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Bright Memory: Infinite | Recensione (Xbox Series X) | La determinazione di uno sviluppatore

Quanto grandi possono essere le imprese realizzate da un solo uomo? Quanto lontano può arrivare il lavoro compiuto da due braccia, due gambe ed una sola testa? Di solito siamo abituati a considerare i videogame come il risultato degli sforzi combinati di più persone e, di solito, quando sentiamo parlare di titoli realizzati da team ridotti, tendiamo inconsapevolmente a categorizzarli alla voce “progetti piccoli”, “videogiochi minori”, e via discorrendo. Certo, ci sono state anche illustri eccezioni a questo ragionamento ma, sulla base di quanto ora detto, viene da chiedersi come possa essere stata accolta la release di Bright Memory: Infinite.

Forse qualcuno ricorderà che, sempre su queste pagine, abbiamo recensito il primo capitolo del progetto FYQD Studio, intitolato semplicemente “Bright Memory” (potete trovare qui il nostro articolo). Le impressioni che ne avevamo ricavato erano piuttosto miste: il titolo, per essere stato realizzato da una sola persona, era decisamente valido, sia dal punto di vista tecnico che da quello squisitamente ludico, ma presentava dei limiti che sono propri di molti progetti indipendenti.

Nonostante tutto, però, quel piccolo assaggio ci aveva incuriositi, facendoci chiedere che cosa sarebbe stato Bright Memory: Infinite nella sua forma definitiva. Il titolo è già uscito per PC e si prepara a sbarcare anche su Playstation e Nintendo Switch (in versione Gold Edition) e su Xbox Series X | S (in versione Platinum Edition)

I più attenti non potranno scordare che il videogame realizzato da Zeng Xiancheng era stato, suo malgrado, una delle pochissime esclusive disponibili al lancio della nuova console Microsoft, tentando di sfruttarne al massimo la “forza bruta”, riuscendoci solo in parte. Sarà forse anche per questo motivo che abbiamo deciso di constatare quanti e quali passi avanti siano stati realizzati su Series X, tuffandoci a capofitto in un’avventura tanto breve quanto intensa.

Quando la trama è un solo un pretesto

Il dettaglio grafico del gioco, in alcune occasioni, lascia senza fiato.

Chi ha avuto modo di giocare anche il precedente Bright Memory, si sarà immediatamente reso conto di quanto la narrazione fosse un contorno decisamente poco rilevante, piazzata lì quasi solo per assegnare un nome ed un ruolo a tutti gli attori in scena. A distanza di quasi due anni, possiamo dire che la situazione attuale non si discosta molto da quanto appena descritto.

Ci troviamo nel 2036 e la tranquillità della nostra Sheila viene improvvisamente turbata da una telefonata che ci avverte che, nel bel mezzo dei festeggiamenti per l’anno nuovo, si è aperto un buco nero che sta iniziando a risucchiare praticamente ogni cosa che vi si avvicini. In qualità di membri del SSRO (Supernatural Science Research Organization), il nostro scopo sarà quello di recarci sul posto e di comprendere che cosa sia effettivamente accaduto; va da sé che, qualora trovassimo nemici o entità ostili di varia natura, avremo licenza di uccidere.

Ovviamente, come in ogni shooter che si rispetti, i nemici non si faranno di certo attendere: dai soldati del Generale Lin (vero antagonista del gioco) ad altri di cui non vi sveleremo nulla, se non che non sembrano appartenere alla nostra dimensione.

Nell’arco di poco più di due ore, Bright Memory ci mostra già i suoi titoli di coda, lasciando, ancora una volta, la trama come semplice elemento scenico; tuttavia, nonostante un setting tanto affascinante quanto appena accennato, nonostante dei personaggi che ci accompagneranno per tutta l’avventura ma di cui non vedremo mai il volto, la narrazione riesce ad essere quel pretesto che ci spinge a raggiungere i vari obiettivi di gioco.

Come avrete facilmente desunto, tutto, ma proprio tutto, è al servizio del gameplay.

Un gameplay tra… fucili e spade!

In alcuni combattimenti, dovrete utilizzare un approccio misto.

L’anteprima di Bright Memory ci aveva fatto immediatamente comprendere quale fosse la formula su cui si reggeva l’esperienza di gioco, basata sullo shooting più frenetico e sui fendenti della nostra lama ottica. Nel primo caso, avremo a disposizione circa quattro armi da fuoco (i classici fucile d’assalto, shotgun, pistola e fucile di precisione), ognuna delle quali darà il meglio di sé contro determinate tipologie di nemici; nel secondo, invece, potremo fare a fette i nemici a colpi di spada, potendo anche avvalerci delle tecnologia a disposizione della nostra eroina (migliorabile attraverso un sistema di progressione basato sulla raccolta di determinati oggetti collezionabili).

Il gioco può essere tranquillamente completato tanto con un approccio da FPS quanto con uno da hack’n slash, ma ovviamente il divertimento maggiore consiste nel combinare i due aspetti e godersi lo spettacolo. Provate ad immaginare di afferrare un nemico lontano sfruttando il vostro campo magnetico e di lasciarlo fluttuare a mezz’aria per qualche secondo, decidendo se è meglio finirlo con le armi da fuoco, con la spada, oppure se semplicemente scaraventarlo nel vuoto. La scelta è tutta nelle vostre mani (o nel vostro pad).

Non mancheranno degli NPC ostili che, per essere abbattuti senza un eccessivo dispendio di proiettili, richiederanno un “approccio misto”, ma è proprio questo uno dei principali punti di forza del gioco edito da Playism.

Rispetto a quanto visto nel primo capitolo dell’avventura di Sheila, è possibile riscontrare diverse modifiche, tanti ai menu quanto al gameplay. Analizzando il secondo fattore, è da riscontrare l’eliminazione tanto degli enigmi ambientali quanto delle fasi platform (che probabilmente stonavano con quanto il gioco aveva da offrire), e l’introduzione di meccaniche stealth e della possibilità di guidare un veicolo. Tuttavia, si tratta di aggiunte piuttosto ininfluenti.

Le fasi stealth sono pressoché limitate ad una singola area, e sono sviluppate in maniera decisamente elementare, e anche salire a bordo della nostra automobile corazzata ci è sembrato più un riempitivo che non altro. Insomma, come avrete facilmente inteso, Bright Memory: Infinite da il meglio di sé quando ci chiede di imbracciare le armi.

In ogni caso, come anticipato, il gioco è completabile tanto ricorrendo alle sole bocche da fuoco, quanto percorrendo la “via del samurai”, dandovi la possibilità di prediligere il gameplay che più vi aggrada e sopperendo, in questo modo, ad una longevità davvero risicata.

Grafica, grafica e ancora grafica

La nostra protagonista potrà contare su tutta una serie di abilità e potenziamenti da sbloccare.

Chi ha memoria dei primi trailer di gioco, ricorderà perfettamente quanta attenzione fosse riposta nel mettere in risalto le qualità estetiche di Bright Memory: Infinite. In occasione della recensione del primo capitolo dell’opera di FYQD Studio, riscontrammo anche dei problemi sul versante tecnico che, ci auguravamo, sarebbero stati risolti nella versione definitiva del gioco.

Così come dicemmo due anni fa, anche oggi è possibile definire “sorprendente” il lavoro compiuto da Zeng Xiancheng. Nonostante alcuni modelli poligonali non facciano gridare al miracolo, e nonostante alcuni effetti particellari sembrino decisamente datati, è realmente difficile convincersi del fatto che Bright Memory: Infinite sia il lavoro di una singola persona.

La ragione di quanto ora affermato risiede tanto nella definizione delle texture tanto nella cura per la realizzazione dei fondali, che non hanno praticamente nulla da invidiare a quelli delle produzioni tripla A.

Come sottolineato, alcuni aspetti estetici del gioco non brillano (come la realizzazione degli specchi d’acqua e le animazioni facciali di Sheila, decisamente piatte e poco espressive), ma sarebbe un delitto demolire, su queste basi, un progetto che non gode di budget da capogiro.

Su Xbox Series X, Bright Memory: Infinite si presenta in 4K e 60 fps che, a differenza di quanto riscontrato nella precedente versione del gioco, sono pressoché granitici. È possibile tanto attivare il Ray tracing, per un ulteriore passo in avanti sul versante estetico, quanto sbloccare un frame rate di 120 fps, capace di rendere ancora più fluidi ed adrenalinici gli scontri a fuoco.

Anche l’intelligenza artificiale non sfigura affatto, soprattutto quando compariranno i primi nemici corazzati, che ci spingeranno ad utilizzare un approccio più ragionato e, soprattutto, che ci obbligheranno a rimanere sempre in movimento, onde evitare di finire circondati e colpiti da praticamente ogni lato.

Al di fuori delle difficoltà più elevate, Bright Memory: Infinite riesce a restituire un livello di sfida giusto, capace di farci apprezzare un’esperienza breve, ma che trasuda della passione del suo creatore.

Giudizio finale

Bright Memory: Infinite riesce a colmare gran parte delle lacune che avevamo riscontrato nella release di quel piccolo antipasto pubblicato quasi due anni fa. Nonostante una durata di appena due ore o poco più, nonostante una componente estetica notevole ma non sempre impeccabile, l’opera di FYQD Studio riesce ad intrattenere dall’inizio alla fine; tutto questo è merito di un gameplay ben riuscito, che riesce a coniugare tanto lo shooting quanto il combattimento all’arma bianca e le abilità su cui la nostra Sheila può fare affidamento. Al netto di una trama che è mero contorno all’azione e che ha il solo scopo di guidare i nostri passi dal classico “Punto A” all’altrettanto classico “Punto B”, non si riesce a rimanere indifferenti di fronte al progetto di Zeng Xiancheng, chiedendosi che cosa avrebbe potuto realizzare con un budget più consistente e, di conseguenza, con un team a sua disposizione. Tuttavia, chi vi scrive ha la sensazione che questa non sarà l’ultima volta che sentiremo parlare di questo creativo.

Il gioco è consigliato a chiunque ami gli shooter con una personalità sopra le righe, anche a patto di chiudere un occhio sugli inevitabili limiti di ogni “one man project”.

This post was published on 4 Agosto 2022 21:00

Claudio Albero

Nasce a Torre del Greco, una piccola metropoli alle falde del Vesuvio, nei favolosi anni ’80, che già però non avevano più niente di favoloso. Provano ad educarlo con Beatles e musica classica sin dalla più tenera età, ma lui, di tutta risposta, si appassiona all’ heavy metal ed ai videogame , spendendo un piccolo patrimonio in sala giochi, quando queste due parole erano ancora slegate dalle slot machine. Dopo aver mosso i primi passi su Sega Master System II con Alex Kidd, il Super Mario con le orecchie a sventola, si innamora dei platform, degli action/adventure e degli RPG, con particolare attenzione alla saga di Final Fantasy. Inguaribile sognatore con le radici saldamente ancorate nel passato, scopre la sua passione per la scrittura quasi per caso, in uno dei tanti pomeriggi passati tra i corridoi della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, dove si laureerà giusto qualche anno dopo, con una tesi in Diritto d’Autore basata sull’opera multimediale. Dopo aver scritto di attualità e musica su Lacooltura.it , Road TV Italia e Federico TV , approda sui lidi di Player.it , in cui comincia sin da subito ad apprendere e fare domande, guadagnandosi rapidamente il titolo di “ redattore rompiscatole del mese ”. Nonostante sia legatissimo alla grande famiglia di Player, non sono rare alcune sue incursioni su portali come Gameplay Café e Spazio Rock . Musica, videogame, concerti, boardgame, modellismo, fumetti, cinema e serie tv: tanti hobby diversi tra loro, ma collegati da un fil rouge che li unisce tutti: il divertimento . È proprio questo che cerca in un videogame, è proprio questo sentimento che muove le sue dita, ed è sempre il divertimento la sensazione che cerca di infondere nei suoi articoli. Al di fuori del mondo del gaming, indossa giacca e cravatta per mimetizzarsi nel mondo degli avvocati, esercitando la professione forense, con lo scopo di conoscere a fondo le “ regole del gioco ”, nonché di minacciare di far causa a chiunque al minimo pretesto.

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