Approcciarsi al mondo del videogioco, non sempre è facile ed immediato. C’è chi, nato in epoca recente, si trova immerso in un mondo in cui videogiochi e apparecchiature elettroniche, vengono masticate e digerite agevolmente, trovando attorno a sé una non indifferente quantità di strumenti per comprendere appieno il mondo; c’è chi invece, essendo nato qualche decade fa, arranca a comprendere l’evoluzione che determinati medium hanno subito o continuano, tutt’ora a subire.
Il videogioco è il perfetto esempio di questa evoluzione, essendo uno tra i medium d’intrattenimento più “giovani” e, forse anche per questo, in continua evoluzione. Nonostante l’attenzione attorno ad esso sia cresciuta negli ultimi anni, nessuno può prevedere con certezza quale sarà il prossimo step evolutivo del videogioco, nessuno sa quali idee domineranno il mercato tra 10 anni.
Ma c’è chi, per amore di nostalgia, continua a sviluppare giochi che si potrebbero tranquillamente definire anacronistici, che sicuramente non monopolizzano la discussione specialmente tra i più giovani.
Nonostante ciò tali giochi, spesso e volentieri, si rivelano essere estremamente necessari; sicuramente per accontentare quella fascia di giocatori vissuti, bramosi di mettere le mani su titoli che ricordino i pomeriggi passati ad inserire gettoni, in qualche cabinato di una sala giochi il cui odore acre delle sigarette insozzava le narici. Sicuramente per preservare la cultura del videogioco che è ancora ostacolata dai sistemi di funzionamento del mercato e dei supporti.
Giochi dotati di un anacronismo tale da sembrare eterni, sono necessari soprattutto dal punto di vista propedeutico del medium: l’evolvere delle generazioni, porta spesso a dimenticare ciò che è stato e, la mancanza di bibliografia accurata e facilmente consultabile, porta molti periodi videoludici ad essere dimenticati, superati, fino a diventare sparute macchie nei ricordi di chi ha distrattamente ascoltato un racconto dei propri genitori.
Ma come detto, qualcuno ha deciso di farsi carico di questo difficile compito, cercando di creare un nuovo modo di giocare titoli “vecchi”, permettendo indirettamente di conoscere quella che è stata la storia del medium che appasiona tanti giovani e meno giovani attorno al globo.
Nello specifico, parliamo della software house Joymasher e della sua ultima fatica: Vengeful Guardian: Moonrider. Oltre a parlare dunque del titolo, di ciò che offre, del pubblico a cui si rivolge e quant’altro, cerchiamo di capire chi sono i ragazzi di Joymasher e come si è arrivati allo sviluppo di Vengeful Guardian: Moonrider.
Joymasher è una software house indipendente brasiliana fondata nel 2012 da Danilo Dias e Thais Weiller. Come riportato sul loro sito, i due creatori hanno deciso di fondare Joymasher in quanto “devoti” al desiderio di creare divertimento.
Il team, sin dai suoi albori, ha intrapreso una strada ben precisa: creare giochi che dessero un feeling retro, che permettessero ai piccini di scoprire mondi di giochi inesplorati e figli degli anni ’90 e, che dessero la possibilità ai più grandicelli di rivivere tutta la gamma di sensazioni che dava il chiudersi un pomeriggio su un Contra o un Metal Slug.
Dopo aver esordito con due titoli passati piuttosto in sordina, Oniken e Odallus che comunque, racchiudevano già tutta la filosofia dello studio in quanto a creazione di mondi e tipologia di gameplay, sono esplosi nella nicchia degli appassionati grazie a Blazing Chrome. Questo titolo è un Run ‘n Gun che sembra aver assorbito il meglio dall’esperienza degli anni ’90, propri da titoli come Contra e Super Contra, dei veri e propri genitori spirituali.
Dal successo di Blazing Chrome, il team decide di spingere ancora più sull’acceleratore e creare un nuovo gioco, un nuovo mondo, con delle sensazioni che potessero toccare altri tasti emozionali nel cuore dei giocatori.
Uno dei creatori di Joymasher, Danilo Dias, per quanto riguarda il gioco dopo Blazing Chrome, dichiara di aver cercato di carpire al meglio la filosofia dello sviluppo in 16-bit e di voler dare ai giocatori la sensazione di star giocando qualcosa di veramente antico e vissuto.
Per citare le sue parole:
Ho cercato di creare un’autentica esperienza, come se aveste trovato nella vostra cantina, un gioco mai rilasciato per MegaDrive o Genesis.
Per realizzare quest’obiettivo, lo studio si è avvalso di vari metodi per “ingannare” i giocatori e restituire una sensazione straniante, che permettesse di far dimenticare a chiunque si approcciasse al gioco, in che anno ci si trovi.
Con queste premesse, nasce Vengeful Guardian: Moonrider e non ne potremmo essere più felici. Ma detto questo, tolti tutti i fattori ambientali e nostalgici, il gioco com’è?
Vengeful Guardian: Moonrider, che per amor di laconismo, d’ora in poi chiameremo soltanto VGM, è un gioco action platformer a scorrimento laterale, ispirato all’età d’oro dei classici a 16-bit. La sensazione che il gioco vuole restituire è quella del cabinato, tramite una vasta gamma di feature che renderanno l’esperienza decisamente unica.
Chi si sarà trovato a vivere il periodo d’oro dei cabinati, ricorderà sicuramente quanto ogni monetina inserita fosse importante, dato che, una volta morti in gioco, non solo quella monetina sarebbe stata persa per sempre ma, con essa, sarebbe venuto meno anche il diritto al nostro turno.
E VGM cerca di restituire proprio questa sensazione di paura, proponendo otto livelli diversi, affrontabili in modi diversi e in ordine libero e sparso, estremamente punitivi, che obbligheranno il giocatore a ricominciare tutto da capo nel caso finisca per ritrovarsi senza punti vita.
Le vite per livello sono solo quattro e, se a giocatori più navigati potrebbero anche sembrare tante, per chi decide di approcciarsi per la prima volta a titoli del genere, avere un counter così ridotto di vite, rappresenta una sfida non indifferente.
Il modo in cui sono costruiti i livelli poi, permette varietà d’approccio: sarà possibile prendersela con calma, cercando di capire cosa ogni nemico sa fare e come evitare i danni che potrebbe infliggerci oppure, una volta diventati esperti, si potrebbe correre attraverso tutti i pericoli del livello in maniera sciolta e fluente, con l’unica preoccupazione di battere il boss nel minor tempo possibile.
Lo stesso livello può essere completato in venti minuti o in cinque, dipende tutto dal tipo di giocatori che vorrete essere. E se state giocando un gioco come VGM, è normale che voi siate tra quelli che puntano al minor tempo possibile e non al semplice completamento.
Alla luce della difficoltà abbastanza elevata, della scheda di fine livello che contando tempo e punteggio ottenuto, darà un voto su come abbiamo affrontato il livello, si potrebbe tranquillamente dire che VGM è il tipo di gioco che spinge chi vi si avventura, a voler diventare bravo. E non solo a voler essere bravo, ma ad esserlo più di altri.
VGM è quel gioco che, se giocato in solitudine da sicuramente soddisfazioni, specialmente quando si riesce a superare un muro che si pensa invalicabile ma che, se giocato con la giusta compagnia di amici, può riempire serate intere di quel mix di frustrazione e soddisfazione che solo la competizione diretta sa dare.
Come già detto, VGM è un action platformer a scorrimento laterale. Considerando la natura del gioco e avendo un minimo d’esperienza, le prime run potrebbero darci sensazioni contrastanti.
Dopo aver affrontato un rapido ma efficace tutorial, si viene buttati nel primo, obbligatorio, stage. Avendo giocato titoli che ricordano tanto VGM nella sua impostazione di gameplay e vedendo i movimenti che i nemici effettuavano, tante domande mi tartassavano: “perché non è possibile fare un dash? Perché non ho un doppio salto? Perché ho un solo attacco speciale?”.
Abituarsi a giocare significa anche sapere cosa ricercare, pad alla mano e, in un primo momento, VGM sembrava porgere il fianco a molte manchevolezze. Ma è bastato proseguire giusto un pizzico nell’esplorazione dei livelli, per avere accesso ad una vasta gamma di potenziamenti che hanno aggiunto varietà al titolo, aumentando le possibilità che si hanno di affrontare lo stesso punto in modi diversi.
I potenziamenti possono essere di due tipi: attivi o passivi.
I potenziamenti passivi saranno rappresentati come dei chip che, indossati massimo due alla volta, daranno accesso ad abilità uniche come il doppio salto o l’aumento della scoperta di luoghi segreti. I potenziamenti attivi, una volta utilizzati, andranno a consumare parte di energia racchiusa in una barra posta in alto a sinistra dello schermo, accanto alla vita del personaggio. Questi avranno la possibilità di essere cambiati all’interno del livello, senza bisogno di sceglierne un numero limitato prima di iniziare il livello.
Questi elementi si sommano ad un gameplay molto solido, con sezioni di platform abbastanza interessanti e ansiogene. Passeremo dal classico action a scorrimento laterale in cui dovremo affrontare nemici su nemici, saltando, colpendo e schivando a sezioni subacquee in cui cambierà il nostro modo di muoverci, obbligandoci a ricalibrare ogni nostro input.
O ancora, vi saranno sezioni in cui saremo in sella alla nostra moto, inseguiti da altri Guardian o da androidi biomeccanici volanti, mentre un sole calante ci si parerà davanti, circondato da grattacieli e colori acidi.
Nonostante si tratti di un gioco che fa del gameplay, il suo punto di forza più preponderante, una storia c’è e ci viene presentata anche in maniera piuttosto interessante.
Verremo introdotti alla vita in uno stato totalitario, in un’ambientazione futuristica distopica e decadente, in cui solo la sottomissione al potere costituito permette la sopravvivenza. Noi interpreteremo un “Guardian Moonrider”. Si tratta di una sorta di poliziotto robot umanoide, a metà tra Robocop e Joe Musashi di Shinobi.
Come noi, esistono altri robot, tutti progettati dal governo per mantenere il potere, tramite l’uso della forza. Tuttavia, per una sorta di guasto, noi ci ribelleremo ai nostri creatori, realizzando quanto tale comportamento sia scorretto e cercando di correggerlo, in un furente moto vendicativo.
A raccontare la storia saranno vari elementi, diretti o meno: la vera e propria trama ci verrà narrata da estratti di finte trasmissioni televisive, come se fossimo un uomo che, durante una sessione di annoiato zapping, venga a conoscenza dei fatti del mondo. Grazie alla cura che gli sviluppatori hanno profuso in VGM, riusciremo ad avere stralci di narrazione anche solo osservando gli sfondi realizzati con una magnifica e curata pixel art.
Palazzi in fiamme, basi segrete, vendite di armi illegali, tutto andrà a costituire un mondo credibile entro cui muoverci con sempre meno rimorsi.
Lo stile narrativo attinge a piene mani dalla tradizione narrativa orientale degli anni ’80 e ’90: dalle parole di Danilo Dias apprendiamo ad esempio che una forte ispirazione è arrivata dai tokusatsu ovvero famosi film giapponesi coi mostroni alla Godzilla.
Parlando di narrativa indiretta, concentriamoci sul personaggio che interpreteremo, il Guardiano. Basterà in realtà dare un’occhiata al primo trailer di lancio del gioco, per rendersi subito conto di come due delle più grandi ispirazioni per la creazione non solo del protagonista ma di tutto il concept di gioco, siano prese da due opere nipponiche tra le più importanti nel panorama pop: Kamen Rider e Ultraman.
Sebbene qui in Italia, tali personaggi non diranno molto, in Giappone sono due vere icone del cinema e della televisione di genere. Due figure capaci d’incarnare la giustizia solitaria che non rende conto a nessuno se non agli oppressi.
Ultima ispirazione da ravvisare per quanto riguarda il nostro protagonista, la potremmo identificare nel costume. Questo infatti riprende le forme dalla tradizione giapponese del teatro Kabuki, essendo addobbato con maschere ghignanti, che, sempre secondo le dichiarazioni di Dias, rappresenterebbero degli Oni, dei demoni giapponesi che si dice, nascessero dalla paura e dall’angoscia che coviamo dentro.
Non è un gioco che comprerete per la trama, ma questa, in maniera silente, vi conquisterà, permettendovi d’immergervi in una bellissima ambientazione futuristica, mutuata dall’hard boiled Milleriano, dal cyberpunk Gibsoniano e dalla tradizione orientale.
Un importante discorso da fare, riguarda sicuramente lo stile artistico del gioco. Gli sviluppatori hanno raccontato più volte, in interviste varie, come il team di Joymasher abbia lavorato con cura ad ogni minimo dettaglio sia per quanto riguarda i personaggi a schermo, sia per quanto riguarda gli sfondi.
Lo studio esercitato sulla pixel art in 16-bit ha aiutato a rendere VGM uno spettacolo per gli amanti del vintage videoludico. E ad un minuzioso lavoro di modellazione, si sommano le ispirazioni artistiche che hanno dato il là alla maggior parte dei nemici e dei personaggi che incontreremo.
La risposta, ancora una volta, giunge dal chiacchierone Danilo Dias: in un’intervista pubblicata sul Playstation Blog, ha affermato di essersi ispirato a due grandi artisti, capaci di creare con la loro arte, nuovi modi di concepire le sensazioni a schermo: H.R. Giger e Keita Amemiya.
Il primo non avrà sicuramente bisogno di troppe presentazioni: si tratta di uno dei più famosi e fruttuosi character designer che il mondo del cinema abbia mai conosciuto, padre di quello stile a metà tra il meccanico e l’organico, caratteristico di un sacco di produzioni horror come ad esempio la saga di Alien.
Già dai trailer è possibile ravvisare delle similitudini tra alcuni dei mostri visti nel gioco e le ispirazioni gigeriane, come uno dei primi boss incontrati: un’enorme figura umanoide, metallica che, per attaccare, scoprirà il suo petto, esponendo delle parti organiche che se colpite, la danneggeranno. Oltre a questo fattore, la presenza di elementi di background (tubi, fili, innesti vari) daranno la sensazione di trovarsi in un racconto che solo una certa scuola di registi anni ’80 ha saputo mettere in scena.
Il secondo, forse meno conosciuto in occidente, Keita Amemiya, è un nome che nel mondo dei videogiochi ha portato tante cose innovative e stupende da vedere: basti pensare che Amemiya è il character designer di giochi come Onimusha 2: Samurai’s Destiny, Onimusha 3: Demon Siege, Shin Megami tensei IV e molti altri. E, per far ancora quadrare tutto, Keita Amemiya è il character designer di parecchi film dedicati proprio a Kamen Rider e Ultraman.
Vanno spese delle parole anche per quanto riguarda un’altra estrinsecazione artistiche: quella musicale. L’idea di base è sempre quella: impiegare un paradigma di sound design che potesse ricordare i bei tempi andati, l’età dell’oro del videogioco in 16-bit. Per nostra fortuna il lavoro svolto si è rivelato veramente incredibile.
Si cede immediatamente all’illusione di star ascoltando una registrazione di un CD-Rom da degli speaker mezzi distrutti, che tendono a distorcere il suono. Con quella grana Lo-Fi tipica delle radiocassette. E lo stesso registro stilistico è stato applicato anche nei dialoghi dei personaggi.
Coronare un’esperienza con la giusta musica, è ciò che permette di rendere un semplice bel gioco in un piccolo capolavoro. E il giusto compromesso musicale è stato trovato in un mix di generi che vanno dal techno postpunk alla synthwave, pompando continua adrenalina tra i vari scenari. Sarà impossibile non finire ogni sessione totalmente ipnotizzati dai riff di sintetizzatori e dall’acredine di quei suoni, così imprecisi eppure così affascinanti.
Vengeful Guardian: Moonrider è una sfida che Joymasher lancia al mondo dei videogiocatori. Il gioco potrebbe essere visto come una pigra operazione nostalgica o come un ricorso storico che, ciclicamente si ripresenta come fatua fiammella dei tempi andati. Ma c’è molto di più. VGM è una lettera d’amore ad un modo ormai passato di fare videogiochi, ad un modo ormai in disuso sull’approccio di ricerca da adottare nella creazione di un mondo narrativo in 16-bit. Vengeful Guardian: Moonrider è un piccolo gioiello da preservare e far conoscere a più gente possibile, per non dimenticare mai quali sono le radici del mondo entro cui, io scrittore e voi lettori, amiamo evadere quando abbiamo bisogno di staccare dalla realtà. E poi è anche ottimo per sfidare un vostro amico e vedere chi ce l’ha più grossa… la memoria dei tempi andati.
This post was published on 22 Gennaio 2023 16:00
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