Una compagnia di avventurieri intraprende un lungo viaggio, pronti ad affrontare una valanga di nemici, mostri e insidie. Superando oceani, oscuri dungeon e splendidi paesaggi naturali, scopriranno nuovi regni e città: quest’ultime perfette per scambiare tesori e riposare, a patto di non venire travolti da qualche oscura catastrofe che minaccia l’intero reame.
Un viaggio scandito da combattimenti, forzieri e potenziamenti, in grado di immergere per ore e ore in un mondo vasto e fantastico. Questa che avete letto è una vaga e breve descrizione di alcune meccaniche che contraddistinguono un franchise gigante e seminale come Dragon Quest, sbarcato nei piccoli schermi nipponici nel 1986: il gioco ha dato inizio alla tradizione videoludica che ancora oggi definisce le caratteristiche tipiche di un JRPG, consolidate nel 1987 con l’arrivo del primo Final Fantasy.
Un altro franchise che rientra in questa descrizione, pur nascendo da un altro medium, è One Piece di Eiichiro Oda. Qualsiasi gamer appassionato delle avventure dei Cappello di Paglia può notare quanti punti di contatto ci siano tra gli JRPG e OP, portando moltissimi giocatori a desiderare, segretamente o a gran voce, un bel tie-in di questo genere.
Una speranza rimasta ben salda nel cuore di milioni di giocatori da decenni, nonostante i numerosi e dimenticati tentativi già proposti in passato. Giochi dai risultati così amari da spingere gli studi e Shueisha ad abbandonare la formula JRPG, investendo piuttosto sulla produzione di alcuni picchiaduro e titoli musou, come l’apprezzata saga di Pirate Warriors, o deludenti esperimenti open-world, come One Piece: World Seeker del 2018.
Detto questo, è facile comprendere perché lo sbarco di One Piece: Odyssey possa rappresentare una golosa occasione per sfamare questa fame capillare da JRPG a tema OP. Prima di scoprire se il piatto cucinato dal team di ILCA sia riuscito a tappare questo buco nero allo stomaco, mi sembra giusto fare qualche ammissione!
Quella che leggerete è una recensione di un appassionato di JRPG e One Piece che ha totalizzato quasi 60 ore di gioco per poter completare la storia principale e dedicarsi ad una dozzina di attività e missioni secondarie. Una cosa quindi possiamo già dirla, One Piece: Odyssey è un titolo denso e lungo che vi porterà via davvero tante ore per completarlo nella sua interezza. La domanda è: ne vale la pena?
Basata sul soggetto firmato da Eiichiro Oda in persona, la storia di Odyssey precede la saga di Wano e comincia nei pressi di un’isola misteriosa. Nei primi secondi della spettacolare cinematic d’apertura (purtroppo la più curata del gioco) vedremo i protagonisti colpiti da una tempesta di fulmini ghiacciati: lo stravagante evento atmosferico investe la Sunny e la ciurma dei Mugiwara mentre vengono catapultati in cielo da un enorme getto d’acqua.
La ciurma finirà per naufragare sulla sconosciuta isola di Waford, dove faranno la conoscenza di due nuovi personaggi disegnati da Oda stesso: il carismatico Adio, un esploratore misterioso, e Lim, una ragazza dotata di poteri fuori dall’ordinario.
Si, fuori dall’ordinario, persino per un mondo abituato ai Frutti del Diavolo: con un solo tocco, Lim priva la ciurma di tutta la loro forza, facendo dimenticare ad ogni membro ogni tecnica acquisita fino a quel momento. Una volta realizzato che i Mugiwara non sono una minaccia, Lim e Adio aiuteranno la compagnia a tornare forti come un tempo: la ciurma dovrà raccogliere dei cubi dove sono racchiusi i loro poteri, sconfiggendo una serie di colossi elementali che abitano Waford. Una scelta drammaturgica che giustifica con furbizia la progressione tipica del genere di riferimento.
Per poter assorbire questi cubi, i Mugiwara dovranno rivivere letteralmente alcuni dei loro ricordi più significativi. A metà tra un viaggio dimensionale e nel tempo, Lim teletrasporta i Cappello di Paglia in una dimensione chiamata “Memoria”: un portale che ci porterà a ripercorrere la saga di Alabasta e altri iconici archi narrativi della saga di Oda.
Se speravate in una trama inedita e che potesse vivere di vita propria, vi conviene ridimensionare le aspettative. Anche se Lim ci avvisa che i ricordi non sono affidabili e che dentro ”Memoria” alcune situazioni potrebbero cambiare, gran parte del gioco la passeremo a rivivere eventi già ben noti a qualsiasi fan di OP.
Questi ricordi, oltre a soffrire di una dilatazione estenuante e familiare a chiunque abbia seguito l’anime di Toei Animation, sono raccontati prendendo per scontato che il giocatore conosca già la storia, privando la narrazione di tanto pathos. Questo perché tante cose vengono semplicemente fatte leggere, tra spiegoni poco dettagliati o immagini didascaliche.
Gli eventi legati all’inedito intreccio narrativo dell’isola di Waford, per quanto interessanti, cominciano a svilupparsi significativamente solamente durante gli ultimi capitoli. Anche in questo caso, la narrazione è supportata da ulteriori spiegoni e immagini: una scelta abusata che ha risparmiato parecchio lavoro e soldi al team di ILCA, ma che tende ad appiattire il coinvolgimento del giocatore, evidenziando fortemente un difetto già piuttosto marcato nello storytelling pop giapponese.
Questo non vuol dire che non siano presenti scene spettacolari e cinematic ben dirette, d’altronde il team di sviluppo aveva lavorato all’ultimo Dragon Quest e si vede in tante occasioni, ma non bastano a coprire le mancanze causate da un ritmo narrativo sbilanciato, più spiegato che mostrato, e uno sviluppo spesso prevedibile.
Malgrado questi problemi, è apprezzabile l’impegno degli sceneggiatori nel giustificare ogni aspetto e limite prettamente ludico e tradizionale del genere: ogni potere di Lim è costruito per giustificare le meccaniche ludiche che potrebbero minare l’immersività e la coerenza degli eventi.
Un esempio sono i cambiamenti e le sintesi apportate negli ambienti e nelle vicende delle saghe, giustificate con i limiti poco affidabili della memoria umana. Quando invece incontreremo Bibi e non noterà che Rufy ha una cicatrice sul petto e Zoro un occhio in meno, non preoccupatevi, perchè Lim ha la risposta: dentro “Memoria” i Mugiwara appaiono agli occhi delle persone esattamente come erano a quel momento della storia.
Se sognate di vivere un’avventura in compagnia della ciurma dei Cappello di Paglia, Odyssey ha tutte le carte in regola per realizzare questo desiderio. Anche se la storia non tocca gli apici più alti raggiunti dal manga, il JRPG di ILCA ha tutti i topoi tipici delle trame di Oda. La qualità non si allontana dagli ultimi film realizzati da Toei in collaborazione con l’autore, nel bene e nel male, e il mistero dell’isola di Waford aggiunge un nuovo interessante capitolo all’enorme mitologia di One Piece, perfettamente coerente con la lore tanto analizzata e discussa dai fan più accaniti.
Per quanto riguarda le interazioni e i dialoghi tra i personaggi, riescono a regalare con efficacia le goliardiche e vivaci atmosfere a cui ci hanno abituato le risate e i battibecchi dei Mugiwara! In perfetto stile Oda, non mancheranno neanche epici scontri finali e momenti drammatici: sempre alternati e smorzati dalle reazioni esilaranti della ciurma, coerenti con la caratterizzazione che ha conquistato i lettori del manga più venduto al mondo. Insomma, se siete tra quelli che corrono al cinema quando escono film come One Piece: Red o One Piece: Stampede, non potete farvi sfuggire questo tassello.
Graficamente One Piece: Odyssey sfoggia un mondo che non sorprende come avrebbe potuto. Come già intuito dai trailer, ILCA propone una cifra estetica ispirata a Dragon Quest XI: Echi di un’era perduta, ma senza raggiungere la stessa efficacia: il principale punto debole sono gli ambienti naturali, colorati sempre da tonalità pastello, ma caratterizzati da una conduzione artistica in molti frangenti poco ispirata.
Spesso questi scenari risultano scarni, quasi anonimi, a differenza degli splendidi paesaggi a cui ci ha abituati Oda. Fortunatamente lo stesso discorso non vale per le città che visiteremo. Regni come Alabasta o Dressrosa, sono tra gli ambienti più belli, ricchi e convincenti del gioco: esplorare alcune delle città più iconiche di OP, è un’esperienza che facilmente riscalderà il cuore dei fan.
Un altro elemento estetico riuscito sono i modelli dei personaggi, ben realizzati e abbastanza dettagliati da sopperire alle animazioni piuttosto ingessate e un lip-sync che nove volte su dieci non funziona. Un dettaglio encomiabile lo troviamo nel cappello di Rufy: se guardate bene presenta le ricuciture dei tre tagli inflitti da Buggy il Clown durante i primi capitoli di OP.
Visivamente il punto più alto viene raggiunto grazie alle tecniche dei Mugiwara, galvanizzanti e sempre precedute da spettacolari cinematic che strizzano l’occhio all’anime, tutte esaltate da una fotografia curata e un montaggio dinamico. Sequenze dal taglio epico o comico (soprattutto per quanto riguarda Usopp), così efficaci che faranno gridare ogni fanatico di OP senza perdere fascino anche dopo decine e decine di ore di gioco.
Inoltre, se anche voi avete un passato pirata fatto di episodi subbati di OP, sarete felici di sapere che il gioco è esclusivamente doppiato in giapponese dal cast originale (ed è sottotitolato in italiano). La colonna sonora orchestrale, firmata da Motoi Sakuraba, non brilla come i pezzi più noti proposti nei film o nelle serie animate, ma rimane piacevole anche dopo decine di ore ed è in linea con le atmosfere che accompagnano il celebre franchise.
La domanda principale che risiede dietro ogni JRPG con combattimenti a turni è una e una soltanto: il sistema di combattimento è divertente? Se siete appassionati del genere è impossibile non notare la difficoltà poco marcata, difetto forse ereditato anch’esso da DQ XI, o anche la ripetitività delle boss fight, piuttosto piatte e, tranne qualche sporadica eccezione, poco diversificate dal resto degli scontri.
Fin troppo spesso i combattimenti con i boss si traducono in nemici dotati semplicemente di parecchi life point, e raramente i loro attacchi metteranno in pericolo la ciurma. Se ve la sentite di ingoiare questi difetti, allora la risposta è assolutamente si: il combat system è divertente. One Piece: Odyssey rinfresca il sistema tradizionale di questo genere proponendo un combattimento caratterizzato da un posizionamento a zone e un classico sistema triangolare di debolezze( una struttura alla “sasso, carta, forbici”), basate sulle classi dei personaggi e dei nemici.
I personaggi “Potenza”, come Rufy o Sanji, causano facilmente ingenti danni ai nemici che appartengono alla categoria “Velocità”, che a loro volta saranno molto pericolosi contro personaggi “Tecnica”, come Zoro o Nico Robin, e così via. In ogni momento è possibile cambiare la posizione e i membri della nostra squadra, meccanica che si incastra benissimo con il sistema a zone e che offre una godibilissima libertà.
Approfittando dell’elevato numero di personaggi, disponibili sin dalle fasi iniziali, e sfruttando il posizionamento, e quindi le debolezze dei nemici, sarà alquanto difficile ritrovarsi sconfitti: non ho mai raggiunto il fatidico “game over”, che quasi sempre accompagna le mie esperienze videoludiche. La formula imbastita da ILCA è strutturata per un approccio strategico e avvincente, ma fa fatica a brillare proprio perché raramente la difficoltà costringe il giocatore ad un approccio più tattico, andando così a perdere gran parte delle succulente potenzialità del combat system, e non solo.
Un’altra meccanica interessante e oscurata dal basso grado di sfida è il sistema di equipaggiamento: è basato su un sistema di accessori, sotto forma di cubi e tasselli, che possono essere potenziati attraverso un processo di fusione permesso dalle abilità di Nico Robin. Gli accessori possono essere utilizzati da qualsiasi membro della ciurma, a patto di avere abbastanza spazio nel proprio slot a incastro, evidenziando ancora una volta la libertà d’approccio a cui può ambire il gameplay di Odyssey.
Grazie alla generosa quantità di tecniche (chiamate “abilità” nel gioco), tutte squisitamente decorate da cinematic avvincenti e spettacolari, sarà difficile per un fan di One Piece non rimanere elettrizzato dal combattimento, nonostante i difetti già citati. Alcune delle tecniche più iconiche, come il Canto del Leone di Zoro o il Gom Gom Jet Bazooka di Rufy, potrete già provarle nei primi minuti di gioco, giusto poco prima che il tocco di Lim priverà i Mugiwara dei loro poteri.
Quando invece si arriva alle fasi finali, alcuni personaggi arrivano a contare anche fino a 16 abilità, sfoderando alcune delle tecniche più epiche apparse in One Piece prima dello sbarco a Wano. Queste abilità sono diversificate, oltre che da varie proprietà elementali o effetti come il bleeding, dalle aree che possono raggiungere e colpire. Alcune abilità possono attaccare solo i nemici della nostra zona, mentre con altre ancora anche i nemici più lontani.
Tra le tecniche più potenti e roboanti del gioco, ci sono ovviamente anche le abilità in team che coinvolgono in un attacco combinato 3 o 4 membri della ciurma. Queste tecniche sono sbloccabili svolgendo alcune missioni speciali che porteranno i Cappelli di Paglia dentro i ricordi di alcuni NPC, chiamati “collegamenti mnemonici”, quest semplici e condite da storie altrettanto semplici, ma che si riveleranno una golosa occasione per potenziare il nostro arsenale e vedere i Mugiwara coinvolti in altre stravaganti e inedite avventure.
Altre attività laterali alla storia principale sono gli avvisi di taglia che troveremo appesi per le varie locande e alcune quest secondarie. Questi elementi, più le sfide introdotte nella fase endgame, portano la durabilità di Odyssey a cifre decisamente importanti e ben al di sopra delle 30/40 ore necessarie solo per completare la quest principale.
L’esplorazione di Odyssey è un altro elemento facilmente sovrapponibile a Dragon Quest XI, anche se questa volta, a spuntarla in questo inevitabile paragone, è forse proprio il titolo sfornato da ILCA. Prima di tutto, per poter potenziare le spettacolari abilità della ciurma, non c’è altro modo che trovare dei frammenti cubici verdi sparsi negli angoli più infrattati delle mappe.
Questi invitanti potenziamenti, spingono il giocatore ad una continua e stimolante esplorazione tra le mappe, chiuse e lineari, ma caratterizzate da numerosi bivi e uno sviluppo verticale. Per esplorare queste zone bisognerà affidarsi alle abilità della ciurma: con Rufy potremmo distruggere rocce o raggiungere zone sopraelevate, sfruttando il suo corpo elastico e alcuni appigli, mentre Zoro può tagliare porte e casse di ferro, Chopper può passare nei cunicoli più angusti e Franky può costruire dei ponti per raggiungere le zone più lontane.
Utilizzando invece Sanji, Nami o Nico Robin, il giocatore ha la possibilità di trovare ingredienti, berry o collezionabili che riguardano la storia di Waford. Per quanto riguarda gli enigmi ambientali, presenti soprattutto nei vari dungeon, possiamo dire che sono piuttosto semplici e poco ispirati, ma riescono comunque a smorzare piacevolmente il ritmo che, come esige la tradizione nipponica, è scandito costantemente da combattimenti e “level up”.
Dentro i numerosi forzieri che apriremo nel corso dell’avventura, possiamo trovare consumabili e ingredienti utilizzabili per craftare delle bombette con Usop, utili per nerfare i nemici, o cucinare dei piatti con Sanji: queste prelibatezze possono curare e potenziare la ciurma. Tutti elementi che dimostrano ancora una volta quanto gli stilemi classici di un JRPG siano facilmente adattabili ai personaggi creati da Oda.
Passando invece ai cattivoni, il roster di nemici offerto da Odyssey non è enorme o particolarmente variegato, ma è impreziosito con efficacia dai character design di Eiichiro Oda, che su OP ha portato magistralmente avanti la tradizione dei mostri buffi e cartooneschi lanciata da Akira Toriyama proprio su DQ.
La cura ai dettagli è sempre importante, ma quando un gioco è strutturato per durare decine e decine di ore diventa fondamentale. Come descritto nei paragrafi precedenti, Odyssey è un titolo che mostra diverse volte il fianco, sorprendendo invece in molte altre occasioni.
C’è un lodevole impegno da parte degli sviluppatori nel rendere ogni membro della ciurma utile e indispensabile. Lo percepiamo nei combattimenti, nell’esplorazione e nel crafting, tutti servono a qualcosa e anche quando ci troveremo ad accogliere Brook, apparentemente utile solo nelle fasi di combattimento, ci penserà la narrazione a renderlo fondamentale, rispettando la coralità tipica dell’opera originale.
A contrastare quest’approccio così curato, arrivano però elementi come le “animazioni di contorno” dei combattimenti: quando i Mugiwara evitano un colpo nemico rimangono fermi, e la schivata viene segnalata da una semplice scritta, oppure se i nemici scelgono di scappare non li vedremo fuggire, ma semplicemente scompariranno. Esempi del genere, di superficialità e meriti, ce ne sono tantissimi e per elencarli tutti servirebbe una noiosa lista della spesa che andrebbe ad oscurare il punto di questa recensione.
One Piece: Odyssey è uno dei migliori videogiochi mai realizzati sul manga di Eiichiro Oda, con un’atmosfera fedelissima al materiale originale e un combat system spettacolare e divertente, al netto però di una difficoltà un po’ troppo permissiva e diverse boss fight deludenti. Nonostante le imperfezioni, il titolo riesce però ad essere un gioco avvincente che conquisterà sicuramente il cuore di molti appassionati. Certo, se non amate OP o speravate nel tie-in rivoluzionario, sicuramente non è pane per i vostri denti, ma in caso contrario vi troverete tra le mani un’avventura farcita di fanservice e una storia tutta nuova da vivere con i personaggi di OP. Inoltre, il gioco potrebbe essere anche una golosa opzione per i fan che giocano qualsiasi cosa possa essere definito JRPG, soprattutto per i completisti in cerca di un’avventura a turni dalla lunga durata, a patto di venire incontro ai difetti citati. In ogni caso posso dire che la mia fame da JRPG a tema OP è stata soddisfatta, peccato mi sia rimasta un po’ di acquolina in bocca per tutto quello che il gioco poteva essere. Viste le potenzialità innegabili, la speranza è quella di veder tornare il team di ILCA con un sequel che vada a sopperire alle mancanze di questa prima avventura.
This post was published on 11 Gennaio 2023 16:00
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