Questa è la recensione di Warzone 2.0 ma lo è in una maniera emotiva, distorta, forse anche un po’ nostalgica. Tutti parlano male di questo gioco e la stragrande maggioranza di questi ha quasi ragione a farlo; altri, invece, nel parlare di Warzone 2.0 mi hanno fatto temere per il futuro di certi videogiochi.
In questi 15 anni in cui sono stato lontano dal brand di Call Of Duty il mondo è cambiato, i videogiochi sono cambiati ed io stesso ho seguito un percorso similare: sono state le direzioni ad essere divergenti.
Warzone 2.0 arriva gratuitamente su PC e console dotato di due modalità: la canonica modalità Battle Royale che ha fatto la fortuna del precedente capitolo ed ha fatto ingrossare in maniera impressionante il portafogli di Activision ed una modalità da extraction shooter chiamata DMZ.
Nonostante quest’ultima sia la novità del gioco e sia terribilmente divertente (e meritevolissima di un articolo a sé) oggi ci concentreremo semplicemente sul parlare di come siamo arrivati a Warzone 2, di come sia il gioco all’atto pratico e di come la sua ricezione ci faccia mal sperare per il futuro di certi videogiochi.
I ricordi della mia vita di videogiocatore che posso collegare alla saga di Call Of Duty non sono di certo pochi. La saga è entrata in qualche modo nella mia vita con il suo primissimo capitolo, giocato di nascosto dagli occhi di Activision grazie ai DVD masterizzati che venivano artigianalmente creati da chissà chi nel pezzo di italia dimenticato dalla grande distribuzione che ho abitato ed in parte abito ancora.
Di Call Of Duty 2 ho un ricordo ancora migliore: quello di me e di un mio carissimo amico che, il giorno del suo compleanno, cerchiamo di completare la campagna nel minor tempo possibile mentre mangiamo focaccia calda appena sfornata dalla madre e prosciutto cotto. Non capisco niente di seconda guerra mondiale ma va un po’ meglio con gli sparatutto in prima persona, giusto perché ho già macinato qualche centinaio di ore con la demo di Unreal Tournament sul vecchio Pentium IV di mio padre ed ho fatto amicizia con il mouse con la pallina sotto, nel frattempo.
Di Call Of Duty 2 sentirò poi parlare molto durante il corso di tutto il lustro successivo: all’epoca Internet era ancora un miraggio per la mia abitazione, costretta in una vallata dove il progresso è sempre arrivato qualche anno dopo di ritardo. Non che i miei amici fossero messi meglio eh: da loro giocare online a Call Of Duty 2 significava pingare una media di 150 millisecondi e portarsi, forza dell’adolescenza, a casa comunque KDA di un certo rilievo.
Clan War, PCW, bug per salire all’infinito le scale, armi migliori con il quale affrontare gli angoli e chi più ne ha più ne metta. C’erano i comandi della console da imparare per potersi connettere ai vari server, le password da ricordare per le varie chat ICQ per organizzarsi. A pensarci oggi, nel 2023, il mondo dell’online di quel Call Of Duty sembra la cosa più distante del mondo dall’oliatissima macchina che Activision ha messo in piedi.
Warzone 2.0, il fulcro centrale di questo articolo al quale arriveremo fra un po’, è un gioco dalla produzione multimilionaria. In 5 giorni Call Of Duty Warzone 2.0 ha raccattato ben venticinque milioni di giocatori in tutto il mondo, gli stessi che Elden Ring non ha ancora raggiunto (e grazie al ca**o direte voi, avendo ragione).
Entrare in un game di Warzone 2, a prescindere dalla modalità, non prevede alcun comando da tastiera ne strano numero da leggere: si scelgono dei macro giochi, si selezioniano modalità e ci si mette dolcemente in fila. Al netto dello spaesamento iniziale fisiologico vista la quantità imbarazzante di skin che Activision cerca di venderti fin dal secondo zero, l’interfaccia di Warzone 2.0 sembra davvero quella di una macchina macina soldi che è stata cesellata ed ingegnerizzata per rispondere ad un bisogno puramente economico.
Probabilmente è sempre stato così: probabilmente sia Call Of Duty 2 che Call Of Duty Modern Warfare (quello vero, per così chiamarlo) sono nati unicamente per il tentativo di sbarcare il lunario un po’ più di quanto non si fosse fatto in precedenza. Esattamente come è nata la modalità Zombies di Black Ops, esattamente come sono nate tutte quelle idee che oggi compongono gli elementi minimi di una macchina commerciale indistruttibile.
A pensarci è quasi un peccato che siamo finiti dove siamo ora con la saga; Call Of Duty Modern Warfare quellovero è un titolo che sembrava ammiccare altrove, almeno dal punto di vista dei meri contenuti. Quel videogioco ha fatto crescere me e molti altri all’interno di un interfaccia multiplayer non tanto distante da quella del 2, specie se si voleva puntare ad un equilibrio di gioco più interessante con le varie Hardcore Mod e ProMod che dir si voglia.
In effetti per poter parlare di Warzone 2.0 con cognizione di causa è necessario avere un’idea del perché Call Of Duty Modern Warfare, quello del 2007, sia ricordato come uno dei videogiochi multiplayer più importanti della storia, anzi, come uno degli sparatutto più importanti della storia.
Sarebbe impossibile non partire dalla sua campagna single player che a piene mani fa incetta delle lezioni di Half Life 2 nel tentativo di mettere in piedi la giusta commistione tra cutscene e gameplay all’interno di contesti spettacolari, dando al giocatore una manciata di modi per portare a termine i vari scenari. Gli sforzi fatti in tal senso sono stati poi premiati dal futuro della saga: ancora oggi personaggi come il capitano Price e Soap fanno capolino nei capitoli successivi, alle volte come easter egg, altre volte come comprimari, altre ancora come skin più o meno costose da pagare con moneta sonante.
Il multigiocatore, però, ebbe un’impatto complessivo diverso. Invece di ispirarsi a qualcosa di noto diventò l’ispiratore di qualcosa di noto: il futuro del genere, specie dal punto di vista commerciale, è passato proprio da questo. Di fatto, se utilizzassimo come metrica il numero complessivo di giocatori visti durante il corso degli anni, quello di Modern Warfare ed i suoi figliastri è l’esempio del gameplay più accattivante del mondo.
Gli elementi minimi sono diventati in qualche modo iconici: un gunplay efficace e responsivo che premia il tempo di reazione più che il controllo della raffica (che invece è caratteristica cardine di Counter Strike, altro titolo difficile da mettere in secondo piano se parliamo di FPS multiplayer) derivato direttamente da COD2, un sistema di personalizzazione efficace con 3 perk, un vasto numero di armi bilanciate decentemente tra loro ed il giusto grado di personalizzazione, per offrire ad ognuno lo spazio di manovra necessario per potersi divertire. A coronare il tutto ci pensa poi il sistema di ricompense per serie di uccisioni, le famose streak, donando al giocatore UAV, attacchi aerei, cani assassini e tanto altro ancora. Gli UAV, tra le altre cose, sono strumentali alla lettura della mappa di gioco: altro elemento di fondamentale importanza per la fruizione del titolo in ottica mainstream.
Rimane difficile credere che Infinity Ward abbia potuto prevedere quel successo allucinante che invece COD ha avuto. Ad oggi il nome di Call Of Duty pesa come il portfolio di intere aziende e fa ricavi con singoli capitoli che intere saghe di videogiochi, purtroppo per loro, faticheranno a fare in tutta una vita.
Abbiamo speso le prime 1000 parole circa per non parlare mai dell’elefante nella stanza, di Warzone 2.0, perché per me che scrivo è sopratutto una questione emotiva.
Prima di questo capitolo ho giocato al single player di Call Of Duty 2, ho giocato a tutto Modern Warfare (2007), ho giocato a Call Of Duty World At War e poi all’altro Modern Warfare, quello che ha dato i natale al primo Warzone.
Ogni volta ho sempre apprezzato il core gameplay e l’esperienza, il tutto senza però ignorare i problemi culturali (machismo, esaltazione della guerra attraverso il culto delle armi e la rappresentazione visiva, strambe retcon di carattere storico, monetizzazione aggressiva) di cui COD è tristemente intriso.
Ad oggi, complice un computer finalmente in grado di farmi ambire a 60 FPS in ogni condizione possibile e immaginabile, ho potuto passare 50 ore della mia vita su Warzone 2.0 divertendomi come non mai, potendo approfittare della sua riscoperta natura di hub sociale e rimanendo tristemente stupito da molti dei ragionamenti che sono stati fatti su questo gioco da un certo tipo di playerbase, quella che in Call Of Duty vede un appuntamento di carattere annuale
Però per un attimo cerchiamo di mettere le emozioni da parte per cercare di parlare in maniera un po’ più diretta di come Warzone 2.0 riesca in qualcosa (tipo crashare).
Il primo grande wow che Warzone 2 mi ha fatto dire è stato legato allo spazio che occupa su disco: Warzone 1 per molto tempo ha fieramente portato la corona del videogioco mainstream più pesante in circolazione, con oltre 130GB di asset da dover tener installati su computer o console; questo è ulteriormente peggiorato con l’arrivo delle altre mappe e modalità generando di fatto problemi alle configurazioni più datate.
Warzone 2.0 al suo download mi ha richiesto circa 36 GB di banda, offrendo nel contempo il solito impressionante comparto grafico. Volessimo semplicemente fermarci ad un analisi prettamente numerica non potremmo fare altro che complimentarci con Infinity Ward e l’altra pletora di studi che hanno lavorato al gioco: Warzone 2.0 sembra essere meglio ottimizzato del predecessore nonostante la mole degli elementi a schermo.
Il colpo d’occhio è francamente impressionante: il gioco pur non raggiungendo le vette foto realistiche di un Crysis 3 si difende benissimo, con una saggia combinazione di economia degli asset (riutilizzati molteplici volte ma senza mai generare il caos) e buon sistema di illuminazione, perfetto per mostrare le ombre anche a centinaia di metri di distanza nella situazione più assurda.
Ottima la resa dell’acqua, incredibile la resa poligonale delle armi, terribile il senso estetico delle skin di queste ultime. Su quest’ultimo, il senso estetico, punto meglio soprassedere del tutto: non so che guizzo artistico aspettarsi da un gioco che ti propone le grandi glorie del calcio moderno come personaggio giocabile per massacrare il prossimo.
Di alto livello anche il sound design che, di bombardamento in bombardamento, provvede a regalare dei realistici mini PTSD facendo quasi empatizzare con chi la guerra la vive davvero. In generale è sempre possibile capire da dove provengono i nemici, qual è la superficie su cui stanno camminando e che tipo di strumento offensivo hanno utilizzato. Tutti elementi che impreziosiscono l’esperienza tattica dello stare sul campo di battaglia.
A stupire in positivo è senza dubbio il gameplay. Nonostante mancassi dal magico mondo di COD online da circa 15 anni è bastato tornare ad avere in mano un M4 per sentirsi quasi a casa. È anche bastato incontrare un nemico con una Fennec piena di accessori o con un RPK full optional per farmi capire che forse stavolta sono andati un po’ troppo in là (ma ci torneremo).
Rispetto a Warzone 1, titolo che non ho provato in maniera estesa ma che comunque posso dire di conoscere, ci sono migliorie e scivoloni. Da una parte troviamo tutta una serie di nuove meccaniche legate agli appigli, dall’altra la scellerata scelta di togliere il colore al sistema di ping non facendo capire una virgola in caso di necessità al giocatore. Ci sono modifiche al sistema di movimento, importanti modifiche al design della mappa, maggiore varietà negli approcci e chiare soluzioni ignorate in favore di un gameplay in grado di piacere a tutti.
Quello che le patch correttive sicuramente non risolveranno nel brevissimo giro è il bilanciamento del gioco, come sempre così amabilmente rotto e anche amabilmente divertente. Ci sono armi che ti disintegrano con una precisione e con una violenza tali da farti correre su Youtube a cercare qualche guida ai mod, ci sono armi che invece non sembrano servire a niente se non a creare immondizia da trovare nelle casse sparse per il gioco. Ci vorrà un ciclo di vita per vedere Warzone 2.0 stabilizzarsi nel suo slot, bilanciando il TTK e orientando l’esperienza verso una tipologia specifica di giocatori.
In generale il time to kill è basso e premia una commistione di precisione e velocità di reazione; saper controbilanciare le raffiche serve a poco. Leggermente meglio invece va per le meccaniche di movimento che sono meno potenti di quelle presenti in Warzone 1 ma non per questo meno efficaci mouse e pad alla mano; non si può bunnyhoppare troppo ma con bizzarre commistioni di salti, scivolate e passi del giaguaro è possibile non far capire granché al proprio avversario durante i combattimenti.
Forse il problema maggiore per un giocatore che proviene dal passato è proprio la leggibilità del campo di battaglia. A differenza di altri Battle Royale come Fortnite o Apex Legends, in Call Of Duty Warzone 2.0 i nemici non sono sempre facili da discernere a schermo. La colpa la si deve ad una commistione di uno stile grafico realistico e di una color palette non esattamente satura, con tanti colori somiglianti e sempre su tonalità terrose.
Nota di assoluto demerito per come il gioco è stato lanciato sul mercato a fine Ottobre.
Warzone 2 è la perfetta rappresentazione di un azienda multimiliardaria che lancia sul mercato un videogioco che non smette di zoppicare se non un paio di mesi dopo, usando i videogiocatori come beta tester. I crash improvvisi, le disconnessioni da Steam (sulla quale questo Call Of Duty arriva dopo almeno tre capitoli di esclusività su Battle.Net) ed i bug sono tutt’ora abbastanza allordine del giorno, nonostante evidenti miglioramenti rispetto alla situazione iniziale.
Quello che sicuramente ha più fatto indispettire i giocatori nel mezzo è stato l’impegno profuso da Activision Blizzard nel riempire il titolo di contenuti: operatori, skin, pacchetti, bundle, abbonamenti e chi più ne ha più ne metta. Il menu principale di Call Of Duty HQ è abbastanza emblematico da questo punto di vista e sembra fare gli occhioni dolci ai giocatori, vera e propria spina nel fianco del capitolo.
Quando mi sono approcciato a Warzone 2.0 a inizio Dicembre la situazione era tutto fuorché che rosea. Su Steam il gioco era (ed è ancora) recensito in maniera perlopiù negativa, con almeno diecimila recensioni che descrivono per filo e per segno una situazione che abbiamo già visto in decine di giochi.
Bug, crash, disconnessioni, errori di sistema, armi che si incastrano, HUD scomparsi, meccaniche inattivabili e tanto altro ancora hanno fatto capolino nelle partite di moltissimi giocatori; me compreso.
Queste, insieme a tutto il discorso del bilanciamento sopracitato, sono le uniche lamentele che sembrano avere senso di esistere all’interno dell’attuale panorama di opinioni sul titolo. Ce ne sono altre, come quelle del video di cui sopra (un canale youtube da 1.12 milioni di utenti) che però mi hanno lasciato più perplesso che mai: sembra che a mancare siano i contenuti, sia il senso di progressione.
A mancare non è il divertimento o la qualità dell’esperienza: è la ricompensa per aver fatto più vittorie degli altri, è la ricompensa per aver speso ore della tua vita a grindare quelle armi insopportabili giusto per poterti fregiare di una qualche mimetica inguardabile (vedasi la mimetica orion o quella oro).
Per molti, a quanto pare, è che non esistono abbastanza motivazioni collaterali all’appagamento provocato dal gameplay per continuare a giocare al titolo.
Warzone 2.0 è quindi sì un videogioco Battle Royale ma è anche un primo ed assolutamente inquietante esempio di videogioco in cui, per molti (visti anche i commenti che danno ragione all’opinione di cui sopra, non l’unica di tale genere) a contare è di più ciò che puoi mostrare da quello che puoi provare.
A cosa serve un gunplay divertentissimo, meccaniche avanzate di combattimento ed un incredibile sistema di proximity chat (che meriterebbe un articolo a parte soltanto per la narrativa emergente che può generare) al confronto del non poter usare le skin che si desiderano?
Mi sento quasi un boomer a razionalizzare questo pensiero ma mi rimane difficile nasconderlo sotto al tappeto. Warzone 2.0 è il momento in cui ho tristemente capito dell’esistenza di chi ha bisogno di rinforzi ulteriori a tutto quello che i videogiochi possono regalare dal punto di vista esperienziale.
Non saprei se chiamarlo semplicemente capitalismo innestato e auto tacciarmi di non capire gli ordinamenti politico/sociali o semplicemente se dire che è colpa mia.
Che sono troppo vecchio, che gioco ai videogiochi per condividere esperienze sociali e pratiche con gruppi di persone. C’è gente che vuole giocare a Warzone 2.0 per le skin ed Activision non è mai stata così contenta di farglielo fare.
This post was published on 18 Gennaio 2023 12:30
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