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Recensioni

Chained Echoes | Recensione (PC) | Gotta go Fast

La nostalgia dei grandi successi RPG degli anni ‘90 (Xenogears, Chrono Trigger, FFVI e ancora altri) torna a farsi sentire ancora una volta; questa volta però non a causa di un grande publisher o di maestranze dall’eccellenza riconosciuta…

Nelle prime schermate all’avvio del gioco infatti, campeggia il nome di Matthias Linda, sviluppatore indie e padre del progetto Chained Echoes. Veterano dei vari RPG Maker, ha quasi da solo sviluppato l’intero titolo nell’arco degli ultimi 7 anni, pur delegando aspetti come le musiche e i fondali ad altri collaboratori fidati.

Da questa premessa ci aspetteremmo un’“Operazione Nostalgia” senza arte ne parte, eppure il titolo ci sorprende sempre più, dimostrando di non essere frutto solo della nostalgica ammirazione delle vecchie glorie, ma anche (e soprattutto) della comprensione di stilemi e meccanismi che il developer non ha paura di sovvertire al momento opportuno

Un’ambientazione familiare…

Aeronavi… non bastano mai in un JRPG

Ancora una volta, ci troviamo davanti alle solite premesse di ambientazione, care agli stilemi del JRPG: Il continente di Valandis è funestato da tempo immemore da una guerra continua tra Tre Nazioni che si contendono la supremazia militare. In questo contesto si sviluppa una vera e propria Età dell’Oro delle compagnie mercenarie e degli avventurieri, che profittano dalla costante instabilità del continente.

La corsa alle armi alimentata dal continuo conflitto ha portato l’ambientazione a un avanzamento tecnologico a base magica, con le ormai classiche Aeronavi che solcano i venti, e le Armature del Cielo (Sky Armors nel gioco) che permettono al conflitto di svilupparsi non solo sul suolo, ma anche nei cieli.

Da queste prime battute ci si aspetterebbe di vedere città e campagne in preda al panico e alla distruzione, ma invece gli ambienti sono sempre coloratissimi e accesi, le città indaffarate nel lavoro e nel commercio, quasi a testimoniare come le nazioni abbiano raggiunto un (seppur fragile) equilibrio in guerra.

Qui entra in gioco anche l’uso sapiente della pixel art e dei fondali illustrati, che riescono in una sola visione a comunicarci direttamente l’ambiente che stiamo esplorando, ma di questo parleremo più avanti.

I Tamburi di Guerra

Il party combatte nelle fogne, chissà quale bottino troverà!

Il peggior nemico di un RPG che funzioni a dovere e diverta è senza dubbio l’essere prolisso: interminabili dialoghi espositivi, infinite schermate di fine combattimento con i resoconti di ogni battaglia, una trama dall’incedere lento e affaticato.

Ecco, scordatevi di tutto questo, perché lo sviluppatore è riuscito direi quasi magistralmente a prendere lo spirito del JRPG e a rinnovarlo con un dinamismo di gameplay non da poco.

Prima tra tutte, la dinamica principale dei combattimenti di questo titolo, ovvero l’Overdrive.

In ogni combattimento dovremo fare attenzione ad una barra posizionata in alto a sinistra del nostro schermo, l’Overdrive. Questa barra, divisa in tre stadi, verrà “riempita” dalle nostre azioni (come attaccare o usare delle abilità) o quando subiremo un attacco; rimanendo nell’area ottimale (per l’appunto chiamata Overdrive) i nostri attacchi saranno estremamente potenziati e i danni che subiremo saranno diminuiti di molto, ma se invece facessimo il passo più lungo della gamba e si sfociasse nella zona rossa (Overheat) l’opposto sarà vero. Per gestire questo “slancio”, potremo utilizzare oggetti, azioni di difesa o usare le abilità che il gioco ci indicherà in quel momento.

In combattimento inoltre avremo la possibilità di gestire e modificare la nostra formazione al volo, legando tra loro due personaggi che potranno essere scambiati, facendone uscire uno per farne entrare un altro; questo ci permetterà di far fronte molto più efficacemente a combattimenti ostici contro nemici come i boss e miniboss che incontreremo in tutta la mappa.

A proposito delle mappe, anche queste sono gestite in maniera assolutamente ottima: lo sviluppatore ha deciso (per mia somma gioia) di mettere da parte il sistema degli incontri casuali, preferendo invece piazzare i combattimenti in punti specifici della mappa dove le formazioni di mostri saranno ben visibili e pronte al combattimento, liberando così il giocatore da quella “paura di esplorare” che i continui incontri casuali possono causare.

Infine, dettaglio di design non meno importante delle meccaniche di cui sopra: mancano del tutto animazioni di fine combattimento o di racco​​lta degli oggetti. Non avremo più resoconti finali che durino più delle battaglie, ma dei semplici pop-up che ci indicheranno quanto oro e bottino abbiamo ricavato dal combattimento. Inoltre dopo ogni combattimento i nostri eroi saranno completamente ristorati, permettendoci di sperimentare e utilizzare liberamente le nostre risorse senza troppe remore.

La somma di tutte queste decisioni è un gameplay che, nelle circa 30 ore di gioco (55 stimate da completista), rimarrà sempre fresco e dinamico, rimuovendo uno dei maggiori fattori “noia” dei JRPG.

Un cast interessante, in una Trama (forse troppo) espansiva

Lenne e Robb su un tetto della Città di Farnsport

Chained Echoes ha un cast di personaggi molto grande (8 personaggi più 4 segreti), che il titolo non ha paura di separare e riunire a scopi di trama.

Il gioco infatti inizia come le migliori delle narrative parallele: partiamo seguendo le mosse di quello che potremmo considerare il vero e proprio protagonista, Glenn, giovane mercenario della compagnia del “Toro di Ferro” (no, non quello di Dragon Age Inquisition) in missione insieme al suo mentore e compagno d’armi Killian per attaccare una fortezza nemica. Passeremo poi a Lenne, principessa in fuga dal suo regno, e al suo accompagnatore Robb; divenuti membri della guardia cittadina della capitale di un regno nemico; ancora poi Sir Victor; poeta, drammaturgo e bardo, famoso in tutto il continente,  coinvolto negli eventi della trama quasi per caso. Infine Sienna, la “Donna Rossa”, esperta criminale e assassino eccezionale, alla ricerca di ricchezze per saldare un grosso debito.

Le premesse ci mettono però davanti a un’evidenza, di cui ci accorgeremo quasi subito: il gioco sembra essere quasi troppo ambizioso nella sua narrativa, e molto spesso il dedalo di motivazioni, eventi e missioni secondarie può generare nel giocatore un senso di confusione e disorientamento; cosa che non aiuta a comunicare i temi maturi che la trama vuole affrontare, come il senso di colpa, le responsabilità in guerra e riprendersi dai traumi del passato.

Ai problemi sopra citati, si aggiunge anche una certa difficoltà alle volte nel comprendere proprio i dialoghi, a causa di alcune scelte di adattamento in inglese, essendo il gioco originariamente sviluppato in tedesco, lingua madre dello sviluppatore. Ci troveremo infatti di fronte ad alcuni dialoghi di difficile comprensione, che in alcuni casi mescoleranno un linguaggio aulico e “medievaleggiante” con slang moderno e termini tecnici che rompono il ritmo della narrazione.

Una gioia per gli occhi

Uno scorcio sotterraneo, uno dei tanti ambienti mozzafiato del gioco

Il titolo utilizza magistralmente la pixel art 2D per ambienti, personaggi e mostri, senza mai stancare l’occhio o rendere incomprensibili le figure; anzi, la semplificazione dei design “imposta” dall’uso della Pixel Art non impedisce allo sviluppatore di caratterizzare pienamente e rendere memorabili protagonisti, nemici e luoghi.

Il continente di Valandis offre scorci estremamente d’impatto, spaziando da deserti a monti innevati, passando per spiagge assolate e rovine dimenticate; gli ambienti sono spesso curati e caratteristici, al netto di alcune “cadute” che sono tranquillamente trascurabili nel grande schema delle cose.

Ma se gli ambienti accompagnano l’esplorazione, il punto forte della resa grafica del titolo sono certamente i combattimenti: al netto anche qui di un altalenante attenzione nelle animazioni degli sprite, i combattimenti più importanti come le Bossfight saranno certamente indimenticabili, data la cura estetica delle animazioni e degli sprite dei Boss.

Il tutto è infine accompagnato da una colonna sonora dal gusto retrò, composta da Eddie Marianukroh, che ci accompagnerà nei momenti più importanti senza mai stancare, e anzi fungendo da perfetto specchio di quel che sta accadendo a schermo; a differenza di quanto può accadere in alcuni casi, in cui i temi musicali (specie quelli dei combattimenti) sono ripetuti sempre uguali fino allo sfinimento.

In medio stat virtus

Al netto di tutti i problemi, Chained Echoes offre molto più di quanto ci si possa aspettare da un’opera prima, e certamente è un titolo che vale la pena provare, soprattutto se si è appassionati del genere. 

La sorprendente dinamicità del titolo, che si lascia dietro gli inutili fronzoli del genere, pur rimanendo coerente all’alveo dei predecessori, rende questo gioco una delle migliori sperimentazioni sul genere JRPG che abbia avuto occasione di provare. Certamente mi aspetto che questa opera prima non sia la fine dell’autore, ma anzi un’opportunità di raffinare e limare i difetti presenti in titoli futuri, magari non così ambiziosi ed espansivi.

This post was published on 27 Gennaio 2023 15:30

Gaetano Rilievo

Storyteller, Giocatore e appasionato di Forklore e Leggende, non mi sono più staccato dal mio PC dalla prima partita di Age of Mythology. Nel tempo libero adoro tirare dadi a venti facce, collezionare strani oggetti e ovviamente proseguire le infine run dei titoli che cadono sotto le mie grinfie.

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