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Recensioni

Soulstice – Recensione dell’action “all’italiana” (Xbox Series S)

C’era una volta la commedia all’italiana, spesso scollacciata e puerilmente volgare, c’erano i polizieschi all’italiana, anche conosciuti come poliziotteschi, per non parlare poi dei western made in Italy, meglio noti come spaghetti-western. Ecco, ora nei videogiochi abbiamo gli action all’italiana, perché tutto ciò che viene prodotto nel Bel Paese viene catalogato così, come a voler tracciare una linea di demarcazione tra il nostro e il loro.

Per questo nel titolo di questa recensione tale definizione è tra virgolette, Soulstice è effettivamente un gioco italiano, sviluppato da Reply Game Studios, tuttavia va giudicato per quel che è: un action, punto. La sua natura nostrana non deve influenzare la valutazione né in negativo né in positivo, perché se fosse così allora le testate statunitensi e giapponesi dovrebbero mettere solo 4 e 10 visto che la maggior parte delle produzioni viene da lì.

Insomma, Soulstice è il nuovo stylish action che cerca di ricalcare le orme di Devil May Cry e Bayonetta, in questa recensione cerchiamo di spiegare se ci sia riuscito in modo convincente e creandosi una propria identità. Adesso che ho terminato la polemica tra me e il sottoscritto (cit.), posso iniziare.

Un regno soggiogato dal Caos

Il Sacro Regno di Keidas è in pericolo. Il Velo è stato squarciato e un esercito di Posseduti sta attaccando ferocemente una delle tre capitali, Ilden. Questi abomini sono frutto dell’azione degli Spettri, esseri in grado di possedere i corpi delle vittime cadute in battaglia e tramutarli in creature bestiali. I Custodi hanno cercato per secoli di scongiurare la catastrofe, ma ormai sembra essere giunto il momento del Solstizio delle Anime, quando la Progenie del Caos soggiogherà e inghiottirà tutto ciò che esiste.

C’è però ancora una speranza: le Chimere. Questi guerrieri dalla forza e dalla volontà sovrumane sono gli unici a poter affrontare le orde di mostri e mettere fine al caos. Le protagoniste di Soulstice sono proprio due Chimere, Briar e la sua ombra Lute. Sono sorelle e, sì, Lute è un’ombra, ovvero un’anima legata in modo inestricabile al suo guerriero. L’Ordine della Lama Cinerea ha affidato proprio a loro due il compito di salvare Ilden.

Non sveliamo null’altro sulla storia di Soulstice, un gioco che presenta una narrativa abbastanza classica per titoli di questo tipo. Il gioco infatti premia maggiormente il gameplay, mentre la storia è funzionale a ciò che avviene su schermo. Rispetto a un DMC (modello di riferimento che non possiamo evitare di citare), le tematiche e il modo in cui queste vengono esposte sono più vicini ai tòpoi della narrativa dark fantasy, con un regno impegnato nella lotta tra il bene e il male e la ricerca della verità sul proprio passato.

Infatti, tra un capitolo e l’altro, Soulstice propone intermezzi giocabili maggiormente narrativi chiamati Ricordi. Durante queste fasi, nei panni di Lute, dobbiamo trovare echi del passato che possano far luce su come le due ragazze siano diventate delle Chimere. Sono sezioni apprezzabili perché si nota la volontà del team di non voler limitarsi a “ci sono i mostri, noi siamo i buoni, li ammazziamo”, ma di voler offrire ai giocatori anche una finestra sul background delle protagoniste che andiamo a controllare comunque per almeno 15/20 ore. Dunque, un minimo di attaccamento è giusto anche cercare di ottenerlo. Inoltre, queste fasi servono anche a ristorare le forze dopo interi capitoli passati a massacrare mostri. I polsi ringraziano.

In linea generale, non siamo di fronte a una narrativa epocale, ma ci sta, nessuno può aspettarsi la complessità espositiva e tematica di Death Stranding in titoli di questo genere.

La natura dark fantasy del gioco si denota anche dall’estetica, o meglio, dall’effettistica che travolge il giocatore con un caleidoscopio di colori sfavillanti; solitamente in linea con videogiochi dall’estetica anime, ad esempio Scarlet Nexus, questi effetti sono proiettati però su un’estetica generale che ricorda la CG delle produzioni fantasy, ma meno sfarzosa. A rendere tutto visivamente incantevole è l’inquadratura che il team ha scelto per quasi tutta la durata del gioco, una perenne panoramica che riprende tutto da lontano per poi avvicinarsi solo in momenti più salienti, come i combattimenti.

Grazie a questa inquadratura con telecamera semifissa (può essere spostata di pochi gradi) il giocatore viene immerso in un’atmosfera che lo fa sentire piccolo piccolo di fronte a edifici mastodontici e scorci di rara bellezza. La telecamera diventa libera durante i combattimenti, ma ci torneremo dopo perché va fatto un discorso più ampio, perché sia la telecamera sia l’inquadratura impattano anche sul gameplay.

Un problema che abbiamo riscontrato è sul lato tecnico, infatti, la versione da noi giocata (Xbox Series S, come da titolo) faticava a caricare le texture. Addirittura, abbiamo dovuto giocare un capitolo intero con le texture a bassa risoluzione sia sugli scenari sia sui modelli. Questo accadeva perlopiù dopo una cutscene.

Lo stylish action secondo Reply Game Studios

Quando fu presentato la prima volta, parecchi pensarono a un souls, ingannati anche dal titolo, invece Soulstice è uno stylish action, cioè quel sottogenere di cui fanno parte Devil May Cry e Bayonetta in cui le combo e le animazioni dei personaggi sono altamente spettacolari e acrobatiche. I videogiochi di questo tipo premiano i giocatori con punteggi alla fine di una missione o di un combattimento che valutano quanto questi siano stati bravi a utilizzare tutte le meccaniche a disposizione al fine di massacrare i nemici.

Così è per Soulstice, un action pirotecnico che fa della fluidità e del dinamismo sul campo di battaglia i suoi punti di forza. Attacco primario, attacco secondario, schivata e parata sono le dinamiche in comune con altri titoli del genere, tuttavia Soulstice apparecchia un sistema di combattimento che cerca di uscire da questi schemi con soluzioni alternative, soprattutto per quanto riguarda le mosse difensive.

Briar e Lute agiscono come se fossero un’unica entità fisica, anche se Lute è eterea. La prima è maggiormente votata alla fase offensiva, infatti è lei che materialmente maneggia le armi, invece Lute ha dalla sua una serie di poteri che garantiscono protezione. Nello specifico, la nostra ombra può parare per nostro conto gli attacchi nemici con la pressione di un tasto, pertanto è comunque il giocatore a dover agire, ma risulta visivamente e concettualmente un modo diverso di progettare la parata. Dove si vede l’importanza di Lute è nella sua capacità di generare dei campi di forza, delle barriere che hanno un uso diverso in base al colore. Con i due grilletti del gamepad, possiamo chiedere a Lute di creare o un campo di evocazione (blu) o un campo d’esilio (rosso); nel primo caso, questi sono fondamentali per colpire gli Spettri che altrimenti non sarebbero vulnerabili ai fendenti di Briar. Infatti, nel gioco, oltre a minion di base, ci sono nemici molto potenti che si dividono in due categorie: Spettri e Posseduti.

I primi sono caratterizzati da un’aura blu, dunque vanno colpiti solo se si trovano all’interno del campo di evocazione, mentre i Posseduti sono caratterizzati da cristalli rossi che crescono sul loro corpo. Costoro sono vulnerabili solo all’interno del campo d’esilio. Tale scelta rende i combattimenti dinamici e abbastanza strategici perché non basta distruggere il tasto d’attacco, bisogna anche attivare il campo giusto al momento giusto, visto che spesso Spettri e Posseduti arrivano insieme e Lute non ha l’energia per attivare i campi infinitamente. Dopo un po’, la ragazzina va in Entropia, cioè una sorta di sovraccarico che la fa scomparire, per poi tornare dopo qualche secondo. In quel frangente, Briar è esposta agli attacchi nemici.

Briar, come detto, si dedica agli attacchi standard con le armi messe a disposizione dal gioco. L’armamentario è abbastanza vario e propone diverse opzioni per offendere gli avversari: la spada principale non può essere cambiata, mentre l’arma secondaria è selezionabile con la croce direzionale. Gli strumenti di morte utilizzabili vanno da un martello lento ma inesorabile quando schiaccia il malcapitato di turno a pugnali che fanno poco danno ma velocissimi, passando per un arco da usare contro i nemici volanti e guanti che esplodono all’impatto. Sia le armi sia le protagoniste possono essere potenziate in un sistema di progressione particolarmente valido che fa sentire i suoi effetti andando avanti nell’avventura.

Di capitolo in capitolo, Soulstice si fa sempre più tosto con un livello di sfida (che può essere sempre cambiato scegliendo tra cinque opzioni di difficoltà) calibrato anche sulle nuove abilità sbloccate dal giocatore. Se all’inizio i nemici saranno mostri abbastanza generici, ben presto la Progenie del Caos si farà molto più insistente e cattiva, sputandoci addosso le entità più forti e resistenti nella stessa arena di combattimento. Alcuni boss diventeranno addirittura nemici comuni. Ciò però non comporterà mai un senso di avvilimento perché, nel mentre, anche Briar e Lute saranno diventate parecchio più forti, grazie al sistema di progressione del gioco che ci permette di spendere frammenti di cristallo su entrambi i personaggi. Lute, potenziata a dovere, può diventare una macchina da guerra. Quando le due eroine mettono a segno svariati colpi senza subire danni, entrano in modalità Furore (LT+RT), durante la quale Briar e Lute trascendono (non vi sveliamo cosa significa dal punto di vista narrativo) diventando più veloci e letali.

Ci sono inoltre fasi platform (Lute può far apparire piattaforme nascoste grazie al campo d’evocazione) e saltuariamente degli enigmi da risolvere, quest’ultimi presentano lo stesso schema: barriera di cristallo corrotto ostacola il cammino – ricerca delle radici – distruzione delle stesse per continuare.

Insomma, fino ad ora abbiamo descritto un action fatto con tutti i crismi, con un combat system divertente e dinamico, forti ispirazioni ai mostri sacri del genere sia nel combattimento (DMC) sia nelle animazioni e nell’esplorazione (Bayonetta, Nier), visivamente spettacolare con palesi influenze di Berserk, quindi tutto bello è senza intoppi? No, delle criticità ci sono e dobbiamo farle presente, altrimenti cosa ci stiamo a fare? Il primo pelo nell’uovo si può riscontrare in un feedback delle armi non sempre convincente, lo abbiamo notato soprattutto con l’arco e con i pugnali che non fanno percepire in modo soddisfacente il colpo inferto o la freccia scoccata. Questo però è il difettuccio meno grave, ciò che invece ci ha un po’ spiazzati e non ci ha sempre permesso di goderci l’esperienza appieno sta proprio in uno dei punti di forza che abbiamo descritto in precedenza: l’inquadratura.

Questa è evocativa, da lasciare a bocca aperta, ma mette anche il bastone fra le ruote sia nei combattimenti sia nell’esplorazione. La telecamera così lontana non restituisce il senso di profondità che un action dovrebbe avere in situazioni caotiche, durante le quali la precisione è tutto. Più di una volta non siamo riusciti a colpire in nemico volante davanti a noi perché non capivamo quale fosse la distanza tra noi e lui, ancora più di sovente non abbiamo offerto una buona prestazione nelle fasi platform a causa di inquadrature scomodissime. Non è capitato di rado, inoltre, di non accorgerci di una scala o di un ingresso perché da lontano semplicemente non si vedevano o erano occultati da qualcosa di più ingombrante.

La telecamera diventa libera durante i combattimenti, come abbiamo accennato, anche in questo caso però dobbiamo far presente un problema frequente: questa va aggiustata con regolarità manualmente per non perdersi i nemici, e la cosa si fa notare ancora una volta con quelli volanti che scompaiono letteralmente dallo schermo. Neanche il lock on migliora di tanto la situazione, anzi, addirittura la peggiora. Contro i colossali boss, poi, rimanere incastrati è quasi scontato perché la telecamera rimane inchiodata negli spazi troppo ristretti, in cui c’è qualcosa di troppo grande che la ostruisce.

Per quanto riguarda l’esplorazione, invece, la maggior parte dei “dungeon” e delle aree aperte presentano un level design lineare, in cui tirare dritto è quasi sempre la soluzione per trovare la strada giusta. Sembra quasi che, in certi aspetti, la giocabilità sia stata sacrificata all’altare della cifra stilistica, con scelte belle da vedere, ma poco funzionali pad alla mano.

Di buonissima fattura la colonna sonora che propone brani dal ritmo incalzante a cavallo tra il rock e la techno/trance, come Low Town e Colossus, e composizioni orchestrali più solenni e dal carattere quasi religioso. Qui vi lasciamo una delle nostre preferite, The Cathedral of the Guiding Light.

Buono anche il doppiaggio inglese accompagnato da sottotitoli in italiano, la cui presenza fa sempre piacere (d’altronde, il team è italiano).

Commento finale

Soulstice è un action tosto, fatto con cognizione di causa, divertente da giocare e bello da vedere. Il combat system, nel suo essere in linea con il genere, propone soluzioni ludiche che rendono l’esperienza riconoscibile tra tante. Particolarmente azzeccata la combinazione di “responsabilità” in combattimento tra le due protagoniste e la progressione delle stesse. Il gioco fa centro su tantissimi aspetti, la maggior parte, tuttavia lascia qualche spiraglio alle critiche soprattutto riguardo alla linearità, la telecamera e una scelta stilistica (l’inquadratura molto lontana) visivamente accattivante, ma poco funzionale pad alla mano. Una cosa però vogliamo dirla con il cuore in mano: se queste sono le premesse, Reply Game Studios potrebbe in futuro regalare molte soddisfazioni con action a regola d’arte, perché Soulstice come base di partenza è tanta roba.

This post was published on 26 Settembre 2022 16:10

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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