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The Last of Us: Parte I | Recensione (PS5) | Un (in)atteso ritorno

Alzi la mano chi, tra voi, avrebbe pensato di ritrovarsi a giocare nuovamente a The Last of Us su PS5.

Siate sinceri: nonostante i vari remaster e director’s cut a cui mamma Sony ci ha abituato negli ultimi tempi, chi di voi si sarebbe aspettato un remake della prima, gloriosa avventura di Joel ed Ellie?

Si, sappiamo benissimo che i rumor e le voci di corridoio c’erano sempre stati, ma chi vi scrive era molto più propenso ad immaginare Naughty Dog a lavoro sul multiplayer online della Parte II o, in alternativa, su una nuova IP.

E invece, ad aprire un autunno che si preannuncia carico di uscite di primissimo ordine, ci troviamo tra le mani The Last of Us Parte I, ovvero un remake del videogame che, nel lontano 2013, rappresentò il canto del cigno di Playstation 3.

Nonostante l’impatto visivo delle prime immagini diffuse fosse notevole, e nonostante il fatto che Naughty Dog sia oramai sinonimo di qualità, diverse domande ballavano nella mente del sottoscritto.

A chi è indirizzato questo The Last of Us: Parte I? C’è veramente bisogno di una versione aggiornata di The Last of Us su Playstation 5? E soprattutto: qual è il senso di pubblicare un remake, per quanto ben realizzato, di un’opera di cui, a memoria d’uomo, è stato già detto tutto?

Chi vi scrive era il primo scettico di questa operazione, e l’opportunità di una recensione era forse la miglior occasione per dirimere ogni dubbio in merito, ed anche per vestire nuovamente i panni di Joel ed Ellie.

Come sempre, per arrivare alle risposte che cerchiamo dovrete pazientare un po’, ma per The Last of Us, fidatevi, ne vale la pena.

I giorni dell’apocalisse…

Il salto grafico realizzato da Naughty Dog è impressionante.

Uno dei punti di cui, nelle recensioni dei remake, si dovrebbe parlare poco e nulla è proprio quello che riguarda la trama, ma qui bisogna fare un’eccezione, sia per coloro che avessero solo sentito parlare del titolo in questione, che per motivi che vi spiegheremo tra breve.

La routine quotidiana degli Stati Uniti è bruscamente interrotta da una misteriosa pandemia che, nell’arco di pochi giorni, darà vita ad una vera e propria apocalisse, un punto di non ritorno per l’intero genere umano. Joel è uno dei pochi superstiti, che ha però pagato un prezzo altissimo per la sua sopravvivenza e che, per ritagliarsi il suo spazio nella post-apocalisse, si è reinventato contrabbandiere.

Un bel giorno, al buon Joel viene affidato un incarico molto particolare: dovrà recapitare un “pacco”, facendolo arrivare all’altro capo dell’America. Tuttavia, il pacco in questione è una ragazzina di nome Ellie, che dovrà essere accompagnata alla base operativa delle Luci, una delle fazioni che dominano ciò che rimane dell’umanità.

Il motivo di questo viaggio è presto scoperto: la piccola Ellie sembrerebbe essere immune al virus che ha devastato il mondo e, quindi, rappresenta l’unica speranza per ottenere un vaccino che possa cambiare le sorti del mondo.

Inutile dire che, nonostante le reticenze iniziali, il nostro contrabbandiere finirà con l’affezionarsi alla sua compagna di viaggio, proteggendola da tutti i pericoli che insidieranno la loro traversata, riscoprendo, così, il suo lato emotivo e portandolo ad una scelta finale tanto tragica quanto umana.

… ancora più coinvolgenti!

Il feeling del gioco è rimasto immutato.

Come i lettori più crossmediali avranno sicuramente compreso, The Last of Us potrebbe essere considerata, sotto tanti aspetti, la trasposizione videoludica de “La Strada” di Cormac McCarty, uno dei romanzi post-apocalittici per eccellenza da cui, tra le varie cose, ha tratto ispirazione anche Robert Kirkman per The Walking Dead.

Non è un caso, quindi, che le opere citate presentino diversi punti di contatto, ma questa non è una novità.

Sotto l’aspetto narrativo, The Last of Us: Parte I non aggiunge assolutamente niente rispetto a quanto visto su PS3 nel 2013, o su PS4 nel 2014.
Non ci sono nuove storie, nuovi personaggi, nuove ambientazioni e, ovviamente, non ci sono risposte ai diversi quesiti inevasi della versione originale del titolo.

Siamo davanti al più classico ed integralista dei remake, e allora perché ci siamo presi la briga di rispiegarne la trama? Sia per venire incontro a chi non avesse mai vissuto il viaggio della “strana coppia”, sia perché questa nuova veste grafica dona ancora più enfasi allo story telling.

Come di consueto, ci soffermeremo in seguito sul lato tecnico di TLOU, ma provate ad immaginare i momenti più emozionanti del gioco con un Joel ed una Ellie ancora più espressivi di quanto già non fossero, con una colonna sonora che può contare su musiche e parti nuove e con un doppiaggio forte di voice over aggiuntivi.

Di solito, chi vi scrive tende a trattare narrazione e tecnica in sedi separate, ma in questo caso non è possibile, in quanto la seconda è quasi al servizio della prima, rendendo chiaro uno dei motivi dietro questo remake: riuscire a rendere il viaggio dei nostri eroi ancora più emozionante e penetrante.

Come si migliora un capolavoro?

Tra le novità apportate, ci sono le animazioni dei banchi di lavoro.

Ricostruendolo da zero! O almeno questo è ciò che ha fatto Naughty Dog.

Realizzare un remake di uno dei capolavori indiscussi dell’ars videoludica è sempre un’impresa improba perché, da un lato, la voglia di strafare rischierebbe di compromettere il feeling originale dell’opera, mentre dal lato opposto, per non scontentare una fanbase tanto vasta quanto esigente, il risultato finale potrebbe consistere in un pigro sfoggio di tecnica, tanto bello quanto inutile.

Ebbene, come già accennato poche righe fa, The Last of Us: Parte I è molto più di una semplice “opera di ristrutturazione”. La base di partenza è costituita dalle fondamenta del titolo PS3, ma tanto i modelli poligonali, quanto le animazioni, le interfacce, le texture, gli effetti particellari, l’illuminazione ed i suoni sono stati ottenuti praticamente ex novo.

Come si traduce quanto finora descritto? In dei personaggi molto più realistici ed espressivi, in delle ambientazioni ancora più claustrofobiche (nelle sezioni al chiuso) e luminose (in quelle all’aperto), in una vegetazione più presente e convincente, ed in degli infetti ancora più inquietantanti.

Se delle animazioni facciali migliorate abbiamo già accennato in precedenza, una delle novità grafiche introdotte in questa Parte I riguarda i banchi di lavoro, dove gli upgrade apportati ad ogni singola arma hanno ricevuto delle animazioni dedicate, proprio come avviene in The Last of Us: Parte II (se non lo avete ancora fatto, cliccate qui per leggere la nostra recensione).

Il risultato finale è un’esperienza di gioco ancora più immersiva e totalizzante di quanto fosse possibile ipotizzare.

I rimandi ed i collegamenti al sequel del gioco sono diversi, ed in molti si chiedevano se si sarebbero spinti anche al gameplay, che è proprio il punto successivo della nostra analisi.

Gameplay tra vecchio e nuovo

Un gameplay molto più fluido rispetto a quello dell’opera originale.

Tutti ricordiamo il salto tra i due capitoli di The Last of Us, in termini sia tecnici che ludici; se sotto il primo frangente i due titoli si sono avvicinati moltissimo, era lecito chiedersi fino a che punto il gameplay della Parte II avrebbe influenzato quello della Parte I.

Ebbene, forse proprio questo aspetto è stato quello su cui Naughty Dog ha inciso meno.

Spieghiamoci per bene: le migliorie tecniche di cui prima hanno senza alcun dubbio inciso sulle sensazioni “pad alla mano”, riuscendo a donare maggiore enfasi a tutta una serie di momenti che, nelle precedenti incarnazioni del titolo, non raggiungevano questi picchi di coinvolgimento. Inoltre, l’hardware di Playstation 5 riesce a garantire un gameplay fluido, senza dover sacrificare assolutamente niente sull’altare delle prestazioni complessive.

Questo senza considerare le innovazioni del DualSense, capace di garantire un più vasto campionario di vibrazioni, ma che forse poteva essere sfruttato in maniera più approfondita. La modalità Speedrun, che si mette in pausa ad ogni cutscene e ci consente di confrontare i nostri tempi con quelli dei nostri amici in rete, ci fa capire quanto il team di sviluppo non si sia limitato al compitino.

Tuttavia, chi si attendeva quel dinamismo in più che la Parte II garantiva è destinato a rimanere deluso. Questa Parte I ci restituisce, in buona sostanza, il gameplay dell’opera originale, con i suoi pregi ed i suoi difetti; il che, tutto sommato, potrebbe anche essere un bene.

Se è vero che i movimenti di Joel, soprattutto nelle fasi stealth, risultano ancora piuttosto lenti, impacciati e limitati dall’ambiente circostante, è altrettanto vero che un cambiamento in tal senso avrebbe cozzato non poco con il level design del videogame, decisamente più essenziale rispetto a quanto visto nella Parte II.

L’intelligenza artificiale, una delle lacune del primo The Last of Us, non è stata praticamente toccata, facendoci ritrovare su PS5 dei nemici bellissimi da vedere ma sempre piuttosto semplici da battere e, soprattutto, da aggirare (anche giocando ai livelli di difficoltà più elevati).

Aggiungete a quanto ora detto un sistema di collisioni che è rimasto identico a quanto visto nella versione PS3 ed avrete ottenuto i difetti principali di questo remake, insieme all’assenza (non si sa se momentanea o meno) del multiplayer online.

Ma arriviamo alla domanda principale, quella da un milione di dollari.

Qual è il senso di esistere di The Last of Us: Parte I?

A chi si rivolge questo remake?

Un quesito di questo genere è aperto a due generi di risposte: uno squisitamente commerciale ed un altro prettamente ludico.

Sotto il primo aspetto, non ci poteva essere remake più comprensibile e “telefonato” di questo. Piaccia o non piaccia, The Last of Us è una delle esclusive Sony di maggior peso, che si avvicina a grandissimi passi al piccolo schermo attraverso la serie tv targata HBO (potete trovare maggiori informazioni cliccando qui). Questa Parte I batte la strada della crossmedialità, cercando, da una parte, di preparare il pubblico a ciò che vedrà con attori in carne ed ossa e, dall’altra, di poter sfruttare nuovamente uno dei franchise di maggior successo della scuderia. Da un punto di vista commerciale, non poteva esserci operazione più sensata di questa.

Ma passiamo al versante videoludico. Se pensiamo al primo The Last of Us come ad un titolo recente, faremmo bene a consultare Wikipedia: ci accorgeremmo che la release originale è avvenuta nel lontano 2013, quasi nove anni fa rispetto al suo remake. Il partito della “sovraesposizione mediatica” del titolo Naughty Dog prende anche in considerazione il remaster su PS4, forse dimenticandosi che anche da quello sono passati circa otto anni. Probabilmente, se volessimo parlare di ridondanza, la versione su Playstation 4 era decisamente meno necessaria rispetto al remake di cui vi parliamo. La condizione del “tempo trascorso”, necessaria a giustificare un lavoro di questo genere è, quindi, rispettata.

Ma a chi si rivolge The Last of Us: Parte I?

Se gli utenti dell’ultima ora sono sicuramente i destinatari naturali di questo rifacimento, anche chi ha già giocato l’opera originale potrà trovare le sue ragioni per rivivere l’avventura. Sulla base di quanto abbiamo già avuto modo di sottolineare, questo remake offre un’esperienza di gioco molto diversa da quella del titolo originale, ponendo ancora di più l’accento sul coinvolgimento del giocatore, vera pietra angolare del developer americano.

Anche chi ha già giocato The Last of Us su PS3 (o su PS4), quindi, potrà godersi questa nuova versione dell’avventura ad alte prestazioni, sia per prepararsi all’imminente serie tv, sia per trovare tutti i collegamenti tra Parte I e Parte II, che per assaporare nuovamente le emozioni del viaggio di Joel ed Ellie, rese ancora più impattanti dal salto tecnico compiuto da Naughty Dog.

Giudizio finale

Esprimere un parere sul ritorno della prima avventura di Joel ed Ellie non può non tenere conto dell’illustre passato del franchise, nonché del suo futuro. Da una parte, infatti, Naughty Dog non solo riesce a non snaturare il feeling dell’opera originale ma, grazie ai nuovi standard tecnici raggiunti, lo porta ad un livello tale da far ricredere anche i più scettici; dall’altra, The Last of Us: Parte I prepara il terreno per lo show televisivo targato HBO, e rinverdisce la fama (ed i profitti) di uno dei franchise più floridi della scuderia Sony.

Il remake realizzato è quanto di più fedele si possa immaginare, e forse questa eccessiva fedeltà ha portato il team di sviluppo a non voler toccare alcune delle lacune presenti anche nella versione originale del gioco: intelligenza artificiale e collisioni su tutte.

Tuttavia, quanto ora sottolineato non inficia per niente il lavoro del dev americano, che riesce ad affascinare tanto i giocatori più recenti quanto quelli della primissima ora, grazie a delle atmosfere ancora più cariche e ad un’opera di motion capture capace di dare ulteriore profondità alle animazioni facciali di tutti gli attori in scena.

Se non avete mai toccato The Last of Us, questo remake rappresenta l’occasione ideale per recuperare una pietra miliare del medium; se avete già completato l’avventura dei nostri eroi su PS3 (o su PS4), The Last of Us: Parte I potrebbe essere una valida scusa per viverla nuovamente. D’altra parte, grafica e gameplay possono invecchiare più o meno bene, ma le emozioni no: le emozioni sono sempre destinate a rinnovarsi.

This post was published on 31 Agosto 2022 17:00

Claudio Albero

Nasce a Torre del Greco, una piccola metropoli alle falde del Vesuvio, nei favolosi anni ’80, che già però non avevano più niente di favoloso. Provano ad educarlo con Beatles e musica classica sin dalla più tenera età, ma lui, di tutta risposta, si appassiona all’ heavy metal ed ai videogame , spendendo un piccolo patrimonio in sala giochi, quando queste due parole erano ancora slegate dalle slot machine. Dopo aver mosso i primi passi su Sega Master System II con Alex Kidd, il Super Mario con le orecchie a sventola, si innamora dei platform, degli action/adventure e degli RPG, con particolare attenzione alla saga di Final Fantasy. Inguaribile sognatore con le radici saldamente ancorate nel passato, scopre la sua passione per la scrittura quasi per caso, in uno dei tanti pomeriggi passati tra i corridoi della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, dove si laureerà giusto qualche anno dopo, con una tesi in Diritto d’Autore basata sull’opera multimediale. Dopo aver scritto di attualità e musica su Lacooltura.it , Road TV Italia e Federico TV , approda sui lidi di Player.it , in cui comincia sin da subito ad apprendere e fare domande, guadagnandosi rapidamente il titolo di “ redattore rompiscatole del mese ”. Nonostante sia legatissimo alla grande famiglia di Player, non sono rare alcune sue incursioni su portali come Gameplay Café e Spazio Rock . Musica, videogame, concerti, boardgame, modellismo, fumetti, cinema e serie tv: tanti hobby diversi tra loro, ma collegati da un fil rouge che li unisce tutti: il divertimento . È proprio questo che cerca in un videogame, è proprio questo sentimento che muove le sue dita, ed è sempre il divertimento la sensazione che cerca di infondere nei suoi articoli. Al di fuori del mondo del gaming, indossa giacca e cravatta per mimetizzarsi nel mondo degli avvocati, esercitando la professione forense, con lo scopo di conoscere a fondo le “ regole del gioco ”, nonché di minacciare di far causa a chiunque al minimo pretesto.

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