Gli anni ’90 sono stati forse l’epoca d’oro dei platform, ed i possessori della prima, indimenticata Playstation se lo ricordano benissimo. La prima e la seconda metà di quel decennio hanno visto la nascita di molte IP diventate celebri e che, per un motivo o per un altro, stanno man mano tornando sulle nostre piattaforme di gioco. Tra i tanti “nomi celebri” di quei tempi, quello di Klonoa occupa un posto particolare nella mente di chi, nel 1998, lo scopriva quasi per caso.
Il personaggio creato da Namco, nonostante un ottimo esordio su PSX, non riuscì mai ad ottenere il successo di tanti suoi illustri colleghi e, dopo una serie di spin off su console portatili ed una seconda avventura su PS2, del franchise si persero le tracce; tutto questo fino a che, un po’ a sorpresa, l’accoppiata Bandai Namco ha deciso di pubblicare Klonoa Phantasy Reverie Series, un cofanetto con le versioni rimasterizzate di Door To Phantomile e Lunatea’s Veil.
I due titoli vantano una notevole età e, proprio per questa ragione, hanno ricevuto quel “lifting digitale” riservato a tutte le icone loro contemporanee, composto da dosi abbondanti di texture in 4K e di tutte quelle feature capaci di attirare tanto il fan della prima ora quanto una nuova leva del gaming.
Sappiamo benissimo quali siano i rischi di operazioni commerciali di questo genere, che partono col cavalcare la “nostalgia canaglia” e finiscono col trasformarsi in buchi nell’acqua tanto clamorosi quanto, in parte, prevedibili.
Queste premesse costituiscono i celeberrimi “piedi di piombo” con cui ci accingiamo a recensire Phantasy Reverie Series, essendo perfettamente a conoscenza della carica emotiva che accompagna il ritorno sugli schermi di Klonoa.
Come parzialmente anticipato in apertura, Klonoa non ha mai veramente raggiunto la fama di Crash, Abe, Mario, ecc. e, forse anche per questa ragione, le sue avventure sono assurte al rango di gemme nascoste, di cui tutti hanno sentito parlare almeno una volta, ma che in pochi possono dire di aver provato in prima persona.
Nel caso in cui aveste una conoscenza sommaria dei titoli compresi in Phantasy Reverie Series, vi basti sapere che il protagonista, un gatto antropomorfo di nome Klonoa, sarà chiamato a salvare i mondi lontani da lui esplorati, il tutto attraverso i poteri garantiti da un anello ritrovato in circostante misteriose.
Nonostante un incipit ed un’atmosfera quasi fanciulleschi, la trama assumeva contorni sempre più adulti, fino al colpo di scena finale di Door to Phantomile, che chi vi scrive ricorda ancora oggi come una vera e propria stilettata, capace di rendere agrodolce il più classico degli “… e vissero felici e contenti”.
Se il primo gioco ci lasciava tanto confusi quanto storditi da una conclusione tanto inaspettata, Klonoa 2: Lunatea’s Veil rappresenta il più classico dei sequel, capace di riprendere come meglio non si potrebbe il feeling apparentemente scanzonato del primo capitolo, apportando qualche necessaria boccata di aria fresca in termini di gameplay.
Rivivere in rapida successione Door to Phantomile e Lunatea’s Veil ci riporta parecchio indietro nel tempo, facendoci rendere conto di particolari su cui i nostri occhi da adolescenti non si soffermavano (tra cui una durata di appena 3/4 ore per gioco), ma colpendo in pieno il nostro cuore nostalgico con le stesse emozioni vissute 25 anni fa.
Che cosa può mai andare storto nel giocare un videogame di due, tre o più generazioni fa? Forse nulla, a condizione di scendere a patti con un gameplay per forza di cose non più attuale; d’altra parte, è risaputo che il tempo scorre ineluttabile per tutti, ed i videogame hanno imparato questa lezione meglio di chiunque altro.
L’opera di svecchiamento compiuta da Bandai Namco, come diremo a breve, ha riguardato maggiormente il lato estetico del videogame, lasciando pressoché intatta la sua formula ludica, che è stata arricchita con un paio di aggiunte.
Klonoa: Door to Phantomile fu celebrato come uno dei migliori sides-crolling platform della sua epoca, coniugando un ottimo level design ed un gameplay che presentava gli NPC ostili non tanto come nemici da battere, ma come chiavi indispensabili con cui superare i tanti enigmi ambientali disseminati nei vari stage; il concetto ora espresso si sublimava nelle boss fight dei giochi, contrassegnate da un approccio semplice, intuitivo e mai ripetitivo, in cui i mob si rivelavano di importanza vitale.
Il divertimento e l’originalità di questa formula sono tuttora rimasti inalterati, riuscendo ad invecchiare come meglio non si sarebbe potuto sperare e facendo passare in secondo piano, ancora oggi, la brevissima durata dei vari livelli che andremo ad affrontare, premiando coloro che vorranno esplorarne tutti gli anfratti.
Tutto questo per la gioia degli hardcore gamer e dei completisti, ai quali consigliamo di cimentarsi nei livelli bonus (sbloccati dopo aver raccolto tutti gli oggetti collezionabili) o con la nuova modalità “Difficile”, disponibile dopo aver completato almeno una run.
A proposito di livelli di difficoltà, il cofanetto cerca di venire incontro proprio a tutti, perdonando ogni errore (con la Easy Mode) o obbligandoci, a vite esaurite, a ricominciare lo stage dall’inizio (con la modalità “Normale”).
Se la formula ludica dei due titoli ha conservato tutto il suo fascino, non si può dire altrettanto dei comandi e di altri accorgimenti tecnici. Nonostante un piccolo restyling abbia toccato anche questo aspetto delle opere in questione, rimangono una certa legnosità ed imprecisione di fondo, insieme ad un sensibile input lag che, nei livelli ad alto coefficiente di sfida, si rivela essere un ostacolo in più da superare.
Un discorso simile va fatto per i livelli di Lunatea’s Veil in cui il protagonista è sullo snowboard; la sensazione che si ha (ancora adesso) è quella di trovarsi su un pavimento cosparso di sapone, in cui ogni sterzata rappresenta un pericolo, rendendo ancora più approssimativi dei comandi già decisamente “vintage”.
Oramai, quando si parla di remastered, remake et similia, si sentono sempre gli stessi due concetti: 4K e 60 fps. Ebbene, quanto di tutto questo incide sulla valutazione finale di Klonoa Phantasy Reverie Series?
Procediamo con ordine.
Al team di sviluppo va riconosciuto un impegno certosino nell’aver ricreato praticamente da zero tutte le cutscene dei due giochi, nonché di aver implementato al loro interno texture in altissima definizione e, last but not least, di aver arricchito gli sfondi dei titoli che, ai tempi, erano decisamente spogli e non chissà quanto caratterizzati.
Dobbiamo sempre tenere a mente di essere in presenza di una “semplice remastered” e, quindi, i modelli poligonali sono praticamente gli stessi di 25 anni fa, con tutto quello che ne consegue. Non mancheranno dei momenti in cui l’estetica dei due giochi, nonostante un notevole svecchiamento, dimostra tutta la sua venerabile età, fatta di spigoli e di effetti tutt’altro che speciali. Quanto ora descritto renderà ancora più netto il passaggio tra cutscene e gameplay, condito da un comparto di animazioni che si mostrano in tutta la loro legnosità.
Come ampiamente sottolineato, Klonoa non ha mai goduto della fama (e del budget) dei suoi illustrissimi colleghi e, proprio per questa ragione, stringere tra le mani il cofanetto Bandai Namco è già di per sé un mezzo miracolo. Avremmo sognato un’operazione di remake totale delle avventure di una delle icone più sottovalutate della storia del gaming, magari in linea con quanto realizzato con la trilogia Crash Bandicoot, ma sappiamo di essere degli incontentabili.
Rivedere gli scarponi e le lunghe orecchie di Klonoa nel 2022 è decisamente una sorpresa, così come sorprendente è l’operazione di restyling compiuta da Bandai Namco, capace di non snaturare il gameplay di due dei platform più amati da chi è cresciuto a pane e Playstation. Il gameplay conserva il fascino dei bei tempi che furono, anche se, sul versante dei comandi, poteva essere fatto uno sforzo aggiuntivo. È inutile sottolineare quanto l’estetica di Door to Phantomile e Lunatea’s Veil abbia beneficiato del “lifting digitale” del team di sviluppo, arricchendo di dettagli quanto realizzato 25 anni fa, ma rendendo netto lo stacco tra (nuove) cutscene e (vecchio) gameplay. Le feature introdotte da questa remaster faranno la gioia di coloro che sono alla ricerca di una sfida impegnativa, e ci fanno chiudere un occhio sulla durata striminzita dei due giochi compresi nel cofanetto (venduto, però, ad una cifra ragguardevole).
In ogni caso, Klonoa Phantasy Reverie Series rimane un’esperienza caldamente consigliata a tutti, giovani e “meno giovani”, fosse anche solo per scoprire (o riassaporare) uno dei tesori nascosti della storia dei videogame.
This post was published on 21 Luglio 2022 18:00
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