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Recensioni

Metal: Hellsinger | Recensione del rhythm game infernale (Xbox Series S)

Siete dei fenomeni a strimpellare le vostre chitarre mentre passa un brano di Guitar Hero? Rocksmith vi fa un baffo? Certo, son bravi tutti senza un demone che cerca di mordervi dove non batte il sole, provate a tenere il ritmo mentre un’orda di creature infernali vi assale bramando le vostre carni. A mettere un po’ di pepe ai rhythm game ci ha pensato The Outsiders, lo studio che ha sviluppato il gioco che andiamo a recensire, Metal: Hellsinger.

Curioso davvero il come sia nata l’idea di un Doom-like ritmico, infatti David Goldfarb, game director del gioco, ha dichiarato di avere avuto un’illuminazione mentre giocava proprio allo sparatutto di id Software con l’audio abbassato e un pezzo dei Meshuggah a dargli il ritmo. L’idea scaturita da questa casualità ha fatto centro nella pratica? Scopriamolo insieme.

Alla ricerca della propria voce

Una profezia in grado di mettere in subbuglio l’intero Inferno è al centro della storia di Metal: Hellsinger. Secondo questo presagio, arriverà una Cantrice Infernale a distruggere il regno dei morti con la sua voce, un avvenimento che di certo non può far piacere alla Giudice Rossa, l’entità preposta a regolare l’equilibrio negli Inferi. E guarda un po’, all’Inferno una donna metà umana e metà demone sembra corrispondere a quella descrizione, almeno per la sua voce incantevole.

Si sa, le entità demoniache non vanno giù per il sottile e così la Giudice Rossa, per non rischiare, decide di togliere a quella donna la cosa più importante che possiede, la voce, e con essa la possibilità di cantare. Il giocatore prende il controllo della mezzodemone, da qui in poi conosciuta come l’Ignota, mentre attraversa gli Otto Inferni che compongono il regno dell’Oltretomba sterminando orde di creature immonde per avere vendetta e riappropriarsi di ciò che le appartiene.

La trama è questa, niente di epocale, ma assolutamente funzionale a ciò che scorre su schermo, Metal: Hellsinger non è infatti un gioco narrativo, è tutto gameplay. La storia è un pretesto per convincere il giocatore a cercare vendetta e fare incetta di teste demoniache a ritmo di musica. Non mancano comunque cutscene e prologhi narrativi ben curati all’inizio di ogni livello, dotati inoltre di un doppiaggio inglese di buonissima fattura (ci sono i sottotitoli in italiano).

D’altronde, anche titoli simili più blasonati non propongono trame articolatissime, mettendo sul piatto solo lo stretto necessario per dare una motivazione a ciò che il gioco ci chiede di eseguire. Non si pretende da Metal: Hellsinger una narrativa memorabile, anzi, ciò che c’è è anche abbastanza.

Metal: Hellsinger non è un fps…

… almeno non per come siamo abituati a conoscere il genere. La definizione che meglio riesce a inquadrare il gioco di The Outsiders è sparatutto ritmico, con il secondo termine che ha però una prevalenza sul primo. La natura fps del gioco è, diciamo, visiva, nel senso che lo sviluppatore ha inserito un rhythm game all’interno di un contesto che riprende le meccaniche dei classici sparatutto in prima persona anni ’90, ma avrebbe potuto inserirlo in qualsiasi altro contesto, sarebbe stato comunque un rhythm game.

I titoli di questo genere propongono solitamente degli schemi riconoscibili fin da subito anche quando si trovano fuori dal loro habitat; per fare un esempio che chiarisca il concetto, Kingdom Hearts: Melody of Memory è un rhythm game e lo è anche per chi non conosce la serie, perché basta guardare come vengono proposti gli schemi per ricondurre subito il gioco a quel genere.

Con Metal: Hellsinher, invece, il discorso è diverso. Non sono pochi coloro che, senza informarsi più di tanto, lo hanno scambiato per un fps per poi scontrarsi con la realtà: se si gioca Metal: Hellsinger come un fps si è destinati al fallimento al livello di difficoltà più alto o a una progressione molto più ardua e lenta anche al livello intermedio. Questo accade perché il videogioco in questione, appunto, usa gli stilemi del genere fps per proporre un rhythm game diverso dal solito.

L’impostazione generale non è del tutto nuova, in realtà, perché già Crypt of the Necrodancer presenta questa idea di base, ma in Metal: Hellsinger la “simulazione” di un contesto che fa da involucro alle dinamiche da gioco ritmico è molto molto più precisa e bella da vedere. Esteticamente, infatti, il titolo è gradevolissimo e dimostra amore nei confronti delle produzioni sparatutto sia più moderne sia retrò.

Le ambientazioni sono infernali in tutti i sensi, riescono a ricreare bene l’atmosfera chi ci si aspetterebbe dalla rappresentazione degli Inferi che abbiamo tutti incamerato in questi anni proprio grazie ai videogiochi, in cui il regno dei morti è quasi sempre mostrato nella sua opulenza architettonica e in simbologie di stampo maggiormente artistico piuttosto che di natura iconografica religiosa. È tecnicamente che Metal: Hellsinger mostra un po’ il fianco ad alcune criticità, difatti tutto è bello da vedere nel complesso, ma nel dettaglio ci sono parecchie lacune dettate forse da un budget non altissimo.

Le arene sono un po’ spoglie, l’interattività con gli ambienti si riduce alla distruzione di alcuni cristalli verdi sparsi per i livelli che consentono di recuperare HP, mentre le zone più aperte non sono esattamente il non plus ultra dal punto di vista scenico e panoramico. A risultare spartano è anche il level design che non propone enormi possibilità di movimento all’interno della mappa, anche in questo caso però ci troviamo di fronte a una scelta funzionale al genere di appartenenza del gioco. Non è un fps, quindi, il level design di Doom Eternal non è replicabile, e sarebbe sbagliato aspettarselo; è un rhythm game, pertanto il level design deve dare modo al giocatore di avere poche vie di fuga e pochi punti ciechi da cui potrebbero arrivare nemici.

I nemici arrivano quasi sempre in linea retta perché il giocatore è chiamato a tenere il ritmo e questo non sarebbe possibile con una mobility dei nemici troppo articolata.

Come si gioca un fps ritmico?

Abbiamo detto tante cose, ma non abbiamo ancora descritto il gameplay vero e proprio. Ebbene. Metal: Hellsinger, come abbiamo già detto, è un fps ritmico, pertanto avremo dalla nostra parte un arsenale composto da due armi principali sempre equipaggiate, la spada Terminus e il teschio Paz, in grado di sputare proiettili infuocati, più un’arma da fuoco primaria e una secondaria da selezionare prima di iniziare un livello: un fucile a pompa, una coppia di revolver, una balestra esplosiva e un’arma lanciabile simile a uno scettro chiamata Hellcrows. Con queste, il nostro scopo è massacrare le orde di demoni che la Giudice Rossa ci lancerà addosso per fermarci.

Il punto è che necessariamente dovremo farlo tenendo il ritmo della musica in sottofondo che durerà per tutta la lunghezza del livello. Ogni livello, ce ne sono otto più il prologo che corrispondono agli Otto Inferni sopra citati, ha una colonna sonora unica che ci impartirà il ritmo da tenere. Al centro dello schermo, è posizionato il mirino formato da freccette bianche intermittenti che danno il ritmo al massacro. Ogni singola azione che compiamo nel gioco deve andare a tempo col mirino in modo da ottenere il risultato migliore possibile.

Sparare senza seguire il ritmo è possibile, ma equivale quasi a mancare il nemico perché i danni che un proiettile, o un fendente della spada, procura sono proporzionali a quanto siamo riusciti a rientrare nelle tempistiche richieste. Non è, dunque, solo una questione di punteggio a fine missione, ma proprio di efficienza e di efficacia. Non tenendo il ritmo, i nemici saranno più difficili da abbattere, cosa che farà aumentare la dura degli scontri e il rischio di essere uccisi. A seguito di una morte sarà possibile risorgere un numero limitato di volte, in base alla difficoltà scelta, una volta finite le risurrezioni, saremo obbligati a ricominciare il livello.

Eseguendo correttamente uccisioni in sequenza, completeremo una serie ritmica, una sorta di moltiplicatore di punteggio che, arrivato alla soglia del 16x, farà sì che la musica diventi sempre più veloce aggiungendo anche parti cantate. I giocatori più avvezzi ai rhythm game e con un buon orecchio saranno in grado anche di andare a ritmo senza guardare il mirino, infatti, prima di cominciare a giocare, il sistema ci farà fare un test per impostare la latenza audio e video, in modo da non incorrere in errori a causa di ritardi dovuti allo schermo in uso. Esiste anche un sistema di potenziamento del personaggio attraverso lo sblocco di alcuni bonus ottenibili completando i Tormenti.

Questi sono delle sfide a tempo in cui, perlopiù, ci verrà chiesto di uccidere un numero di nemici seguendo il ritmo prima che scada il countdown. Ogni uccisione aumenta il timer di qualche secondo. I bonus sbloccabili vanno dal maggior numero di munizioni nel caricatore delle armi alla velocità con cui si riempie una serie ritmica. Alla lunga il titolo, in virtù anche di ciò che abbiamo detto su level design e IA nemica, può risultare ripetitivo, aggiungiamoci che non c’è grande varietà di creature e che non ci sono mai variazioni sul tema, come minigiochi o sfide con obiettivi unici. La ridondanza è certificata dal fatto che il boss finale di ogni livello è sempre lo stesso, solo con dei pattern diversi di volta in volta.

Metal: Hellsinger riesce a ovviare alla ripetitività offrendo un’esperienza abbastanza breve di circa 4-5 ore. Le ore aumentano, ovviamente, se si vogliono scalare le classifiche (ci sono punteggi al limite della follia).

Che musica ascoltano all’Inferno?

Solitamente, in una recensione il paragrafo sul sonoro non è particolarmente lungo, ma qui parliamo di un rhythm game, dunque è doveroso soffermarsi un po’ sulla soundtrack. Per scrivere questo paragrafo ho chiesto aiuto al direttore responsabile, Daniele Di Egidio, maggiormente esperto in materia e nato con il metallo nelle vene.

Hey! Faccio irruzione nella recensione del fidato Michele per una sana dose di ignoranza non richiesta. Sono Daniele Di Egidio, forse mi conoscerete per la recensione brutta di Doom Eternal (da leggere con la voce di Troy McClure dei Simpson).

Quando il nostro PR Simone ci ha detto “sta per uscire un gioco ignorantissimo fatto di metal e armi infernali” mi sono precipitato e l’ho scaricato in un battibaleno. Purtroppo il tempo è tiranno e la creazione del nostro nuovo canale twitch (andate a dargli uno sguardo e iscrivetevi!) mi ha negato il piacere di recensire questa perla di schiaffi demoniaci.

Tornando a noi, l’influenza di Doom Eternal si fa sentire parecchio, sia negli scenari che nell’estetica dei mostri. Quello che manca è il mordente; se da una parte abbiamo sangue e fiamme dall’altra saranno effetti sacrificati sull’altare del “rythm game”, con un look decisamente cartoonesco e arcade.

L’intera estetica del gioco ha quel look’n feel che sarebbe piaciuto a me e alla mia intera comitiva diciottenne, un po’ metal “da catalogo di EMP”, non so se lo ricordate. Dai, ve la faccio breve: l’estetica che piacerebbe tantissimo ai metallari che vanno in giro con le magliette dei lupi o con dei vampiri Goth bruttissimi. Loro ci andrebbero pazzi. Noi amanti dello splatter vero invece storciamo un po’ il naso.

Per non parlare della storia, la longevità del gioco non verte a favore della narrazione ma il livello di profondità del racconto si perde in un bicchiere di… lava.

Tutt’altra storia invece per la colonna sonora.

Il cast è da urlo. Letteralmente.

A corollario della OST troviamo al microfono :

  • Mikael Stanne dei Dark Tranquillity
  • Tatiana Shmayluk dei Jinjer (nota personale, follemente innamorato di lei)
  • Bjorn Strid dei Soilwork
  • Matt Heafy dei Trivium
  • Serj Tankian dei System of a Down
  • Dennis Lyxzén dei Refused (tornati alla ribalta anche grazie a Cyberpunk, l’avrete sicuramente sentito come voce dei “Samurai”)
  • Randy Blythe dei Lamb of God
  • Alissa White-Gluz degli Arch Enemy e Agonist
  • James Dorton dei Black Crown Initiate (e loro non li conosco)

I cantanti sono sicuramente di fama internazionale, abbiamo gli esponenti delle migliori band metal degli ultimi 20 anni, come Stanne dei Dark Tranquillity che è tra le migliori voci della scena Gothenburg, Heafy che negli anni si è fatto perdonare per le sue sonorità emo dei primi anni 2000, Tankian che è letteralmente una delle voci più riconoscibili al mondo e Blythe che ha fatto scapocciare ogni singolo metallaro esistente con i Lamb of God.

Sulla loro performance vocale non ho nulla da dire, è pressoché perfetta. Quando andremo ad affilare le combo inizieranno ad alzarsi le loro voci e daranno ritma alle incessanti battaglie contro i demoni che troveremo sparsi nei livelli, regalando un’ottima scarica adrenalinica.

Soffermandoci un secondo sulla qualità tecnica della musica e delle performance vocali mi sentirei fortemente di alzare di mezzo voto la recensione, il comparto tecnico musicale è pressoché perfetto e rende l’esperienza ritmica di livello.

Nient’altro da dire.


Sono Michele, riprendo la parola perché Daniele ha parlato anche troppo. Andiamo ai voti così la chiudiamo qui.

This post was published on 19 Settembre 2022 15:02

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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