Non è stato facile valutare Vampire: The Masquerade – Swansong. La mia iniziale curiosità, direi anche entusiasmo, di vivere per la prima volta un’esperienza narrativa legata al World of Darkness era forte: non ho mai giocato al celebre GDR da cui i ragazzi di Big Bad Wolf Studio hanno tratto questo titolo, né ho mai videogiocato alcun titolo a tema. Dopo poche ore, però, la mia iniziale spinta propulsiva è scemata velocemente e nelle fasi conclusive del gioco mi sono ritrovato ad attendere l’arrivo dell’epilogo con una certa impazienza.
Questo non perché il Mondo di Tenebra non mi abbia affascinato, né perché la storia originale imbastita dal team francese manchi di interesse. Tuttavia, alcuni limiti di gameplay impediscono a Swansong di tradursi in un’esperienza ludica del tutto soddisfacente.
Erano notti buie e tempestose
Non è necessario avere esperienza del gioco di ruolo per apprezzare la storia di Swansong. Il titolo possiede un glossario interno che si aggiorna con l’avanzare dell’avventura: al suo interno si possono trovare tutte le informazioni necessarie a farsi un’idea dello storyworld in cui prende piede la vicenda che siamo chiamati a giocare.
In ogni caso, un minimo di infarinatura su che cosa sia Vampire: The Masquerade può essere utile a chi ne fosse completamente ignaro: ne parlo nel prossimo paragrafo. Tutti coloro che sono già edotti in materia, possono passare direttamente a quello successivo.
Vampire: The Masquerade nasce nel 1991 come gioco di ruolo pen-and-paper. Creato dalla casa editrice americana White Wolf (acquisita nel 2015 da Paradox Interactive), il gioco è costituito da un corpus di regole e da un canone narrativo articolato in numerose pubblicazioni. Come nel classico D&D, un’avventura si sviluppa in una o più sessioni multigiocatore amministrate da un master, che attinge al repertorio di avventure già esistenti o ne crea una da zero; ogni giocatore crea il proprio personaggio e lo interpreta nella sessione. I protagonisti del gioco sono i vampiri, com’è intuibile. I vampiri sono solo una delle razze fantastiche che abitano il Mondo di tenebra: esso è una sorta di versione dark fantasy del nostro mondo, nel quale brulicano anche i licantropi e i maghi, protagonisti di altri giochi sviluppati anch’essi da White Wolf.
In questo mondo, i vampiri esistono dalla notte dei tempi, precisamente da Caino e Abele: in effetti è proprio Caino il vampiro originario, maledetto da Dio a seguito dell’uccisione del fratello. Da Caino discendono i numerosi clan in cui si suddividono le successive generazioni di vampiri, che ingrossano le proprie fila ogniqualvolta un vampiro “abbraccia” un umano: ovvero ne beve il sangue ed offre il suo a propria volta. In questo modo viene a crearsi un legame indissolubile, di sangue appunto, tra il sire, vampiro genitore, e l’infante, umano vampirizzato, che apparterrà alla successiva generazione di quel clan.
I vampiri, numericamente molto inferiori agli umani, vivono in incognito: per sfuggire alle persecuzioni dell’Inquisizione si sono coalizzati in una organizzazione denominata Camarilla, che riunisce i clan di vampiri principali. La Camarilla stabilisce sei leggi generali, le cosiddette Tradizioni, cui tutti i membri devono sottostare. La tradizione più importante è la Masquerade, ovvero il principio secondo cui i vampiri devono agire nell’ombra, rendersi invisibili agli umani nella speranza di far dimenticare la propria esistenza e poter vivere indisturbati. Punizioni severe spettano a chi viola la Masquerade, e molti sforzi sono profusi dalla Camarilla per cercare di preservarla, tenuto conto che l’organizzazione deve anche guardarsi dalla minaccia della mai abolita Inquisizione, nonché dalla minaccia di fazioni vampiriche esterne quali Anarchici, Sabbat e molti altri.
La Camarilla divide geograficamente la propria amministrazione in domini: ogni dominio è governato da un Principe che legifera su di esso. Il Principe è a sua volta aiutato da un circolo di consiglieri, i cosiddetti Primogeniti. È proprio alla corte del Principe di Boston che prende avvio la storia di Vampire: The Masquerade – Swansong.
In Vampire: The Masquerade – Swansong assumiamo il controllo di tre personaggi: Emem, Galeb e Leysha, vampiri della Camarilla membri del dominio di Boston.
Per motivi diversi tutti e tre questi personaggi sono vicini al Principe Hazel Iversen, che li convoca urgentemente al verificarsi di un codice rosso: è stato lanciato un allarme generale durante un incontro tra esponenti della Camarilla e della cappella di Hartford, vitale per raggiungere un accordo di cooperazione e far fronte comune in materia di approvvigionamento e distribuzione di sangue.
Il meeting è stato preso d’assalto da forze misteriose, esponenti di entrambe le parti sono stati uccisi e i capi delle organizzazioni brancolano nel buio, sospettosi dell’esistenza di agenti doppiogiochisti nelle proprie fila. Emem, Galeb e Leysha ricevono incarichi diversi dal Principe e si lanciano loro malgrado in missioni ad alto rischio che, nell’arco di tre lunghe notti, determineranno il destino del dominio di Boston.
La storia insomma parte subito col botto, catapultandoci nel pieno di una crisi politica, in cui i singoli giochi di potere all’interno del palazzo si sommano ad un generale clima di minaccia che vede la confraternita braccata da misteriosi nemici esterni. Ciascuno dei tre protagonisti dovrà fare quel che può per difendere i propri interessi e quelli della Camarilla, anche se saranno le nostre scelte a determinare di volta in volta da che parte far pendere la bilancia.
Il gioco è infatti strutturato in capitoli, ognuno dedicato ad uno dei tre “eroi”, nel corso dei quali saremo chiamati a prendere decisioni di più o meno grande entità: alcune di esse avranno un impatto limitato al solo capitolo in questione, mentre altre avranno ricadute sull’esito generale della storia. Comprensibilmente, da ciò consegue la presenza di multipli finali, più o meno positivi per i nostri personaggi e per le sorti della comunità in generale. I momenti chiave sono spesso sottolineati da una sospensione dell’azione, in cui due scelte antitetiche appaiono in sovrimpressione ed il giocatore è chiamato a propendere per una delle due.
Non esistono scelte giuste o sbagliate, tutto sta nella nostra interpretazione dei personaggi: personalmente, ho ruolato Galeb come un fedelissimo servitore del Principe; Emem come una discepola piena di dubbi ma tutto sommato obbediente e Leysha come una “scheggia impazzita” più interessata alla propria sorte che a quella della comunità. A livello narrativo la cosa ha funzionato talmente bene da farmi pensare che queste fossero esattamente le personalità che gli autori avevano in mente per loro quando li hanno scritti.
Dal punto di vista della scrittura, Big Bad Wolf Studio ha dato notevole prova di sé con The Council, avventura per la quale aveva imbastito una narrativa fantastorica e fantapolitica di grande suggestione. Con questa positiva premessa mi ero approcciato a Swansong carico di aspettativa, che però non è stata soddisfatta appieno.
Col procedere della storia, infatti, le gustose premesse iniziali lasciano il posto a sviluppi più pragmatici: non volendo svelare alcunché della trama dirò solo che la componente di intrigo si fa man mano più scialba, soppiantata da problemi più concreti, come l’infiltrazione in una base nemica o il salvataggio di una bambina rapita. Un po’ dispiace, poiché anche le conversazioni cui avremo accesso riguarderanno sempre meno la “politica” e sempre più la singola circostanza, dando l’impressione finale di una complessità narrativa meno pregna di quanto appaia nelle sue battute iniziali.
Non pensate però ad una svolta action: il gioco è in tutto e per tutto un’avventura grafica, in cui il massimo che possiamo fare è parlare con gli NPC, esaminare i vari scenari per raccogliere informazioni ed oggetti, ed occasionalmente risolvere qualche puzzle. Ed è nel gameplay che purtroppo si riscontrano problemi non indifferenti.
Eccezionali poteri vampireschi… in un minuscolo spazio vitale!
Ogni capitolo del gioco è sostanzialmente una scenetta autoconclusiva, in cui il vampiro di turno deve aggirarsi in una ambientazione alla ricerca di indizi ed oggetti che gli consentano di risolvere tanti piccoli obiettivi al suo interno, che siano raccogliere determinate informazioni, individuare certi bersagli, trovare una via d’uscita o d’ingresso e così via. Per fare ciò avremo bisogno di spirito di osservazione, indagine meticolosa degli ambienti alla ricerca di qualsiasi oggetto interagibile, un minimo di materia grigia per venire a capo di qualche rompicapo e, all’occorrenza, l’utilizzo dei nostri poteri vampireschi.
Alla fine di ogni capitolo il gioco presenta un sommario con elencati i nostri successi, fallimenti e alternative non intraprese, oltre ad assegnarci un punteggio che potremo spendere nel miglioramento delle nostre abilità (sul sistema di progressione torneremo dopo).
Tutti e 3 i protagonisti sono dotati dell’Auspex, una disciplina vampirica che consente loro di individuare la presenza dei propri simili e di conseguenza trovare indizi nascosti agli occhi degli umani. All’atto pratico è una sorta di modalità detective liberamente attivabile durante il nostro girovagare, che metterà in risalto alcuni particolari oggetti permettendo interazioni uniche.
Oltre a ciò ciascun personaggio ha una propria abilità specifica: Emem sfrutta la Velocità per teletrasportarsi e superare ostacoli altrimenti insormontabili, oltre a rallentare il tempo; Leysha può imitare l’aspetto degli NPC copiandone i vestiti, ottenendo così l’accesso ad aree riservate o dialoghi esclusivi; Galeb ha una spropositata forza fisica e mentale, con la quale… non può fare nulla! All’atto pratico infatti il suo potere speciale si traduce in bonus di vario tipo durante i dialoghi, ma non ha ricadute dirette sull’esplorazione ambientale. Un peccato perché rende il suo gameplay più monotono rispetto agli altri due.
Non che le abilità di Emem e Leysha siano uno spasso: in effetti l’insoddisfazione data dall’utilizzo delle abilità è uno dei problemi più evidenti del gameplay di Vampire: The Masquerade – Swansong.
Per quanto riguarda la Velocità di Emem, questa serve giusto per spiccare qualche salto acrobatico, in molti casi si tratta di azioni obbligatorie per avanzare nella storia e spesso il suo utilizzo non porta ad alcuna ricompensa aggiuntiva o sezioni extra dello scenario; il rallentamento del tempo poi è una possibilità implementata talmente poco che ho avuto l’impressione che gli sviluppatori se ne siano dimenticati: nel corso di tutto il gioco ho dovuto utilizzarlo solo due volte! Che senso ha concepire un’abilità unica di un personaggio e poi centellinare le occasioni in cui essa ha la possibilità di essere usata? Questa scelta mi ha lasciato davvero perplesso.
Aggiungiamoci pure un controsenso: Emem è il personaggio più agile, può spiccare questi super-salti e manipolare il tempo, ma poi quando deve scendere o salire per qualche piccolo dislivello il gioco richiede un input al giocatore sotto forma di pressione di un tasto. E ciò non dà inizio ad un’unica animazione di “climbing”, ma solo ad una lentissima discesa/salita di un singolo ostacolo, obbligando quindi ad ulteriori input per tutti i gradini in successione. In poche parole: un tedio ingiustificato, che per fortuna appare anch’esso in pochissime circostanze, un po’ come tutte le interazioni speciali delle abilità dei personaggi…
Fossero almeno precisi i geodata! Invece, appena lo scenario si fa un po’ più complesso di un semplice pavimento di interni (ad esempio la zona dissestata dello screen qui sopra) il personaggio risulterà difficile da indirizzare, quasi un revival dei tank controls dei tempi che furono, rischiando anche di incastrarsi negli angoli. Questa cosa è effettivamente accaduta durante la mia partita obbligandomi a ricominciare da capo un capitolo.
E l’abilità Oscurazione di Leysha? È stata implementata in maniera un po’ ridicola: a parte il fatto di poter diventare invisibili davanti agli occhi di qualsiasi NPC senza che nessuno batta ciglio (una situazione che mi ha ricordato il girovagare di Ellie in mezzo ai nemici inerti nel primo The Last of Us), gli NPC non si accorgono nemmeno del fatto che la nostra faccia è sempre la stessa, a prescindere degli abiti che indossiamo.
Se parlare con una guardia nei nostri abiti civili non ci permette di accedere ad un’area riservata, parlarci un minuto dopo indossando l’uniforme appropriata farà cambiare le carte in tavola!
Si tratta insomma di un design talmente pigro da rovinare parzialmente l’esperienza, poiché respinge il giocatore invece che assorbirlo.
Il gioco tenta di vivacizzare la formula dell’avventura grafica inserendo delle meccaniche di progressione del personaggio simil-GDR. Purtroppo anche qui si riscontrano grossi limiti di implementazione.
La progressione dei personaggi si articola in ben 5 categorie: Attributi, Abilità, Discipline, Talenti e Tratti. Già così si capisce che c’è qualcosa che non va: raramente i videogiochi di ruolo più complessi arrivano ad avere così tanta diversificazione. Questa ricchezza di personalizzazione non solo risulta leggermente confusionaria in prima battuta, ma in definitiva ingannevole: ad esempio i Talenti (che hanno addirittura una propria pagina del menù dedicata) altro non sono che piccoli bonus passivi, sbloccabili automaticamente reiterando l’utilizzo di determinate abilità.
Idem per i Tratti che sono invece ottenibili a seguito di alcune scelte o azioni compiute a livello di trama: ma non si poteva unificare le due cose in un unico tab?
La scelta di quali abilità potenziare è legata in parte a come vogliamo ruolare il personaggio: potremo investire punti nell’Intimidazione, per convincere i nostri interlocutori con le cattive, oppure preferire la Psicologia, per ammaliarli con savoir-faire.
Ovviamente gli NPC hanno resistenze e debolezze diverse perciò non potremo sempre averla vinta in ogni situazione: ogni scontro dialettico si traduce in uno scontro numerico tra i valori delle rispettive abilità e, in caso di pareggio, le abilità passive potranno influenzare l’esito definitivo del confronto.
In alcuni casi l’esito di un confronto avrà ricadute sostanziali sullo sviluppo dell’avventura o sull’evoluzione del rapporto tra i personaggi, in maniera simile a quanto già sperimentato in The Council.
Il problema di questo sistema è che, a seconda di come evolviamo il nostro personaggio, potremmo prendere parte a confronti che non avremo possibilità di vincere in nessun caso: per capire come mai occorre una veloce spiegazione.
L’utilizzo di una qualsiasi abilità dialettica (o speciale) durante un dialogo (o un’esplorazione) costa punti Volontà o Fame: i primi si possono ricaricare trovando in giro dei consumabili o a seguito di alcuni dialoghi; i secondi aggredendo e mordendo gli NPC (ovviamente non tutti, ma solo i pochi con cui è concesso farlo).
Se durante un confronto dialettico il valore di un attributo che vogliamo utilizzare (ad esempio Retorica) è inferiore a quello dell’avversario, possiamo utilizzare tali punti per aumentare il nostro valore e vincere. Se però non ne abbiamo abbastanza, alcune scelte ci saranno precluse. In questi casi non c’è nulla che possiamo fare, non esistono metodi alternativi: siamo condannati a perdere. Tutto perché abbiamo deciso di investire dei punti in un attributo piuttosto che in un altro.
Nei giochi di ruolo fatti bene, la specializzazione è pensata per lasciare libero il giocatore riguardo la scelta di approccio alle situazioni, non per decretare a priori se una situazione possa essere risolta o meno in senso assoluto.
In Vampire: The Masquerade – Swansong i confronti si vincono solo con le giuste abilità, se non le si ha tanti saluti. Si tratta di un design miope perché mortifica le scelte del giocatore, che in alcuni frangenti non potrà che subire passivamente il fallimento di un confronto solo perché la distribuzione dei suoi punti abilità non gli consentono di aver voce in capitolo.
Si potrebbe pensare che una soluzione al problema sia non essere monotematici, investendo i punti guadagnati in uno sviluppo eterogeneo del personaggio: purtroppo però non c’è tempo di farlo, il gioco è troppo breve!
Complessivamente l’avventura non vi richiederà più di una quindicina di ore per essere conclusa. Semplicemente non si accumulano abbastanza punti per incrementare in modo soddisfacente più di una manciata di abilità o discipline: le nostre scelte di “level up” andranno così, fin dalle primissime battute e senza che ce ne rendiamo conto, a determinare il destino dei nostri personaggi, che in alcuni momenti chiave avranno le mani legate rispetto al successo o al fallimento di determinate azioni, senza la possibilità di approcci alternativi.
Cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno, possiamo considerare questi forti limiti come incentivi alla rigiocabilità: ciascun capitolo è rigiocabile non appena concluso, quindi gli appassionati di storie a bivio o i curiosi che vogliono esplorare tutte le possibilità narrative fin da subito possono farlo. A chi, come me, piace invece vivere tutta l’avventura d’un fiato senza modificare le scelte prese, non rimane che mettersi il cuore in pace e sopportare qualche binario obbligato in cui incapperà volente o nolente.
Alti, bassi e medi
Gli scenari offrono una discreta varietà: si tratta per lo più di ambienti chiusi, che spaziano dagli interni super lussuosi dei possedimenti della Camarilla alle confuse baraonde di scene del crimine; da lugubri aree portuali a laboratori segreti, il tutto caratterizzato da grande cura per i dettagli che riescono ad evocare al tempo stesso un senso di realismo e dark fantasy contemporaneo. Non manca qualche parentesi prettamente fantastica, ma l’estetica generale rimane saldamente ancorata alla verosimiglianza. Il colpo d’occhio è sempre gradevole, e sopperisce ad una mole poligonale non particolarmente eccelsa.
Anche i modelli umani sonno sufficientemente caratterizzati, sebbene faccia storcere il naso la qualità delle animazioni, eccessivamente legnose specialmente per quanto riguarda le mimiche facciali: la recitazione del cast, generalmente buona, non è coadiuvata da un’espressività altrettanto convincente dei modelli. Bisogna anche dire che ogni tanto capita di sentir pronunciare qualche battuta con un’intenzione per nulla adatta al contesto, ad esempio usando un tono piatto al posto di uno sarcastico. Ciò è sicuramente indice del fatto che i doppiatori non hanno sempre avuto a diposizione l’intero copione durante le registrazioni delle loro linee, o che non c’è stata la dovuta cura in termini di direzione del doppiaggio.
L’accompagnamento musicale è in linea con le esigenze del copione, alternando momenti concitati a sottofondi più contemplativi, tra tenui tappeti elettronici e più classici arrangiamenti orchestrali. Nessun brano particolarmente memorabile, ma si tratta comunque di un complemento adeguato all’avventura.
Su PC c’è il giusto grado di opzioni grafiche, anche se non è possibile selezionare manualmente il framerate. Il titolo comunque non è particolarmente esoso in termini di risorse e anche i possessori di macchine non troppo recenti dovrebbero essere in grado di far girare il gioco agevolmente. Giocato su portatile con scheda grafica RTX 3070 e processore Ryzen 9 5900XH non ha dato il minimo problema; inoltre, a parte il riavvio forzato dovuto al problema di geodata di cui ho scritto sopra, l’esperienza è stata fluida e priva di bug, sintomo di un’eccellente pulizia generale.
Giudizio finale
Al netto di un affascinante mondo narrativo e di una sceneggiatura in fin dei conti coinvolgente, il titolo di Big Bad Wolf Studio non ha centrato il bersaglio, a causa di difetti vistosi che non dipendono dal budget a disposizione (siamo nell’ambito delle produzioni AA), poiché riguardano la concettualizzazione, il design stesso del gioco. Il giudizio finale è dunque un voto di compromesso che, pur considerando tutto il buono che c’è nell’avventura, non può esimersi dall’evidenziare che Vampire: The Masquerade – Swansong non riesce ad essere all’altezza delle sue ambizioni.
PRO
- Riuscita applicazione del materiale narrativo di un GDR ad una moderna avventura grafica
- Tanti bivi narrativi e finali multipli
- 3 protagonisti, ognuno con le proprie abilità...
CONTRO
- ...ben poco soddisfacenti da usare
- scenari spesso piccolissimi, con interazioni limitate
- game design talvolta troppo semplicistico
- animazioni legnose e qualche problema di interfaccia
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