Avevo 18 anni, ero a Milano per un concerto assieme a due amici. Era la mia prima esperienza da solo fuori casa, un’esperienza che non dimenticherò mai perché successe di tutto, tra cui il mio primo contatto assoluto con la setta di Scientology. Da quel fortuito e paradossale incontro, di cui scrissi la mia avventura a riguardo in questo articolo su Medium, ne sono seguiti tanti altri, volontari.
No, non è che sia diventato un adepto di Scientology, semplicemente ogni volta che torno a Milano la sede di questa setta è ormai tappa fissa per me e amici, un luogo dove andiamo a farci due risate sulle assurdità e sui metodi bizzarri con cui cercano di arruolarci ogni maledetta volta.
Insomma, sono un troll di Scientology: ho una sorta di curiosità morbosa sui meccanismi che portano le persone a credere davvero a certe scemenze, fino a perderci soldi e, talvolta, anche la salute.
Cult of the Lamb racconta proprio queste dinamiche assurde col mio spirito troll, in maniera giocosa e divertente con tanti animaletti teneri e sorridenti. Devolver Digital, editore che ormai si è preso carico di una missione importante, quella di portare nel mercato mainstream prodotti fuori dagli schemi, ha fatto centro per l’ennesima volta scegliendo di supportare il nuovo gioco degli sviluppatori di Massive Monster. Senza mezzi termini, Cult of the Lamb, al netto di qualche imperfezione tecnica, è un must buy assoluto, e vi spieghiamo in questa recensione il perché.
Nella religione cristiana e, più in generale, in tutto il filone giudaico (ebraismo e islamismo inclusi, dunque), la figura di Gesù viene chiamata dal suo apostolo Giovanni col termine Agnus Dei, ossia “Agnello di Dio“.
Equiparare un profeta, se non il più importante tra i profeti per i cristiani, a un animale come l’agnello ha una forte connessione col ruolo che Gesù deve assolvere per i suoi fedeli: la vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell’umanità.
Un capro espiratorio.
Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, abbi pietà di noi. Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, dona a noi la pace.
Vangelo secondo Giovanni, 29.36
Non è un caso che in Cult of the Lamb, il nostro avatar a capo di una setta religiosa sia proprio un agnello, animale simbolo dei riti sacrificali. Lo stesso titolo del gioco si traduce in “Culto dell’Agnello“. Il termine “capro espiatorio” viene fatto risalire alla kippur ebraica, un giorno sacro che prevedeva il rito del sacrificio di un capro da parte del sommo sacerdote, per espiare i peccati del popolo mandato via dal deserto. Tuttavia, questa è una ricorrenza comune in molte religioni e culti, anche precedenti all’ebraismo: tracce di sacrifici di ovini sono riconducibili persino a riti Babilonesi, Assiri e Greci.
Insomma, quel che stiamo tentando di dire è che in Cult of the Lamb nemmeno il titolo del gioco, nemmeno i primi 10 minuti, niente sembra frutto di scelte casuali. Ogni frammento di gioco è un pretesto per deridere ed esorcizzare pratiche religiose e vere e proprie sette, o perfino comportamenti che non sono propriamente riconducibili a sette ma che in realtà hanno tutte le caratteristiche di culti pieni di stigmi, intolleranze e credenze, come accade ad alcune frange più radicali ed estremiste di collettivi vegani, di organizzazioni politiche o di venditori di bibite proteiche, tanto per fare un paio di esempi.
Cult of the Lamb ci fa vivere questa parodia ludica dei culti attraverso l’Agnello, the Lamb, una creatura che viene sacrificata in un rito ma che, nel suo passaggio a miglior vita, entra in contatto con Colui Che Aspetta, un’indecifrabile entità antica e lovecraftiana che ci affida un unico compito in cambio di poteri come l’immortalità: liberarlo dalle catene attraverso la fondazione di un culto e l’uccisione dei suoi carcerieri, i Cardinali (Bishops). Inizia così la nostra carriera da sacerdote, in un gioco misto tra life sim e hack & slash roguelite dove le crociate nei dungeon vanno a braccetto con l’amicizia la sottomissione di nuovi animaletti pelosetti proseliti.
Cult of the Lamb è un gioco atipico che mescola in maniera efficiente meccaniche action e gestionali, risultando in un divertente ma semplificato miscuglio tra Animal Crossing, Hades e Black & White. Del suo gameplay, tuttavia, parleremo più avanti… al momento questa informazione ci serve solo per inquadrare il titolo nella sua dimensione di gioco.
In Cult of the Lamb si effettuano omicidi e sacrifici, ci sono vomito, sangue e feci ovunque, bestie violente e mostri di altre dimensioni, si attuano schiavismo e coercizione, riti poligami e baccanali, si assumono droghe e si puniscono i seguaci non obbedienti, si strappano cuori agli eretici e si riportano in vita i morti, ma tutto è portato avanti da allegri e coloratissimi personaggi del bosco che sembrano usciti da una puntata di Peppa Pig.
È impossibile non notare questa continua opposizione tra occulto e allegro, un leitmotiv che assume la funzione di catalizzatore di senso dell’intero videogioco. Mentre il giocatore si abbandona alle peggiori nefandezze, gli animaletti saltellano e ridono, ben contenti di coltivare funghi allucinogeni, o di donare tutti i loro risparmi al vostro avatar.
Tale contrasto, che per inciso è esilarante, non assolve solo una funzione di intrattenimento, ma fa riflettere il giocatore proprio su come queste dinamiche siano presenti anche nella realtà di tutti i giorni, sebbene in maniera meno estremizzata.
Cercando di non offendere nessun credente, cerchiamo di fare un esempio comprensibile da tutti perché riguarda qualcosa che possiamo osservare da molto vicino: il Cristianesimo. Il culto dopo secoli di evoluzione e di consolidamento, è generalmente considerato una religione che predica l’amore, la gioia e il perdono; eppure, ridotto all’osso, tale culto prevede l’adorazione di un uomo moribondo nato da un rapporto semi-incestuoso, inchiodato a uno strumento di tortura.
Risulta ugualmente disturbante e divertente notare come ogni animaletto, così carino nel suo aspetto, potrebbe possedere tratti caratteriali come la coprofilia o il cannibalismo, pratiche che sono state davvero ravvisate in alcune sette estreme nella realtà, e che stesso in Cult of the Lamb possono essere istituzionalizzate tramite le meccaniche gestionali del proprio culto.
Tale opposizione tra cattivo gusto e allegria la si può notare anche dal lato artistico. Lo stesso stile di disegno degli asset di gioco, un carinissimo 2D scarabocchiato e semplice arricchito da colori vivaci, entra in attrito con la mole di effetti di post-produzione disturbanti, e con la preponderanza di rosso e di nero in determinati contesti.
Ne risulta un art style originale, dotato di profondità tridimensionale e abbellito anche da una vasta varietà di animazioni dedicate nonostante lo stile semplice. Perfino gli occhi degli animaletti, per fare un esempio, sembrano avere degli asset dedicati e separati, dato che cambiano a seconda di cosa succede in gioco: l’intera setta sta avendo un’allucinazione collettiva? Ci sono occhi per questo; qualche seguace è in disaccordo con i dogmi del nostro culto? Ci sono occhi appositi anche per questo.
Altra menzione autorevole va fatto al comparto sonoro, caratterizzato da musiche allegre da animaletti amici del bosco che entrano in contrasto sia con le azioni sanguinolente che si vedono in gioco, sia con alcuni effetti sonori disturbanti che si hanno, per esempio, quando i boss di turno cercano di ostacolarci durante l’esplorazione dei loro territori.
Nonostante la piacevole mescolanza tra elementi gestionali, progressione roguelite e combattimenti action, Cult of the Lamb nelle prime ore di gioco si presenta chiaramente come un surrogato semplificato ma divertente di Animal Crossing, migliorato però da scorribande e lotte nei dungeon su uno stile roguelite molto simile a Hades o The Binding of Isaac: un hack & slash bello rapido in stanze procedurali, con un equipaggiamento migliorabile sia durante l’avanzata negli ambienti, sia grazie alla gestione del proprio culto, che funge da nostra base di partenza.
Attenti a giudicare Cult of the Lamb come un roguelite con elementi gestionali, perché così tenderete a sopravvalutare i dungeon e il combat system e, contemporaneamente, a sottovalutare la centralità della gestione della propria setta. Qui indottrineremo i seguaci che avremo raccattato in giro, scopriremo le loro peculiarità e potremo assegnargli dei compiti come per esempio la coltivazione, la preghiera o la raccolta di materiali.
Tali compiti non saranno immediatamente assegnabili, ma anzi saremo stesso noi a eseguirli in prima persona per soddisfare i bisogni degli abitanti come la pulizia e la fame, e per poter accumulare risorse, monete e punteggi in grado di sbloccare a catena edifici, equipaggiamenti, comandamenti, sermoni e rituali.
Edifici e comandamenti servono principalmente alla gestione e all’ampliamento della propria setta, dato che tenderanno a implementare meccaniche e funzioni che faranno automatizzare certi compiti come la coltivazione o la pulizia, mentre i sermoni e rituali, eseguibili in un edificio che funge da nostra chiesa, sono boost alle statistiche o ad alcune dinamiche, come per esempio la possibilità di trovare più pesci nei minigiochi di pesca, o la possibilità di aumentare la fede dei propri proseliti sacrificandone uno molto fedele.
I fedeli crescono, invecchiano e muoiono, hanno propri pensieri e opinioni, hanno proprie credenze e gusti, e possono essere usati dal giocatore in maniere sempre più particolari: si possono punire se hanno opinioni divergenti ed eretiche rispetto al nostro culto, possono essere mandati in missione, gli si possono offrire regali per farli aumentare di livello, e tale livello può essere utile quando il seguace viene trasformato in un demone che accompagna il nostro agnellino in giro per i dungeon.
L’esplorazione dei dungeon è divisa in quattro ambientazioni principali, ognuna legata a un determinato Vescovo, e ognuna caratterizzata da proprie risorse speciali e mostri tematici. Ogni area, divisa in stanze procedurali come ogni buon roguelite insegna, è inizialmente vessata da una progressione molto semplicistica e banale, ma andando avanti nel gioco questo aspetto si amplia di bivi, scelte e difficoltà.
Ci sono boss che abbiamo trovato davvero ostici da battere, per via di pattern di attacco che richiedono build di equipaggiamenti e poteri molto specifiche. Tali build si assemblano in parte nella propria setta con le meccaniche già spiegate qualche paragrafo precedente, e per il resto lungo l’esplorazione di ogni area, trovando armi e maledizioni, o collezionando tarocchi che sbloccano poteri temporanei che durano lungo tutta la nostra esplorazione fino al suo completamento. Al nostro ritorno avremo nuove risorse, e presumibilmente anche nuovi seguaci, da investire nella gestione del nostro culto.
Con l’avanzare della trama e della nostra setta, la pendenza del gioco verso il base building e life sim va sempre più scemando in favore di una più profonda esplorazione dei dungeon, con tanto di backtracking perché anche le precedenti aree esplorate andranno ad espandersi e ad ospitare nemici sempre più forti.
Attenzione però, perché lo sblocco di elementi di gioco, di edifici per la setta e di abilità del nostro avatar, non sembra ben bilanciato con l’avanzamento dei progressi di gioco, e ci si potrebbe trovare facilmente in situazioni di stallo dove un paio di alberi di abilità sono completi ma non si riesce a proseguire oltre perché un boss sembra imbattibile. Alcuni elementi sbloccabili inoltre sembrano anche fin troppo potenti, come la veste dorata che permette di accumulare enormi percentuali di danno extra se si uccidono nemici senza essere colpiti.
A questa problematica di bilanciamento va aggiunta inoltre una lieve interferenza a base di bug, almeno su PC, che potrebbero minare la resa del gameplay.
Più di una volta mi è successo che il framerate mi calasse drasticamente senza motivo, salvo poi scoprire che c’era qualche abitante eretico che, invece di scomparire per divergenze col mio culto, resta intrappolato per sempre al centro della mia setta, senza possibilità di interazione.
Il riavvio, entrambe le volte in cui è successo, è stata l’unica scelta possibile.
Gli aggiornamenti degli sviluppatori in questi giorni tuttavia sono stati costanti, e supponiamo che presto o tardi anche questi problemi verranno fixati, così come verrà migliorato il bilanciamento di gioco, magari anche con l’inserimento di nuovi elementi.
Un’integrazione divertente è quella di Twitch, usufruibile in maniera diversa da spettatori e streamer. Questi ultimi, attraverso l’installazione del plugin dedicato sulla piattaforma di Amazon e il suo collegamento al videogioco, possono farsi influenzare dalle scelte degli spettatori che appariranno sui loro schermi. Questi possono aumentare i punti Devozione del culto, che possono essere usati per sbloccare nuovi edifici, oppure possono diventare parte integrante del culto trasferendo i loro avatar personalizzati all’interno del gioco!
Nel complesso, pur con i suoi limiti tecnici e di giocabilità, Cult of the Lamb riesce a essere un videogioco piacevole, divertente e con un carattere fortemente unico.
Riesce ad unire più generi in un’esperienza originale e fuori dagli schemi che consigliamo a tutti di provare, nella speranza che il gioco venga seguito con futuri aggiornamenti e DLC che possano ampliare ancora di più le possibilità di personalizzazione e di esplorazione.
Attraverso meccaniche e componenti di gioco, il titolo targato Devolver Digital assolve i nostri peccati, esercitando in prima persona il ruolo di parafulmine del nostro scherno per riti e culti. Cult of the Lamb è il nostro Capro Espiatorio, un videogioco che sacrifica molto sagacemente la sua anima ludica per lapidare a volte in maniera velata, a volte in maniera plateale, le contraddizioni e le assurdità di credi, religioni e sette. Artisticamente ineccepibile e fuori dagli schemi, tecnicamente semplice ma mai banale, Devolver Digital e Massime Monster hanno confezionato un prodotto davvero raro per dimensione ludica e dimensione autoriale. Compratelo a occhi chiusi, fate di Cult of the Lamb il vostro nuovo credo. Anche se non sarà il vostro stile di gioco ideale, vi lascerà impressa un’esperienza che si vede di rado nei videogiochi.
This post was published on 18 Agosto 2022 18:00
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