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Recensioni

The Last Oricru | Recensione (PC) | Quando il cuore non basta

<<La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma.>>

Così scriveva Kierkegaard, filosofo danese del XIX secolo nella sua opera Aut-Aut, parlando dell’uomo.

Il concetto di scelta libera ha sempre affascinato i videogiocatori di tutte le ere videoludiche. La possibilità di far andare la storia dove e come si desidera, secondo una propria morale, è quanto di più affascinante possa esserci per chi ama i giochi di ruolo. The Last Oricru si prefigge di riuscire nell’impresa di gettare il giocatore in un mondo sconosciuto e far sì che plasmi la storia secondo la sua visione delle cose del mondo.

La scelta però, come scritto da Kierkegaard, non trova sublimazione nella sua libertà. Rappresenta piuttosto un peso per l’animo umano che dovrà lottare per capire quale sia la scelta giusta e cosa sia giusto o sbagliato secondo la propria morale. Un casino insomma.

Sarà riuscita l’opera prima della software house ceca Goldknight Games a sbrogliare questa matassa? La recensione qui presente servirà proprio a capire questo e pertanto, prima di cominciare, sentiamo di dover ringraziano il nostro prode Gaetano Rilievo, di indubbio aiuto nel portare avanti l’analisi.

Una scelta (quasi) libera

Mira che ti rimira…

Nel gioco, sin dalle primissime schermate, viene ripetuto come The Last Oricru sia un’esperienza narrativa non lineare. Le scelte del giocatore influenzeranno il corso degli eventi ed ogni esperienza potrà variare, da giocatore a giocatore.

Impersoneremo Silver, un umano risvegliatosi su Wardenia, un mondo di cui non ci sarà dato sapere nulla in un primo momento. Nulla sarà troppo chiaro e sin da subito ci verrà chiesto di effettuare delle scelte dalla forte impronta morale. La caratteristica su cui ogni fazione vorrà mettere le mani per un tornaconto personale sarà la nostra immortalità, un’ottima giustificazione di trama per una scelta di gameplay.

Durante tutte le fasi di gioco, sarà possibile consultare nel menù la progressione dei nostri rapporti con le tre fazioni su cui si impernia tutta la storia: i Naboru, i dominatori della sconosciuta ed inospitale Wardenia, conservatori e legati alle tradizioni, apparentemente i più antichi abitanti del posto; i Ratkin, topi umanoidi dominatori dell’arte del fuoco, schiavizzati dai Naboru, vogliosi di ritrovare la libertà a qualunque costo; la Broken Army, un’insondabile armata che agisce nell’ombra, fatta di soldati umanoidi capaci di dominare l’eretica arte del fulmine.

Il gioco quindi, almeno in parte, mantiene le sue promesse: la possibilità di scegliere a quale fazione affiancarsi non sarà mai scontata ed avverrà gradualmente. Potremmo ritrovarci però a non comprendere come mai il gioco prenda delle grosse decisioni, senza lasciarci la giusta capacità decisionale. Seppur sporadica, la sensazione di tradimento delle premesse perseguiterà il giocatore per l’intero playtrhough.

Una politica (quasi) realistica

M’lady

Quanto alla trama, sono facili da cogliere i vari riferimenti ad avventure già viste e vissute e non solo nel mondo del videogioco. Una spruzzata di Mass Effect qui, un pizzico di 2001: Odissea nello Spazio là. La Wardenia che conosceremo noi, sarà un mondo fratturato dalle infinite guerre civili. Che si tratti della dominazione di un popolo sull’altro, dell’innovazione sulla tradizione o di discendenza al trono, l’aria di guerra soffierà per tutto il gioco.

Con un grande esercizio intellettuale, la trama e la narrazione potrebbero anche risultare gradevoli. Una trama fatta di misteri, giochi di palazzo e non-detti. Ciò che renderà tutto più ostico sarà la messa in scena cinematica di sequenze che se pensate meglio, avrebbero potuto regalare vere emozioni ad un giocatore attento ai dettagli.

La regia è invece frettolosa ed imprecisa, arrivando (per fortuna in momenti abbastanza rari) a teletrasportarci “nel posto giusto al momento giusto”, dandoci indicazioni sommarie altre volte che renderanno frustrante l’esplorazione. I dialoghi poi contribuiranno a far odiare Silver con tutto il cuore.

Ci troviamo su di un pianeta alieno, sconosciuto, da una parte la guerra civile, dall’altra la rivolta degli schiavi. Ma, per un qualche motivo, Goldkight Games ha pensato bene di caratterizzare il protagonista come un dandy inglese e di farlo interagire solo tramite dello humor infarcito di sarcasmo e citazioni alla cultura pop degli ultimi trent’anni.

Tutto ciò non sarebbe necessariamente un problema, se non fosse che sin da subito si cerca di far percepire una situazione di pericolo e smarrimento. La sospensione dell’incredulità cede ogni qual volta le si dà l’occasione di prendere il sopravvento.

La gestione degli eventi in TLO è inutilmente ridondante. Si cerca di dare un respiro politico all’opera, fallendo in maniera abbastanza grossolana. Nessun personaggio sembrerà spinto da una ragione effettivamente sensata ed anzi, molti dialoghi sembreranno fin troppo artificiosi e volutamente criptici pur di aggiungere complessità ad una trama che, una volta risolta, mostra tante zone grigie e banali.

Si passa dalla lunga ed esasperante costruzione del mistero ad una serie di rivelazioni buttate tutte insieme addosso al giocatore: il classico “spiegone” che, purtroppo, finisce per essere la croce sull’empatia che si può sviluppare con le situazioni di quel mondo.

Un Souls (quasi) Like

Derattizzazione in atto

The Last Oricru viene presentato come un action rpg con elementi souls-like. Il combattimento ad esempio, sembra effettivamente mutuato dai Souls ed, in parte, da God Of War (2018) vista la presenza di una telecamera decentrata sulla spalla destra e di segnalini luminosi a bordo schermo che ci avviseranno dei nemici circostanti. Vi è una rappresentazione abbastanza soddisfacente di quello che la community dei Souls definisce strategic sword play ovvero quel meccanismo per cui, prima di attaccare il nemico, dovremo aspettare una sua mossa ed evitare di essere colpiti. Una volta che il nemico avrà prestato il fianco ad un nostro attacco, quello sarà il momento giusto per affondare un colpo.

Vi sono però vari elementi che rendono il combattimento un’esperienza poco gradevole: prima di tutto, le hitbox di Silver saranno difficili da comprendere e ci si potrebbe ritrovare ad essere colpiti anche quando si pensa di aver schivato a dovere.  Un altro grosso problema è il target che, nonostante a livello visivo sia rappresentato come un puntino rosso sull’addome dei nemici, obbligherà la telecamera a mirare in basso verso i piedi. La situazione diventerà particolarmente fastidiosa quando ci si troverà ad affrontare combattimenti su scale o comunque su piattaforme di altezze diverse.

Per chi se lo stesse chiedendo, si, esiste il parry (la deflessione di un colpo nemico) ma la sua attuazione, oltre ad essere molto ostica e casuale viste le hitbox non solidissime, non ci permetterà comunque di attuare un contrattacco critico.

La mancanza di colpi critici tenderà a rendere monotono il gameplay visto che un’arma avrà moveset limitati a tre o quattro azioni: attacco leggero, attacco pesante, attacco in corsa ed attacco in caduta. Molte armi che non saranno in grado di effettuare attacchi pesanti, potranno invece dare dei bonus passivi ad alcune caratteristiche, al giusto costo in mana.

Le armi sono molte e i materiali per potenziarle sono facilmente reperibili senza necessità di sessioni di farming. Questo renderà agevole provare vari tipi di arma che ci sottoporranno a vari stili di lotta differenti. Armi a due mani, arma ad una mano e scudo, bastoni magici. Molti palati verranno soddisfatti. Ma non tutti.

Nonostante sia possibile incontrare nemici dotati di archi e balestre, non sarà possibile trovarne nessuno  durante il gioco. Stessa cosa dicasi per il cosiddetto dual wielding, ovvero l’utilizzo di una coppia di armi, ad occupare entrambe le mani, peculiarità di alcuni membri del Broken Army.

I movimenti sono parecchio legnosi, cosa che non restituirà l’epicità che certi combattimenti vorrebbero offrire.

La varietà sarà ottima anche per quanto riguarda le armature. Saranno tante, facili da reperire senza spendere un singolo pezzo d’oro ed offriranno vari approcci, da quello più difensivo a quello più leggero, dalla pura difesa fisica a quella elementale.

A rendere gradevole l’esplorazione delle varie possibilità di gameplay saranno soprattutto gli anelli. Ogni anello del gioco ha infatti la possibilità di darci caratteristiche specifiche, sottraendo punti ad una statistica ed aggiungendoli ad un’altra. Ciò permetterà di costruirsi un personaggio tutto incentrato su una sola statistica o su un paio al massimo e comunque, non ci precluderà l’esplorazione delle altre possibilità. Potrete giocare un personaggio full forza ma, al momento opportuno, renderlo un mago formidabile. È sicuramente un peccato che gli slot per gli anelli siano soltanto due, rendendo macchinoso il processo di cambio build.

E parlando di magia, viene da dire che nulla è stato fatto per rendere il sistema memorabile. Vi sarà la possibilità di concatenare degli incantesimi ma la mancanza dei giusti effetti sonori e visivi renderanno tutte le magie semplici fasci di luce che renderanno il gioco ancora più lento e monotono di quanto già non sia.

Difficoltà artificiale un tanto al kilo

No, non di nuovo

La difficoltà del gioco offre vari spunti di discussione. Giochi come Dark Souls o Sekiro, hanno negli anni posto la problematica della difficoltà. Talune volte un gioco può essere considerato difficile in senso assoluto; talaltre la sua difficoltà sarà perlopiù legata alla costruzione del mondo di gioco e ad alcune meccaniche che se padroneggiate, permettono al giocatore di godersi il gioco agevolmente. In tanti, negli anni, hanno richiesto una modalità facile per giochi del genere, così da poter godere la storia senza incappare in muri insormontabili.

The Last Oricru si propone come risolutore dell’annosa diatriba, inserendo due livelli di difficoltà: la difficoltà oscura e la difficoltà storia. La prima sarà dedicata a giocatori che cercano la sfida, la seconda a chi vuole più comodamente godersi la narrazione. Il problema sta nel come questa differenza è stata messa in atto. L’unica vera differenza tra le due modalità sarà nella velocità dei movimenti dei nemici.

L’IA nemica è sicuramente carente ed incostante. Se a ciò si aggiunge che, in difficoltà storia, i nemici si muoveranno all’incirca alla metà della velocità, il risultato non sarà entusiasmante. A nostro modo di vedere, rallentare così tanto i nemici non è una maniera intelligente di regolare la difficoltà come potrebbe essere, ad esempio, abbassare l’output di danno di alcuni boss o mini boss. Questo tipo di risoluzione renderà il combattimento un semplice fastidio durante l’esplorazione.

Non si tratta di semplificazione ma di totale rimozione della sfida. E in un gioco che viene proposto come “challenging” non è ciò che ci si aspetta. Anche il concetto per cui la difficoltà storia servirà a godersi meglio la narrazione, cadrà quando all’ennesimo combattimento ci ritroveremo ad affrontare dei manichini che possono essere colpiti nei lunghissimi intervalli tra un loro colpo ed il caricamento del prossimo. Tutto apparirà appesantito e l’esperienza generale ne risentirà.

A difficoltà oscura il grado di sfida non sarà comunque troppo alto, se non per alcune boss fight con hitbox non chiarissime. Altre volte sarà divertente affrontare alcuni scontri grazie alla varietà di approcci: ci si potrebbe trovare a cambiare tutto il proprio setup per avere più difesa al fulmine e dopo tornare ad un setup meno da tank e più votato all’agilità.

Man mano che ci si avvicinerà alla fine, le boss fight diverranno più ostiche. Anche qui però, è il modo a non funzionare: dai primi boss che avranno ovviamente un grande output di danno ma che sarà possibile affrontare in vari modi, la rosa delle possibilità andrà restringendosi sino ad arrivare a boss che uccideranno con un singolo colpo il giocatore, costringendolo a rifare tutto il percorso per poi morire ancora con un colpo.

Combattimenti del genere rappresentano la morte si, ma del divertimento. In un action rpg, comprendere un boss ed affrontarlo, è quanto di più soddisfacente si possa dare ad un giocatore. Se il boss però, ti guarda e ti uccide, ogni voglia di sfida cede il passo alla noia e la vittoria non darà soddisfazione ma sarà un semplice sospiro di sollievo dalla cocente frustrazione. A quanto pare, disastri come il Drago Antico di Dark Souls II non hanno insegnato niente a nessuno.

Sound design e colonna sonora

Guarda che luna…

Un altro grosso problema del gioco è l’audio ed alcune scelte fatte. Da una parte lato gameplay, dall’altra lato narrativo.

Lato gameplay saremo vittime di un sistema di combattimento che non ci permetterà di muovere agilmente la telecamera e che vorrà rimediare con segnalatori luminosi ai bordi dello schermo. Il problema sarà che i segnalatori saranno parecchio sommari nell’indicazione del nemico ed il suono non sarà di alcun aiuto. Se state già lottando con un nemico, non ne sentirete mai un altro avvicinarsi, non emetterà alcun suono. Né passi, né clangore di spade, né sfrigolio del metallo dell’armatura. Nulla a livello uditivo vi avviserà dell’imminente pericolo.

La mancanza di questo tipo di interazioni sonore sarà presto motivo di frustrazione. Alcune boss fight ad esempio, che potrebbero essere rese interessanti dall’inserimento di suoni ambientali capaci di identificare determinati pericoli, saranno invece frustranti in quanto bisognerà affidarci ad input diversi e non pensati per essere tali.

A ciò si aggiunge un grave problema nell’audio posizionale dei nemici che affronteremo. Anche con un nemico di fronte a noi, l’audio sembrerà sempre provenire dalle nostre spalle, lasciandoci in balia dell’inquietudine che qualcuno sia dietro di noi. Tutti questi che potrebbero sembrare problemi secondari, pad alla mano potrebbero rappresentare un grave handicap per l’esperienza.

A livello di colonna sonora c’è veramente poco da dire: durante le passeggiate saremo accompagnati da melodie molto tenui e mal mixate coi suoni ambientali, tuttavia gradevoli. Durante le boss fight non vi sarà alcun tipo di musica o almeno non sarà a volumi da poterla anche solo ravvisare. Ancora, questo elemento renderà uno scontro uguale all’altro, senza adornare con la giusta cornice le battaglie più importanti.

Level design (molto) soulsiano

“Pathetic”

Uno dei punti in cui il gioco fa veramente bene è il level design. Vi è interconnessione sia all’interno di una stessa area che tra aree differenti. Le scorciatoie sono pensate in maniera intelligente e sbloccarle sarà forse la più grande soddisfazione che il gioco saprà offrirvi.

L’ispirazione più forte sembra provenire da Demon’s Souls. Dal titolo di From Software sembrano essere ripresi soprattutto gli ambienti: la fortezza ricorda incredibilmente Boletaria; le miniere ricordano Stonefang ecc.

Dal titolo di From Software, viene ripreso anche il modo con cui sono pensate le shortcut. Data la bassa presenza di Terminali (checkpoint, punti di ristoro, utili per salire di livello e potenziare armi), solitamente non più di uno ad ogni area, è gradevole riuscire ad avere forte connessione, sia verticale che orizzontale.

Imparare i passaggi presenti in un’area ci permetterà di correre attraverso essa, restituendoci quella sensazione soulsiana di padroneggiare una mappa. La sensazione di riuscire a vedere mentalmente, la tridimensionalità entro cui ci muoviamo.

Grafica ed art design

A long way to the top

Graficamente i ragazzi di Goldknight hanno saputo sfruttare discretamente l’Unreal Engine, nonostante in alcune zone più popolose di NPC, ci si trovi ad avere problemi di caricamento delle texture.

Lato artistico, vi è tanto di anonimo ed abbozzato. Gli sfondi sono sicuramente le parti migliori da osservare. Distensivi e d’impatto, restituiscono bene la sensazione di grandezza del mondo che ci circonda.

Conclusioni

Goldkinght Games Studio propone un’esperienza che trasmette cuore ma che si perde in quasi ogni ambito cerchi di portare avanti. Da una storia dalle premesse interessanti ma mal sviluppate, alla narrazione eccessivamente frammentata in prima battuta e noiosamente didascalica nelle fasi finali. Dal combat system macchinoso ad una modalità co op inconsistente. Proporre una co op mode piena di muri e senza loot condiviso, dopo le tante esperienze che il mondo del videogioco ha proposto, risulta frustrante ed anniente la bellezza del giocare in compagnia.

Le idee buone ci sono, alcune meno nascoste di altre come l’utilizzo saggio del level design e la costruzione degli ambienti. Siamo convinti che The Last Oricru sia un primo esperimento riuscito male, che potrebbe però essere capace di dare il giusto slancio alla software house per produrre qualcosa di veramente interessante.  

This post was published on 20 Ottobre 2022 18:30

Pietro Falzone

Redattore Appassionato di videogiochi sin dal sempre più lontano 2002, quando per festeggiare i 5 anni ricevette una copia di Crash Bandicoot per la prima PlayStation. Il richiamo dell'avventura digitale lo fece innamorare di un mondo fatto di pixel, più o meno definiti. E l'amore non si è mai fermato. Inizia così a tastare tutti gli aspetti del mondo videoludico. Tra le sue più grandi passioni, si piazzano in ordine gli MMORPG (con sempre meno per giocarli, purtroppo), gli sparatutto in prima persona e, doprattutto, giochi di ruolo single player. Così si spiegano le più di mille ore, spalmate sui vari titoli From Software, da Demon's Souls in poi. Dalla fine delle medie, scopre una nuova passione: la scrittura. E come se non bastasse, scopre che nel mondo c'è chi scrive riguardo ai videogiochi, come se fosse un lavoro vero. Cosa fare di due passioni del genere dunque? Inizia così la ricerca disperata del giusto vascello, che riuscisse a convogliare voglia di fare, idee e tempo. Dopo un periodo passato a peregrinare, tra siti e sitarelli, approda su Player.it dove trova una casa in cui convogliare idee e spunti, al fianco di un team solido e costruttivo.

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