Allora accadrà quello che parrà un grande evento, che il lupo ingoierà il sole, e ciò parrà agli uomini una grande sventura. L’altro lupo catturerà la luna, e anch’esso provocherà un grande disastro. Le stelle scompariranno dal cielo. Avverrà pure che tutta la terra tremerà e le montagne crolleranno e tutte le catene e legami si spezzeranno e si infrangeranno.
Nonostante nel corso degli anni siano state realizzate tante versioni del Ragnarok, ancora oggi i versi di Snorri Sturluson riescono a descriverne il fascino apocalittico come meglio non si potrebbe, dando spazio tanto all’epicità quanto alla tragicità degli eventi narrati.
Ma se il crepuscolo degli Dei è un avvenimento terribile per delle divinità bellicose come quelle del pantheon norreno, come può mai essere vissuto dai comuni mortali che, invece, desiderano tutto tranne l’ennesima guerra? È esattamente con questa premessa che God of War Ragnarok si è presentato ai nostri occhi, con la consapevolezza che tutto, ma proprio tutto, si sarebbe concluso all’interno di un’unica ed intensa cavalcata finale.
È inutile nascondersi dietro un dito: l’ultima fatica di Santa Monica Studio è uno dei titoli più attesi del 2022 e, come sempre si verifica in questi casi, a lavori del genere non si chiede tanto di rispettare la qualità dei loro predecessori, ma di spostare più in alto l’asticella e di stabilire nuovi standard qualitativi.
L’attesa del ritorno di Kratos ed Atreus è stata lunga. Questo nuovo arco narrativo, dopo un ottimo “decollo”, deve riuscire ad “atterrare” in maniera altrettanto convincente, e tante domande sono in attesa di risposta. Proprio per questa ragione, vi consigliamo di mettervi comodi, perché la traversata che ci attende sarà lunga, piena di insidie (priva di qualsivoglia spoiler), ma rappresenta uno di quei viaggi che è impossibile dimenticare.
Dal momento in cui il fato, nei panni di Baldur, ha bussato alla porta dello loro umile dimora, Kratos e suo figlio Atreus hanno iniziato ad errare senza sosta per onorare una promessa fatta ad un familiare oramai scomparso: spargere le sue ceneri dal picco più alto dei Nove Regni. L’impresa si rivelerà molto più ardua del previsto, piena di conflitti con le divinità nordiche ed aprirà non pochi interrogativi sulla reale natura del giovane Atreus, a cui il popolo dei Giganti si rivolge con il nome di Loki. Il ragazzo sembra essere il protagonista di una profezia che conduce al conflitto del Ragnarok ed alla morte di suo padre.
La profezia dice la verità? La fine di tutto è veramente inevitabile? Il Fantasma di Sparta farà quindi il suo ritorno? Chi è realmente Loki? E, soprattutto, Kratos è destinato a morire?
Siccome neanche Mimir, l’uomo più saggio al mondo, ha le risposte, dopo aver adempiuto alla loro promessa i nostri eroi decidono di fare la cosa più naturale del mondo: tornare a casa, addestrarsi e prepararsi ad un inverno che si preannuncia lungo e gelido.
Dopo circa tre anni trascorsi nel bianco manto del Fimbulwinter (il lungo inverno che precede il Ragnarok), il fato bussa nuovamente alla porta dei nostri protagonisti, chiedendo il conto delle loro azioni passate, cercando un mendace accordo di pace e generando, per tutta risposta, una nuova ondata di ostilità.
Come detto in sede di anteprima, Kratos è più che mai desideroso di impedire il realizzarsi di una nuova apocalisse degli Dei, animato dalla volontà di lasciarsi alle spalle il suo sanguinoso passato; il rovescio della medaglia è però rappresentato da Atreus, che vuole delle risposte sulla sua vera identità e sul ruolo che giocherà negli eventi che verranno. Per realizzare il suo scopo, il ragazzo arriverà a mettere in discussione l’autorità paterna, a mentire e ad agire di sua iniziativa alle spalle di tutti, amici e nemici.
In tutto questo, la nostra condotta non passerà certo inosservata agli occhi di Asgard, che si metterà di traverso ad ogni nostro passo, senza dimenticarci del fatto che Freya ha conservato intatti i suoi propositi di vendetta nei confronti di chi ha ucciso suo figlio Baldur.
Come avrete avuto modo di constatare, Ragnarok si innesta alla perfezione sul “fusto” del titolo del 2018 ma, come avremo modo di constatare, non si limita a riproporne lo schema narrativo. Non mancheranno certo colpi di scena capaci di sorprenderci e momenti di rara spettacolarità, ma i cardini su cui ruota la narrativa del videogame non sono rappresentati dal semplice susseguirsi di eventi più o meno memorabili, ma dalla maturità dei temi trattati e dalla profondità dei personaggi, che ci accompagneranno fino al più epico dei finali immaginabili, ma di cui non possiamo (e non vogliamo) dirvi assolutamente niente.
Diciamocelo chiaramente: per quanto il precedente God of War fosse un gioco di un’importanza cruciale per il suo franchise di appartenenza, chi lo ha giocato aveva avvertito chiaramente la sensazione di aver vissuto un enorme preambolo di qualcosa di più grande ed “importante”, che sarebbe però venuto in seguito. L’ultima esclusiva Sony si presenta come un’opera intensa e, per favorire coloro che non avessero giocato al precedente capitolo, è stato reso disponibile un suo breve riassunto nel menu di gioco.
Volendo attenerci ad un livello puramente narrativo, Ragnarok è molto più complesso e strutturato del suo predecessore. Se il capitolo del 2018 era quasi totalmente “Kratos-centrico”, il titolo in questione pone Atreus come co-protagonista di fatto, ritagliando degli spazi destinati solo a lui ed alla sua crescita.
Ed a proposito di crescita, tutti i personaggi del cast sembrano essere cambiati nel corso di questi tre anni di Fimbulwinter. Come abbiamo detto in precedenza, Atreus è oramai un adolescente nel pieno della sua hybris, desideroso di scoprire la sua natura, di svelare il destino della sua gente (i Giganti), di trovare il proprio posto nel mondo e di vivere gli eventi del Ragnarok da protagonista. Il vero capolavoro di Santa Monica è però costituito dalla caratterizzazione dell’ex Fantasma di Sparta; egli ci appare pienamente consapevole dei suoi limiti e del fatto che non potrà proteggere suo figlio per sempre, dovendo fare i conti con una profezia che sembra condannarlo a morte certa.
Il Kratos di Ragnarok non è più il monolite inscalfibile della prima trilogia e viene dipinto in tutta la sua fragilità, a stento mascherata dalla folta barba, da rughe che mostrano tutto il peso degli anni e da silenzi più eloquenti di mille parole. Il guerriero greco ci verrà presentato nella sua forma più umana e, al contempo, più emotiva.
Quanto ora detto non deve però far passare in secondo piano gli altri “attori in scena“, siano essi amici o nemici. Brok e Sindri alterneranno momenti divertenti altri decisamente meno allegri, Mimir dovrà sia dispensare consigli che affrontare le pagine meno belle del suo passato, Thor si presenterà come il più classico dei distruttori facendoci poi scopriremo dei lati molto più umani, e l’elenco sarebbe ancora lunghissimo. Ovviamente non tutti i protagonisti del pantheon norreno faranno la loro apparizione, e sono ravvisabili almeno un paio di assenze di peso (e non poteva essere altrimenti), ma la cura spesa nella creazione e nell’adattamento di tutti i personaggi, principali o secondari, lascia senza parole.
Se l’avventura di quattro anni fa era incentrata quasi unicamente sul rapporto genitore-figlio (con Kratos e Atreus da una parte e Baldur e Freya dall’altra), Ragnarok non si limita ad approfondire il tema, ma pone l’accento su argomenti come il destino (inteso come cambiamento da accogliere, ma mai passivamente), il desiderio di vendetta che sembra sempre dietro l’angolo e quel sottile filo rosso che lega l’amore al dolore.
Chi ha seguito la nostra anteprima, sicuramente ricorderà quanto forte fosse la sensazione di trovarsi davanti ad un gioco vasto e pieno di contenuti; ebbene, neanche la più ottimistica delle previsioni poteva prepararci a quello che ci saremmo trovati davanti. È difficile quantificare con esattezza quanto sia esteso God of War Ragnarok ma, per avere un metro di paragone credibile e comprensibile, possiamo affermare che la differenza con il suo predecessore è equivalente a quella che intercorre tra The Last of Us e The Last of Us: Parte II.
Ognuno dei nove regni sarà visitabile e le macroaree disponibili sono molto più numerose di quelle presenti nel God of War del 2018, ed alcune di esse saranno totalmente opzionali se non addirittura segrete. Per farvi un semplice esempio, la sola mappa di Vanaheim è composta da ben due diverse zone open map, di cui una potrà essere scoperta solo svolgendo una missione secondaria.
Se finalmente i nostri eroi metteranno piede ad Asgard (stiamo pur sempre parlando del Ragnarok!), non mancheremo di visitare anche regni già visti nel precedente capitolo della saga ma, anche in questo caso, l’effetto del Fimbulwinter sarà chiaramente percepibile. Vi ricordate delle Sponde dei Nove? L’enorme lago su cui si ergeva il Tempio di Tyr che avevamo attraversato in barca, accompagnati dalle storie di Mimir? Bene, adesso è completamente ghiacciato, e potremo esplorarlo solo a bordo della nostra slitta!
Ma cosa si fa in God of War Ragnarok?
Come prevedibile, il gameplay affonda le sue radici in quello del suo illustre predecessore, ma ne amplia moltissimo la formula. Ritorneranno i Corvi di Odino da trovare e distruggere, le Casse Nornane da aprire, vari collezionabili da recuperare, sfide di Muspelheim da superare e boss opzionali da sconfiggere; quello che stupisce è la varietà dei compiti che saremo chiamati a svolgere. Uno dei primi cambiamenti che si notano consiste proprio nelle tante side quest che ci verranno assegnate in ogni singola zona, alcune delle quali potranno essere completate solo esplorando tutti i regni.
Le Valchirie del precedente capitolo sono state sostituite dai Berserker che, conti alla mano, rappresentano probabilmente i boss più ardui da sconfiggere, ma non mancheranno scontri con altri nemici impegnativi come Draghi, Aguzzine, Dreki, Draugr, Viandanti e via discorrendo.
Come potete constatare, i Troll del vecchio God of War non sono più onnipresenti.
Non mancheranno neanche alcuni enigmi ambientali che faranno la felicità dei nostalgici della prima trilogia, anche se sono concentrati prevalentemente in un’unica macroarea di gioco.
A quanto ora detto bisogna aggiungere un’ulteriore vagonata di contenuti endgame, che andranno ad inserire nuove missioni da compiere, boss da battere ed aree da sbloccare. Volendo fare una stima, per portare a termine la sola main quest saranno necessarie tra le 30 e le 40 ore, mentre per completare tutto al 100% potrebbero non esserne sufficienti 70; come potrete facilmente immaginare, si tratta di parametri del tutto nuovi per il genere a cui God of War Ragnarok appartiene.
Sembra strano da dire ma il Fimbulwinter si è fatto sentire anche in questo aspetto del gioco. Il preludio del Ragnarok ha consumato le energie magiche dei vari mondi e, di conseguenza, anche Kratos è decisamente meno potente di quanto non lo fosse al termine della sua ultima avventura. Anche in questo caso, quindi, dovremo nuovamente raccogliere i Corni di Idromele e le Mele di Idunn per potenziare le barre della Rabbia e della Salute. Tuttavia, potremo contare sin da subito sia sull’ascia Leviatano che sulle Lame del Caos, entrambe fornite di un cospicuo numero di tecniche speciali.
Ciascuna arma potrà contare su tre diversi skill tree, ma con una prima novità: le sfide. Avete una tecnica che ritenete particolarmente adatta al vostro stile di gioco? Eseguendola una determinato numero di volte, potrete addirittura personalizzarla, inserendo danni aggiuntivi, alterazioni di stato o maggiore stordimento. A differenza degli attacchi runici, queste tecniche non necessitano di tempi di ricarica, costituendo dei mezzi di improvvisazione decisamente vari e validi in qualsiasi combattimento.
L’arrivo di una nuova Lancia è quella cosa di cui sentiva la necessità e la cui utilità non si limita al combattimento, consentendoci di risolvere determinati enigmi e, in alcuni casi, di arrivare in luoghi altrimenti irraggiungibili.
Se il Leviatano è l’ideale per il combattimento uno contro uno, e se le Lame del Caos saranno la vostra scelta nelle arene più affollate, questa lancia rappresenta un’interessante via di mezzo consentendoci di sferrare attacchi in rapida successione sia a distanza ravvicinata che a lunga gittata.
Anche in merito allo scudo ci sono novità da registrare.
Se nel GoW del 2018, si trattava del pezzo più bistrattato del nostro arsenale, Ragnarok lo rende parte integrante, quasi centrale, del combattimento. Nel corso della nostra avventura, troveremo diversi scudi, ognuno dotato di caratteristiche diverse: alcuni faranno della resistenza ai danni la loro peculiarità, mentre altri ci consentiranno di aumentare lo stordimento del nemico, a patto di effettuare una parata al momento giusto.
Sarà inoltre possibile personalizzare il nostro scudo attraverso la sostituzione del Rold (l’elemento posto al centro della piastra protettiva), così da ottenere l’effetto desiderato.
Come ampiamente sottolineato in precedenza, Atreus assurge al ruolo di co-protagonista di God of War Ragnarok; questo non si limita all’aspetto narrativo poiché non mancheranno intere sezioni in cui saremo chiamati a vestire i panni del figlio di Kratos. In queste il giovane Atreus, in compagnia di vari personaggi, dovrà farsi strada per i nove regni.
Come facilmente comprensibile, il ragazzo non ha gli stessi poteri del padre, e questo si ripercuote tanto nelle esplorazioni che nei combattimenti. Da un lato, non essendo dotato della forza paterna, Atreus non potrà sollevare pesi eccessivi e distruggere ostacoli particolarmente ingombranti; dall’altro, il suo approccio agli scontri è prevalentemente basato su arco e frecce, non disdegnando anche attacchi corpo a corpo, tecniche runiche e, infine, una sua versione della Rabbia di Sparta, di cui però non vogliamo svelarvi assolutamente niente.
Ai fini del combat system, il giovane eroe da il meglio di sé come combattente a distanza, capace di supportare tanto Kratos quanto altri personaggi, ma riuscirà a dire la sua anche tutte quelle volte in cui sarà chiamato al corpo a corpo.
L’unica pecca del sistema di combattimento in cui ci siamo imbattuti riguarda però proprio Atreus quando combatte insieme a Kratos e, più precisamente, la capacità di mirare (e colpire) in combattimento un punto preciso che non sia un nemico; in casi del genere, il colpo del nostro giovane arciere finirà quasi sempre addosso al nemico di turno, impedendoci di ottenere dei vantaggi tattici spesso di vitale importanza. Fortunatamente, saranno pochi i momenti in cui vi imbatterete in problemi del genere, che rappresentano quasi il “pelo nell’uovo”.
Una piccola confessione va fatta: da un punto di vista squisitamente tecnico, l’incipit di Ragnarok non ci aveva dato l’impressione di un grande passo in avanti.
Le prime ore di gioco facevano avvertire qualche miglioramento ma nulla che facesse realmente sgranare gli occhi.
Ad avventura finita, possiamo tranquillamente dire che mai considerazione è stata più affrettata di quella. Ognuno dei nove regni è caratterizzato da una palette di colori unica, con dei cromatismi che, alla prima occhiata, ci fanno capire esattamente dove ci troviamo e che tipo di bioma dobbiamo aspettarci. Se i colori predominanti sono il marrone delle montagne ed il blu del mare, stiamo esplorando Svartalfheim; se invece attorno a noi c’è un tripudio di verde, siamo a Vanaheim; se invece prevalgono le scale di grigio, schiarite dalla pallida luce lunare, siamo nel deserto di Alfheim.
Aggiungete a quanto ora detto un sistema di illuminazione totalmente nuovo ed un auto exposure che simula alla perfezione il passaggio visivo da una zona aperta ad una chiusa (e viceversa), consentendo all’occhio dei protagonisti di adattarsi pian piano al nuovo ambiente, ed avrete un’idea della cura dei dettagli spesa dallo sviluppatore.
Va da sé che ogni regno avrà il suo campionario di nemici da affrontare, dotati di una propria estetica, di proprie tecniche e di un proprio moveset. A quanto ora detto, bisogna aggiungere qualche considerazione anche sulle varie boss fight: che si tratti di boss principali o secondari, non ci troveremo mai davanti ad una semplice reskin con qualche cambiamento qua e là, come accadeva con i Troll del gioco precedente.
In Ragnarok ogni combattimento porterà le sue difficoltà, indirizzando il giocatore verso determinati playstile e strategie, cercando anche di incentivare ad avere familiarità con tutte le armi.
Sotto questo aspetto abbiamo faticato a trovare sensazioni di ripetitività o ridondanza e anzi, diverse boss fight sono riuscite nel restituire quel senso di spettacolarità che da sempre è un marchio di fabbrica della serie.
La stessa intelligenza artificiale dei nemici appare decisamente migliorata rispetto a quanto visto in precedenza, obbligandoci a rimanere sempre in movimento, impedendoci di pensare solo ad un nemico per volta (evitando di essere accerchiati) e chiedendoci di fare particolare attenzione ai mob più lontani dall’azione che, molto spesso, ci bersaglieranno con attacchi a distanza, interrompendo le combo ed aprendo le nostre difese.
Chiunque fosse alla ricerca di un livello di sfida più impegnativo, potrà cimentarsi con il nuovo livello di difficoltà di cui Ragnarok è predisposto.
Se l’estetica è stata notevolmente migliorata ed ampliata, anche il comparto animazioni ne esce ancora più approfondito. Kratos, Atreus, Thor e tutti i personaggi hanno un’espressività mai vista prima, capace di esprimere alla perfezione il loro stato d’animo e, quindi, riuscendo a veicolare le emozioni che intendono comunicare allo spettatore, anche grazie ad un doppiaggio sempre sugli scudi e ad una colonna sonora magistrale.
Le musiche di gioco riescono ad accompagnare i momenti d’azione, riuscendo a rendere ancora più epici i tanti scontri a cui saremo chiamati a partecipare e, al contempo, ricreano alla perfezione i momenti più intimi ed emozionanti che riguarderanno i nostri eroi. Sotto questo aspetto, Bear McCreary si conferma un compositore in stato di grazia.
Volendo scendere più nel dettaglio, God of War Ragnarok dispone dei classici settaggi a cui i titoli di questa generazione di console ci hanno abituato. La modalità risoluzione ci garantirà il 4K a 30 fps, mentre la modalità prestazioni potrà contare su un frame rate di 60 fps. Come già detto in sede di anteprima, la natura action di un videogame risulta più godibile con un maggior numero di fotogrammi al secondo che, è bene dirlo, non hanno praticamente mai accusato cali. Inoltre, Sony ha predisposto un’opzione per i possessori di TV di ultima generazione che, se sbloccata, garantirà un frame rate ancora più elevato.
Quanto ora detto però non può assolutamente far passare in secondo piano la cura spesa nella realizzazione di stage e scenari, che sono ricchi di dettagli e con cui si potrà quasi sempre interagire, distruggendo casse, vasi, “disturbando” le pacifiche creature che ci vivono, ma anche utilizzando alberi e massi in combattimento.
Tornando a parlare di mera tecnica, God of War Ragnarok è forse l’esclusiva Sony in cui meno si avvertono le transizioni tra cutscene e gameplay e, grazie a dei tempi di caricamento decisamente brevi (soprattutto se rapportati a quelli del precedente capitolo), il ritmo ludico e narrativo non si spezza.
Ottimo anche l’inserimento di alcune funzioni del DualSense, tra cui spiccano l’utilizzo dello speaker (sentire il rumore della slitta e l’abbaiare dei lupi provenire “dal basso” è un piccolo colpo di genio) e il feedback aptico, che restituisce un vasto campionario di vibrazioni che, ve lo assicuriamo, contribuiranno non poco a farvi immergere nell’avventura, soprattutto quando ci sarà un combattimento impegnativo da affrontare. Provate ad immaginare il Leviatano che si scontra con un’altra, celeberrima arma di un’altrettanto celeberrima divinità norrena, con il crepitio delle scintille e le vibrazioni di tutto ciò che vi circonda; trasferite parte di queste vibrazioni sul vostro pad ed avrete una vaga idea di ciò di cui vi stiamo parlando.
Ci sarebbe piaciuto anche un maggiore utilizzo dei grilletti adattivi, sfruttati poco e, praticamente, mai in situazioni di combattimento, ma questo non toglie niente ad un’opera che, ora possiamo dirlo, stabilisce dei nuovi standard nel suo genere di appartenenza, e forse non solo in quello.
God of War Ragnarok è esattamente quello che tutti i fan della saga stavano aspettando, e che desideravano apertamente dopo il piccolo, grande preambolo del 2018. Un’avventura che desse una risposta ai tanti interrogativi che erano stati sollevati; un viaggio lungo, ricco d’azione, molto più vasto di quello compiuto quattro anni fa, ma non per questo noioso; una traversata per i nove regni, mai così belli e capaci di lasciarci a bocca aperta. Tutto questo, ovviamente, in compagnia di un cast di personaggi perfettamente caratterizzati, siano essi alleati o nemici.
Ragnarok fa coesistere epicità ed emozioni, coniugando boss fight indimenticabili a momenti in cui vedremo il lato più fragile dei nostri eroi, che saranno chiamati ad abbracciare il loro destino, anche se questo significa fare i conti col proprio passato e “lasciar andare”.
Dal punto di vista tecnico ed artistico, siamo davanti ad un autentico capolavoro, superiore in tutto al suo illustre predecessore ed a molti altri suoi altrettanto illustri “colleghi”. Il versante ludico è ugualmente convincente, fornendoci tante missioni da svolgere e combattimenti da affrontare, approfondendo sia il lato esplorativo che il combat system.
Prima di dare spazio alle “considerazioni in cifre”, lasciate a chi vi scrive la presunzione di darvi un consiglio: non badate al numero che vedrete qui sotto, perché non potrà mai racchiudere quanto visto e provato. God of War Ragnarok è un viaggio che chiunque ami i videogame deve vivere almeno una volta, anche solo per poter vedere il lato più umano e fragile di un dio.
This post was published on 3 Novembre 2022 17:00
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