Tra il 62 e il 65 d.C. il grande filosofo e pensatore Lucio Anneo Seneca, scriveva, tra le lettere che componevano l’epistolario dedicato a Lucilio Iunore, una riflessione sul tempo. Le sue parole erano:
“Omnia, lucilli, aliena sunt, tempus tantum nostrum est”
Tradotto alla buona, significa “tutto ci è estraneo, il tempo è l’unica cosa che abbiamo”.
Il tempo cui Seneca si riferiva, aveva un inquadramento ben preciso: lui parlava del passato. A detta del filosofo, ciò che abbiamo passato, ci apparterrà per sempre e non ci sarà possibile perderlo, nonostante la sua natura “fugace e sfuggevole”.
Le domande a questo punto sono due:
Da queste e da tante altre domande, si apre SEASON: A Letter To The Future. Si tratta di un’avventura sviluppata dallo studio canadese Scavenger, già noto al grande pubblico per il suo precedente titolo, Darwin Project. Si trattava di una battle-royale, per certi versi molto simile a Fortnite, creata nel periodo di boom del genere. Tuttavia, già in quel gioco, vi erano tracce seminali di ciò che i ragazzi di Scavenger avrebbero voluto realizzare, avendo la massima libertà creativa possibile.
SEASON: ALTTF, appare quindi come l’estrinsecazione di un bisogno creativo.
Parlare del titolo non è cosa facile, semplicemente perché ciò che è stato fatto dai ragazzi di Scavenger non è stato solo creare un gioco, ma imbastire una tavola creativa di tematiche che, in un modo o nell’altro, toccano la vita di tutti noi.
E nonostante le tematiche siano tanto universali, giocando il titolo, si avrà la sensazione di essere i soli a vivere quel mondo e a capire quelle sensazioni. Proprio per la maniera per nulla scontata di trattare l’universalità, SEASON è una sfida emozionale che non necessiterà né di lunghe sessioni né di abilità particolari per essere portata a termine. Si tratterà di un viaggio, di un continuo bilanciamento di empatia e cinismo.
Sarete il tipo di giocatori che vuole capire come e perché il mondo gira o sarete interessati a conoscere chi popola quel mondo?
Scrivere una recensione di SEASON è una vera sfida, più di quanto lo è giocare il titolo. Chiedo ai lettori che si approcciano alla lettura, di prendere le mie parole per quelle che sono: suggestioni di un ragazzo, rapito da un racconto delicato ma prorompente basato su emozioni e sensazioni. Una tra le esperienze più intime che potrete mai vivere con un pad in mano.
Partiamo dal titolo del gioco. “Season“.
Cos’è una stagione, in questo mondo di gioco?
Si tratta di un periodo di tempo che non ha un chiaro inizio e una chiara fine. Quello che i personaggi del gioco intendono, parlando di stagioni, è una quantità di tempo indefinita, caratterizzata da avvenimenti molto specifici. Ad esempio, la stagione che ci troveremo a vivere noi, sarà quella subito successiva ad una guerra.
Proprio il tema della guerra sarà quello, in una maniera che non potremo mai comprendere in pieno, che darà il via a tutti gli avvenimenti. La stagione prima della nostra, viene descritta come una stagione florida, in cui si aveva la capacità di dominare i mari grazie a grandi imbarcazioni che altro non sono se non le navi da crociera.
Tuttavia, l’arrivo della guerra, sarà un evento talmente tanto sconvolgente che apporrà la parola “fine” a quella specifica stagione e darà il via alla prossima, quella in cui ci troviamo. Lo so, è un racconto molto confuso ma la paura più grande, scrivendo queste parole, è di rivelare qualche snodo narrativo che potrebbe sottrarvi anche solo in parte, la sensazione di sorpresa che solo l’esplorazione approfondita vi offrirà.
Non verrà quindi chiarito quale sia la stagione entro cui ci muoviamo. Guardandoci intorno, potremo notare vari resti delle stagioni passate, ammassi di ferraglia ispirate a periodi reali dell’umanità: dai camioncini tipici della cultura hippie a meccanismi di trivellazione più evoluti, che creeranno un’atmosfera decadente e angosciante, che apparentemente, male si interfaccia alla lucentezza e ai colori pastello che tingono tutto il gioco.
Sarà però impossibile non sentirsi intrigati nella ricerca di risposte, a domande che inizialmente non sapremo nemmeno di doverci porre. Sarebbe giusto dire, che SEASON: A Letter To The Future è una spirale conica capovolta: si inizierà dalla parte la cui circonferenza della spirale è più ampia, che corrisponderà al momento in cui verremo buttati in questo mondo, di cui ben poco sappiamo; man mano che si discende nella spirale, non si arriva alla piena comprensione ma si riescono ad avvicinare le estremità, in una collisione di eventi che ci aiuteranno ad avere un quadro più definito del mondo.
Non aspettatevi però, che il raggiungimento della punta rappresenti la fine. SEASON è un racconto che rimane dentro. Un viaggio che, una volta concluso, vi lascerà sospesi. Una mistura di sofferenza umana, contornata da sprazzi di leggerezza.
Si tende a dare molto spesso per scontato, quanto sia importante ricordare.
Il ricordo è il mezzo più potente che l’uomo possa avere, perché, se ben custodito, racchiude la fattualità delle cose e, una volta assimilato e fatto proprio, permette di riconoscere le ombreggiature del mondo. La costruzione della morale di ognuno di noi si basa su un ricordo, su una sensazione.
Ma forse ancora più di rado, ci interroghiamo su quali siano gli aspetti positivi dell’abbandonare i ricordi. Vivere di ricordi può significare imparare e crescere o restare fossilizzati, in un punto talmente tanto indietro nel tempo da non riconoscere nemmeno noi stessi.
Luciano De Crescenzo, filosofo partenopeo ad esempio, in maniera molto provocatoria, pensava che “il passato non esiste, perché non è più”. Ma, se tornassimo più indietro nel tempo, potremmo imbatterci in una concezione platonica che vede il tempo come “misura solo del movimento del mondo materiale della generazione e della corruzione, in cui hanno senso i concetti di passato e di futuro”, fino ad arrivare Bergson che lo “spazializza“, rendendolo un’unità fisica che noi tendiamo a separare grazie al ticchettio delle lancette di un orologio. Questo per dire che in tanti hanno parlato di tempo e in tanti termini diversi.
Certo è che, nell’approcciarsi al titolo, dovremo dimenticare qualunque concezione esistente di tempo, meccanicismo e ricordi.
In Season interpreteremo una ragazza, abitante del villaggio di Caro, un noioso ma ospitale villaggio situato su un’altura; uno dei villaggi posti più in alto in tutta la regione.
Già dalle prime battute, potremo esplorare la stanza della ragazza e, nonostante comprendere i meccanismi del gioco non sia immediato, ci renderemo subito conto di star avendo a che fare con qualcosa di molto personale.
Uno dei primi meriti del gioco è quello di dare, immediatamente, la possibilità di calarsi nella storia, esplorando gli oggetti che decorano anche disordinatamente, la stanza della ragazza. E subito percepiremo quanto personale sia frugare tra i suoi ricordi, tra le sue foto. Tanto personale da sentirsi quasi a disagio, come se si stesse veramente entrando a casa di una sconosciuta, cercando di apprendere tutto della sua vita dai semplici oggetti sparsi tra comodino e armadio.
Il primo personaggio con cui interagiremo sarà la madre della protagonista. L’aria sarà tutt’altro che rilassata. La mamma, intenta a preparare la colazione, si rivolgerà a noi con voce fioca e benevola, parlandoci con rassegnazione e speranza, con amore e pentimento.
Scopriremo infatti di essere in procinto di compiere un viaggio.
E fermando qui il racconto pedissequo degli eventi in gioco, parliamo di un grande tema che affligge le coscienze di tutti i protagonisti di questa moderna Odissea: il distacco.
Il distacco può essere vissuto in vari modi e varie forme: può trattarsi di un distacco temporaneo dato dall’allontanamento, di uno permanente dato dalla morte, è distacco il nonno che spira su un letto d’ospedale quanto il ragazzo che va via dalla casa dei genitori, per costruire una propria vita. Ma oltre a forme di distacco del genere, sensibili se vogliamo, il gioco ne propone un’ulteriore, forse ancor più dolorosa sebbene apparentemente astratta: il distacco dai ricordi.
In SEASON i ricordi hanno una valenza particolare, in quanto si è consci della loro natura effimera. Il nostro viaggio sarà ad esempio, finalizzato a raggiungere un luogo che permetterà di preservare dei ricordi per le popolazioni che verranno dopo di noi; come da titolo, dovremo “scrivere” una lettera per il futuro.
E in uno scenario dove i ricordi hanno un peso del genere e in cui credenze e misticismi sono più forti di scienza e raziocinio, la madre della protagonista compirà un gesto, irricevibile per noi spettatori, non avendo ancora sviluppato una coscienza adeguata riguardo alle tradizioni di quel mondo. E tuttavia, ne sentiremo il peso, inspiegabile ma persistente.
Senza spiegare come o perché, ci ritroveremo a compiere un rituale alquanto singolare. Senza sapere come o perché, ci ritroveremo a piangere, assistendo all’abbraccio tra una madre e una figlia, entrambe spaventate ma speranzose. Forse per motivi diversi, ma non sarà poi così necessario saperlo.
Passando al vero e proprio gameplay, SEASON: A Letter To The Future, si potrebbe definire come un “walking simulator“, sulla falsariga di “Everybody’s Gone to The Rapture” o “Solus Project“, con la differenza che la libertà d’azione sarà più preponderante. Anzi, l’immaginazione e la voglia d’esplorare dovranno essere presenti nelle intenzioni di chiunque approcci il titolo. Solo curiosando, come un bimbo alla scoperta del mondo, sarà possibile decifrare ciò che troverete.
Avremo alcuni “compagni” di viaggio molto speciali.
Si tratta di oggetti molto antichi, appartenenti all’età precedente alla guerra e, forse anche per questo, molto rari da trovare in buone condizioni: una macchina fotografica stile Polaroid e un registratore a cassette, oltre alla mai vetusta coppia diario-matita.
Il nostro compito, riferitoci da un personaggio che conosciamo inizialmente solo come “L’Anziana”, sarà quello di affrontare una lunga peregrinazione per raggiungere il cosiddetto “Museum Vault”. Durante il lungo viaggio, dovremo cercare di raccogliere tramite gli strumenti che abbiamo, quante più informazioni che riescano a far percepire sensibilmente ai posteri, com’era il mondo che loro non hanno mai conosciuto. E di cui, probabilmente, senza il nostro sforzo, non vi sarebbe ricordo alcuno.
Esplorare il mondo sarà una valanga di sorprese.
Insieme alla nostra protagonista e al turbinio di sensazioni che la pervaderanno, man mano che il distacco da casa si acuirà, scopriremo luoghi e persone, tradizioni, modi diversi di vedere il mondo. Per ogni luogo che visiteremo, per ogni individuo che incontreremo, sarà nostro compito tirar fuori la macchina fotografica e immortalare gli elementi che ci parranno fondamentali. O, muniti di registratore, scolpire per sempre su nastro, un suono o una canzone che possa ricondurre la mente ad un determinato istante.
Fatto ciò, potremo comporre le nostre pagine di diario. Ogni pagina avrà il nome del luogo in cui abbiamo ritratto quei momenti, in modo da creare un resoconto ordinato dei nostri incontri.
Calandosi nella narrativa del gioco, sarà veramente affascinante e rilassante, fermarsi a contemplare un paesaggio o un cielo stellato e intanto sfogliare proprio quel diario: di ogni posto avremo ricordi, di ogni persona potremo riascoltare la voce e gli insegnamenti, ogni singolarità entrerà a far parte dell’unità della nostra mente. Forse, una lacrima nostalgica ci solcherà una guancia. Forse, ci sentiremo carichi di una responsabilità che per chiunque sarebbe difficile sopportare.
Ma ci basterà imbracciare la nostra bici, il nostro mezzo di trasporto durante tutto il viaggio, e affrontare una discesa di collina col paesaggio che pian piano, senza neanche volerlo, ci racconterà una storia. Starà a noi cercare di ascoltarla.
“Una voce, un tono, solo nel mondo selvaggio, non durerà molto;
Due voci, una melodia e un’armonia, sono abbastanza per sopravvivere un pochino;
Tre voci, una comunità, una canzone, possono durare un’intera stagione.“
Viaggiare è una pratica stupenda, utile ad approfondire la conoscenza che si ha del mondo, ampliando i propri orizzonti di pensiero. Viaggiare da soli permette di restare in compagnia dei propri pensieri, d’indagare dentro se stessi ma, al netto di tutto, si rivelerà una pratica manchevole di una componente essenziale: la condivisione.
Nonostante SEASON si basi sul viaggio solitario di, quella che si potrebbe definire, una custode del tempo e dei ricordi del mondo, non v’è e non vi può essere memoria senza che altri contribuiscano a crearla. E infatti, i momenti migliori del gioco si potranno vivere durante gli incontri compiuti sulla strada.
Ogni personaggio avrà una forte caratterizzazione, sia visivamente che come impatto sulle nostre vite. Da ognuno riusciremo ad imparare qualcosa, anche attraverso loro errori o testardaggine. Anche conoscere sensazioni negative, infondo, è parte essenziale di un resoconto che mira a far conoscere vizi e virtù di una popolazione.
Uno degli incontri che compiremo ad esempio, sarà con un artista solitario. Uno degli incontri più intensi di tutto il gioco e pure l’unico di cui vi parleremo in maniera leggermente più approfondita.
Questo personaggio inizierà ad interagire con noi, dopo averci visto fotografare la sua arte, disposta un po’ a casaccio in una foresta. Data l’età avanzata e la vista non proprio aguzza, ci chiederà di mostrare le foto che abbiamo realizzato, ad una distanza tale che possa vederle per bene. E vedendole, si ricorderà della sua arte, un’arte che non vedeva da tanto tempo, da cui si ero distaccato.
Arriva a rinnegarla, a parlarne con disprezzo, a lamentarsi di come non abbia mai fatto nulla che abbia lasciato il segno tanto che pensa sia giusto che venga dimenticata. Ma alla scoperta del nostra viaggio e della nostra missione, ci chiederà di portare con noi testimonianza del suo lavoro, in modo che venisse ricordato per sempre.
Da questo incontro, riusciamo ad avere uno spaccato della psiche umana e di come, per quanto si possa essere cinici, essere ricordati è un obiettivo cui tutti agognano, sia esso per un motivo di grande valore sociale o per un’opera d’arte storta realizzata con scarti di ferraglia industriale.
Tuttavia, la conclusione della vicenda lasceremo che siate voi a scoprirla. Non c’è regalo migliore per delle menti affamate di conoscenze e sensazioni, di lasciare che esperiscano da sole quelle sensazioni e conoscenze. Vi basterà semplice chiudere gli occhi ed iniziare ad ascoltare, in una maniera che mai avete esperito prima.
SEASON: A Letter To The Future presenta uno stile grafico simil cel-shading, seppur i modelli 3D abbiano dei contorni ben poco definiti. Le tonalità pastello creano bellissime immagini che permettono all’occhio di rilassarsi, regalando sensazioni distensive durante le sessioni di esplorazione o durante i giri in bici.
Artisticamente, ci muoviamo in un mondo che è volutamente “svuotato” e che quindi va analizzato, più per quel che c’è, per quel che manca. Tanti piccoli elementi, tanti piccoli spazi vuoti, potranno essere colmati solo con racconti, lettere, annunci e suoni.
Ma è proprio in questi aspetti che SEASON rivela tutta la sua magia, riuscendo a creare un mondo estremamente leggibile se si ha la voglia di soffermarsi sui dettagli. Anche molte delle domande che nasceranno durante il viaggio, troveranno a modo loro una risposta, che sia anche la semplice bellezza estetica che un paesaggio riesce a regalare.
In SEASON assumono importanza fondamentale i 5 sensi che gli esseri umani usano per percepire il mondo. Vi sarà quindi un’attenzione particolare nella descrizione non solo visiva degli ambienti ma si cercherà di calare il giocatore negli luoghi, nei microcosmi che si esplorano. Verranno descritti odori, sapori, verranno uditi suoni e suonate canzoni. Sentiremo la polvere sulle nostre dita, spolverando un vecchio giradischi e sapremo descrivere il sapore di un frutto mai mangiato prima.
Grande attenzione sarà poi data alla musica e ai suoni, naturali o meno, che ci circonderanno. Ogni minuzia può essere utile nella riscoperta del mondo, anche le semplici voci di una coppia di innamorati che discuteranno su dove parcheggiare un’automobile.
Elemento importante del racconto, è l’arte del fumetto. I dialoghi e anche l’impostazione registica, sembreranno ispirati all’arte fumettistica e, come se non fosse già molto chiaro dalle scelte artistiche, ci pensano i famosi baloon, tipici dei fumetti, che serviranno da gabbia per i dialoghi tra i personaggi.
In un mix di tecnologia, natura, religione e scienza, riusciremo ad avere la sensazione di starci muovendo in un mondo che, una volta, brulicava di vita. Ma di quella vita ormai, restano solo sparuti ricordi.
SEASON: A Letter To The Future è quel gioco che non si sa di voler giocare, finché sviluppatori come Scavenger non te lo propongono. Da un’esperienza che dai trailer non era mai troppo chiara, si finisce con l’immergersi in un mondo molto vero, in cui gioie e sofferenze si alternano senza un vero e proprio disegno più grande. Non esistono risposte corrette, non esiste una sola verità e non si saprà mai se azioni descritte in gioco, siano semplici superstizioni di popoli andati o vere testimonianze di magia sulla terra. Perché in SEASON non sarà importante sfatare un mito o districare un mistero ma, come nelle migliori esperienze, tutto ciò che conta sarà il viaggio. E molto spesso per viaggiare, anche una bici è superflua. Potrebbe bastarvi semplicemente chiudere gli occhi per un minuto, stendervi sull’erba e assistere all’avvento di una nuova stagione.
This post was published on 26 Gennaio 2023 16:00
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