipponici; non mancano corse con i polli, corsi per imparare a fare gli udon, karaoke, mahjong, scommesse, danza tradizionale giapponese e chi più ne ha più ne metta.
Quello che ancora oggi stupisce per livello di qualità è il sistema di combattimento in tempo real. Magari esso può risultare grezzo rispetto agli standard che giochi come DMCV o Bayonetta 3 hanno imposto, ma è imperniato da un’abissale profondità.
Il giocatore può scegliere di combattere usando 4 diversi stili: a mani nude, con la katana, con la pistola o con un ibrido katana pistola. Ogni stile di combattimento ha una caratteristica dominante che lo rende adatto a determinate situazioni più che ad altre (lo stile misto prevede solo schivate e non parate, la pistola permette di colpire da lontano, le katane permettono di effettuare parate e contrattacchi, a mani nude è possibile prendere gli oggetti dallo scenario per picchiare gli avversari) ed è ampiamente personalizzabile grazie a un sistema di crescita non troppo distante dalla sferografia di Final Fantasy X, con tanti tabelloni da esplorare un passetto alla volta.
Combattendo il nostro Ryoma/Saito ottiene punti esperienza che si condensano in delle sfere; di queste ne esistono 5 tipi: una generica e 4 colorate per ogni stile di combattimento. Ogni nuova abilità va acquistata dall’apposito schermata proseguendo su un tabellone (stile gioco da tavolo) spendendo 1 sfera ciascuna, generica o colorata che sia. Chiaro che è possibile sostituire le sfere generiche con quelle proprie dello stile, permettendo di avanzare senza troppo grinding all’interno dei vari tabelloni
Il delirio quando si completano tutte le scacchiera e si incontrano i maestri delle varie arti in giro per il gioco: questi permettono di tenere tutte le vecchie abilità esplorando una versione rinnovata della scacchiera con ulteriori potenziamenti.
Questo lunghissimo sistema di progressione è accompagnato da un sistema di equipaggiamenti acquistabili e craftabili che dona un continuo senso di reward alle attività secondarie, dando al giocatore la possibilità di personalizzare armi e indumenti per potenziare questo o quell’altro stile. C’è una cura nella gestione di questi sottosistemi che fa impallidire diversi tra i videogiochi usciti nel corso degli ultimi anni.
Discorso ancora a parte va fatto invece per parlare per il gioco nel gioco che riprende il clan creator di Yakuza 5 declinandolo al periodo storico. Il battle dungeon non è altro che una modalità alternativa con una lunghissima e sconfinata lista di mini dungeon da esplorare, con il giocatore a massacrare avversari su avversari.
Nel fare questo il giocatore può farsi accompagnare dalle carte soldato, ovvero da compagni che saranno in grado di dare effetti attivi o passivi al nostro protagonista. Anche in questo caso parliamo di un sottosistema di una complessità enorme, con 6 tipologie diverse di carte soldato esistenti e un sistema di leveling up delle stesse che prevede una meccanica di rinascita attraverso il sacrificio di determinate armi, così da poter far orientare quella carta su un determinato attributo.
Completare questi dungeon, spesso molto difficili durante le parti finali del gioco, significa mettere le mani su oggetti molto rari che vanno poi reinvestiti o nel crafting o in uno dei molteplici altri sistemi di gioco.
Fermiamoci ancora un momento a parlare del battle dungeon per citare una cosa: le nuove carte che sono state inserite in questa riedizione. Queste Elite Generals Trooper Cards sono disponibili in un simpatico DLC gratuito e contengono diversi personaggi famosi dell’internet, tra cui anche il bravissimo Alex Moukala (che è anche Italiano, quindi piccolo orgoglio nazionale) o attori come Rahul Kohli (Midnight Mass). A voi la sorpresa di scoprire chi sono gli altri dopo una piccola ricerca su Google, vi lasciamo giusto un piccolo indizio riguardante uno di essi.
Arriviamo a chiudere questa recensione parlando delle uniche cose che mancano: i soliti, quasi sterili, discorsi sul comparto tecnico. La versione del gioco da noi provata su PS5 è risultata essere tecnicamente ineccepibile, con zero bug ludici e nessun rallentamento a schermo. Sessanta frames fissi a supportare un impianto tecnico che, al netto di una conta poligonale non così elevata, riesce a restituire un Giappone affascinante, con atmosfere esotiche ma anche familiari.
Il merito è chiaramente dell’ottimo lavoro fatto in partenza dagli sviluppatori, restaurato giusto un poco prima di venir portato su PS5. Il gioco non ha niente di next gen, chiariamoci, ma resta comunque bello da vedere nonostante i suoi limiti. Il lavoro più grande è stato fatto nelle cutscene pre renderizzate, dove i modelli poligonali e la loro mimica facciale guadagno in realismo e potenza espressiva, risultando più convincenti che mai.
Molto buono anche il comparto audio, con un sound design efficace, poche musiche di qualità e tantissima sonorizzazione quasi ASMR per quella che è la vita quotidiana nel giappone di fine periodo EDO. Di assoluto rilievo anche il doppiaggio, con interpretazioni sentite, voci affascinanti ed un ottima resa una volta che a schermo ci sono i modelli poligonali delle cutscene.
Quali sono i problemi, se ci sono? All’atto pratico è difficile trovare dei difetti veri e propri a questo gioco.
Forse l’eccessiva carne al fuoco, forse la lentezza della narrativa, forse la macchinosità del sistema di controllo che poteva venir mitigata. Forse tutte queste cose sono soltanto caratteristiche di un altro modo per intendere i videogiochi, un modo molto personale per Ryu Ga Gotoku Studios, lo stesso che li ha portato ad oggi ad avere dalla propria uno dei brand di nicchia più interessanti di tutto il sol levante.
Like a Dragon: Ishin è il solito, bellissimo, Like a Dragon. Tantissimi contenuti, una storia scritta bene e recitata meglio ed una personalità strabordante che sacrifica tante modernità in favore di una coerenza di fondo ancora oggi più che ammirabile. Non è un gioco per tutti e non è un gioco con cui è facile interagire: c’è bisogno di pazienza e sopratutto di tempo per poterne saggiare tutte le caratteristiche. Il risultato finale è comunque quello di una produzione di rilievo, per una versione rimasterizzata che mantiene i pregi dell’originale e li dona finalmente anche al pubblico occidentale.
This post was published on 17 Febbraio 2023 16:00
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