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Elden Ring | Recensione (PS5) | Il viaggio di un Senzaluce

A culmine di un Febbraio 2022 decisamente ricco di uscite di primo livello, Elden Ring rappresenta la giusta conclusione di un climax videoludico come raramente se ne erano visti. Accolto con curiosità ed entusiasmo sin dal suo primissimo annuncio, Bandai Namco ha diffuso col contagocce le informazioni sulla sua nuova creatura che, come molti avevano già compreso, rappresentava una prova non da poco per il suo illustre sviluppatore.

Specifichiamo meglio: non si trattava di una prova di maturità. FromSoftware, sotto questo aspetto, non ha proprio nulla da dimostrare, alla luce del suo curriculum d’eccellenza; se Dark Souls III è stata la chiusura in pompa magna di una grandissima epopea, se Bloodborne era un scrigno pieno di gemme dal colore rosso sangue, e se Sekiro: Shadows Die Twice ha testimoniato la voglia di Miyazaki di cimentarsi con qualcosa di nuovo, Elden Ring prosegue in questa direzione, innovando una formula ludica che, per quanto consolidata, non aveva più altro da dire.

L’ultima opera dello studio giapponese va di pari passo con la sua enorme ambizione, che l’ha spinto ad espandere i suoi confini creativi, portandolo lì dove pochi osano: a creare un open world che non sia l’ennesimo contenitore vuoto, e che sprizzi tutte quelle caratteristiche che qualsiasi giocatore immediatamente associa a FromSoftware.

Va da sé che qualsiasi cambiamento non è esente da rischi, soprattutto quando si parla di innovazioni di questa portata. In sede di anteprima (vi invitiamo a cliccare qui e qui), abbiamo posto in evidenza tutti i pregi dell’ultima fatica di Miyazaki e soci, elencandone anche le criticità che, in base a quanto detto poc’anzi, erano inevitabili.

A circa tre mesi di distanza, mettendo le mani sul gioco nella sua integrità, che cosa è cambiato? Dirlo su due piedi è complesso, alcuni problemi sono stati risolti, altri ne sono emerse, ma ciò che è immediatamente percepibile sono i riferimenti tecnici sfruttati dal team di sviluppo, che si è ispirato alle meccaniche di uno dei miglior open world di questa generazione, che ha innalzato gli standard della categoria: The Legend of Zelda: Breath of the Wild.

La presente recensione è come il viaggio che attende il nostro Senzaluce: lunga e piena di dettagli da analizzare. Proprio per questa ragione, mai come questa volta vi invitiamo a mettervi comodi, soprattutto se, come me, non vi siete mai avvicinati più di tanto ai titoli FromSoftware a causa della loro “fama”: sappiate che Elden Ring è rivolto anche a voi.

Cantami, o Diva, del Senzaluce

Un nuovo viaggio comincia.

La pace e l’equilibrio che prosperavano nell’Interregno si sono bruscamente interrotti. La Regina Marika l’Eterna è improvvisamente scomparsa e l’Anello Ancestrale, antico manufatto e simbolo del potere divino, è andato in frantumi. Consumata da una bruciante ambizione, la prole di Marika, formata da veri e propri semidei, ha reclamato per sé i pezzi dell’anello, vedendo così accresciuto a dismisura il proprio potere, ma pagando tutto questo con la follia. La distruzione dell’anello ha scatenato un evento conosciuto con il nome di Disgregazione, una guerra che ha visto la caduta degli Dei, l’ascesa di altre entità, e da cui nessun lord è riuscito ad emergere.

Diverse sono state le figure chiamate a portare nuovamente l’ordine nell’Interregno e, tra queste, c’è anche un Senzaluce, un personaggio privo di fama o gloria, ma che può contare sulla benevolenza della Grazia, una misteriosa forza che sembra muovere tutto ciò che ci circonda. Il nostro compito sarà quello di plasmare il destino di questo Senzaluce, guidandolo nelle terre dell’Interregno, riunendo tutti i pezzi dell’Anello Ancestrale e rendendolo, di fatto, il nuovo Elden Lord.

Il cammino che ci attende, inutile dirlo, sarà lungo ed irto di pericoli, e ci spingerà ad esplorare un mondo vasto, vario e pieno di sorprese, cercando di scoprirne i segreti tanto dai personaggi che lo popolano, quanto dall’oramai celeberrima narrazione ambientale che contraddistingue le opere FromSoftware.

Sin dall’inizio, non potremo non notare l’Albero Madre, la cui luce raggiunge ogni angolo del mondo in cui ci troviamo. Basterà uno sguardo per capire che, in qualche modo, è proprio lì che siamo diretti; tutt’altro discorso, ovviamente, sarà il come raggiungere la destinazione, senza dimenticarci di un piccolo particolare: la Grazia. Questa misteriosa luce che ci ha destati, donandoci nuova vita, sembra indicarci una via da percorrere, ma che non sembra portare alle pendici dell’Albero Madre o, almeno, non direttamente.

Nel corso del nostro cammino, incontreremo persone che ci tenderanno la mano ed altre (tante altre) che invece ci sbarreranno la strada, ma tutte sembrano agire per uno scopo recondito, in un disegno di cui noi abbiamo proprio l’aria di essere protagonisti inconsapevoli.

Quale verità si cela dietro la rassicurante luce dell’Albero Madre? Quale immane catastrofe ha squassato le fondamenta dell’Interregno? Quali sono le intenzioni dei figli di Marika? E, soprattutto, in che cosa consiste realmente l’impresa a cui siamo chiamati?

Come sempre, l’unico modo per ottenere le risposte di cui siamo alla ricerca risiede nel viaggio da compiere e negli ostacoli da superare, essendo ben consapevoli che la morte sarà sempre la più fedele compagna di viaggio.

Di narrativa, intrecci e… intrighi!

Stringere o non stringere il patto?

Come spiegheremo meglio in seguito, Elden Ring rappresenta, sotto tantissimi aspetti, un nuovo inizio per lo studio di Miyazaki; tuttavia, la sua nuova creatura si presenta con un incipit che non potrebbe essere più “souls” di così.

La caduta di vecchi Dei e l’ascesa di nuove divinità rampanti; un protagonista senza nome che si risveglia dal torpore, chiamato a compiere un’impresa più grande di lui; un mondo di gioco misterioso, a tratti ermetico, in cui le domande superano le risposte; personaggi di cui non riesci mai a fidarti ciecamente; un destino di cui non è mai possibile sentirsi padroni. Questi sono i cardini su cui lo sviluppatore giapponese ha fatto ruotare la narrativa della sua opera omnia, e tutti sono chiaramente percepibili anche nell’avventura del Senzaluce.

Nonostante quanto ora detto, Elden Ring sembra però essere caratterizzato da un tocco più “umano”. Spieghiamoci bene: siamo ben consapevoli della presenza di draghi, creature mostruose, entità (più o meno) divine e di un enorme albero tutt’altro che terreno; tuttavia, a quanto ora detto si affiancano vicende di chiara ispirazione “martiniana”, come giochi di potere, casate in lotta tra di loro, tradimenti, vendette, tutti elementi che hanno reso celebri le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.

Così come avvenuto con l’epopea di G. R. R. Martin, anche il titolo FromSoftware ci catapulta in mondo sconvolto da un improvviso vuoto di potere, dove ogni fazione tesse la sua tela, in cui gli interessi personali tendono spesso a prevaricare sul bene comune ed in cui la fiducia è sempre malriposta.

Come impareremo presto, c’è solo la strada su cui potremo contare, e proprio la strada sarà il nostro “narratore” principale, forse anche in maniera meno criptica rispetto al passato.

L’ambiente circostante è forse l’unico testimone di ciò che fu, ed imparare ad osservarlo sarà di fondamentale importanza, così come lo sarà farsi guidare dalla propria curiosità, lanciandosi a briglia sciolta nell’esplorazione, raggiungendo zone non contemplate dalla main quest, ma che hanno decisamente qualcosa da dirci.

Come realizzare un open world

Se non puoi batterli… non farti vedere da loro!

Proviamo per un attimo ad immaginare una ricetta segreta per la creazione di un open world degno di questo nome: quali potrebbero essere gli ingredienti principali? E quali quelli da evitare a tutti i costi?

Se la risposta al primo quesito scende troppo nel gusto personale, possiamo assolutamente concordare su che cosa non ci debba mai essere in un open world: la noia. Creare mondi enormi porta con sé un problema non da poco, ovvero il come riempirli; lo sviluppatore medio ci concede una mappa di gioco che si distende a vista d’occhio, regalandoci scorci mozzafiato ed una cura per il dettaglio sempre ad alti livelli, ma spesso lesina sulle attività che noi giocatori siamo chiamati a svolgere all’interno della sua creazione.

Il più grande tallone d’Achille degli open world è il cadere in quello che potremmo definire “effetto lista della spesa“: ossia il diventare un lungo, lunghissimo elenco di cose da fare, tutte contrassegnate da una marea di marker più o meno evidenti che, già nell’arco delle prime ore di gioco, vanno a coprire una cospicua fetta della world map.

Per usare un’espressione brutale ma diretta, giocare ad un open world nel 2022 significa quasi sempre investire decine e decine di ore a svolgere attività secondarie tanto numerose quanto ripetitive, spesso ininfluenti e con quel retrogusto di filler che proprio non ci piace.

Ebbene, in Elden Ring non è presente proprio nulla di quanto ora descritto.

Non appena varcata la soglia delle Catacombe, non ci sarà alcun marker ad attenderci, ma avremo solo due guide: la flebile luce della Grazia e la nostra curiosità.

Nel primo caso, i vecchi fuochi da campo sono stati sostituiti da queste luci divine che, almeno orientativamente, ci indicheranno la via da seguire ai fini della sola main quest; va da sé che si tratterà quasi sempre di direzioni sommarie, che punteranno ad un edificio spesso visibile anche ad occhio nudo, ma capire come raggiungere la meta sarà sempre un altro paio di maniche, soprattutto per “colpa” della mole di contenuti che vi spingeranno ad abbandonare la via maestra.

Abbiamo citato The Legend of Zelda: Breath of the Wild come principale fonte di ispirazione, soprattutto per quanto riguarda la libertà concessa all’utente. Così come avvenuto nell’esclusiva Nintendo, anche Elden Ring non pone alcun limite alla voglia di avventurarsi del giocatore, o meglio, ne pone uno soltanto, ma quello lo conosciamo benissimo: la presenza di nemici.

Come sempre, lo sviluppatore nipponico ha disseminato l’Interregno di creature tutt’altro che amichevoli, che costituiranno l’unico, vero ostacolo alle nostre esplorazioni, ma che rivestiranno anche il modo più efficace per farci capire che, magari, la zona in cui si trovano è destinata ad un secondo momento.

Se la main quest è rappresentata da una serie di tappe obbligate e messe in un chiaro ordine di progressione, ciò che stupisce è la totale libertà concessa nel poter fare praticamente… tutto il resto!

Non mancheranno ovviamente le volte in cui maledirete la vostra audacia, finendo sotto la clava di una creatura visibilmente troppo più forte di voi ma, a differenza del recente passato, la punizione non sarà eccessiva, grazie soprattutto ad un sistema di savepoint molto più capillare e ben distribuito, su cui ci soffermeremo in seguito.

Il primo passo per la scoperta dell’Interregno

Certi scorci sanno come attirare la vostra attenzione.

Mi state chiedendo quale sia la prima cosa da fare per lanciarsi all’avventura in Elden Ring? Beh, innanzitutto dovrete… trovare una mappa!

Potrà sembrarvi strano, soprattutto in un’epoca in cui gli open world ci mettono a disposizione sin dall’inizio una cartina dettagliata del mondo di gioco ma, nel caso in questione, tutto questo non si verifica. Saremo noi a dover trovare i pezzi dell’enorme mappa di gioco, collocati su delle stele di pietra quasi sempre ben difese. Inutile dire che il frammento di mappa su cui metteremo le mani scoprirà solo una parte dell’immensa carta geografica messa in piedi da FromSoftware e, anche qualora dovessimo rivelarla del tutto, il nostro lavoro di avventurieri sarebbe solo all’inizio.

Nessun punto di interesse sarà indicato sulla nostra mappa. Questo significa che, in buona sostanza, dovremo salire in groppa al nostro destriero e scorrazzare in lungo e in largo, così da scoprire tutto ciò che l’Interregno ha da offrirci, che si tratti di una chiesa, di un accampamento, di una caverna, delle rovine di una vecchia città o di un nuovo punto di Grazia.

Solo nel momento in cui metteremo piede in una nuova zona, quest’ultima comparirà sulla nostra cartina, aiutandoci così ad acquisire un minimo senso dell’orientamento, sia ai fini della trama principale che, soprattutto, delle missioni secondarie.

La volontà dello sviluppatore di spingere il giocatore a lanciarsi alla scoperta di terre sconosciute si estende anche alle side quest che, così come i punti di interesse, non sono poste in evidenza con degli appositi marker. L’unico modo che avremo per approcciarci a questi contenuti consiste nell’acquistare delle pergamene dai negozianti e, leggendole, ricavare degli indizi con cui metterci alla ricerca della destinazione da raggiungere.

Inutile dire che l’approccio di FromSoftware comporta un rischio non indifferente, ovvero quello di potersi perdere una fetta consistente dei contenuti realizzati; tuttavia, questa scelta obbligherà il giocatore ad uscire dalla sua comfort zone digitale, togliendogli il “GPS” e spingendolo a compiere un’azione oramai divenuta insolita nel gaming contemporaneo: assaporare il piacere della scoperta.

La nostra avventura, quindi, la scopriremo solo vivendo… e morendo!

Parola d’ordine: accessibilità

Come arrivare a destinazione?

Fermi! Non saltate a conclusioni affrettate!

Chi ha detto che Elden Ring è un gioco facile? Un tutorial non fa primavera!

Al netto di quanto ora detto, non possiamo negare quanto FromSoftware abbia ammorbidito alcune delle sue “posizioni ideologiche”. Non posso nascondervi la mia sorpresa nel momento in cui mi sono imbattuto nei tutorial sulle meccaniche di gioco, evitando qualsiasi sensazione di smarrimento al novellino di turno. Ogni volta che ci imbatteremo in una nuova feature, compariranno delle apposite finestre pop up (visibili anche consultando il menu di gioco) che ce ne spiegheranno ogni dettaglio: dagli attacchi a cavallo alle fasi stealth, passando per le magie e spingendosi ai punti di evocazione.

Sotto questo aspetto, la volontà di FromSoftware è chiarissima. Elden Ring è il progetto più ambizioso di Miyazaki e soci e, proprio per questa ragione, sarebbe stupido limitarne la fruizione per rinverdire i fasti del recente passato. Per fare un esempio calzante, Elden Ring vuole aspirare ad essere un nuovo Dark Souls, non un nuovo Demon’s Souls.

Questa posizione del dev ha riguardato anche la parte punitiva dell’esperienza di gioco.

Ancora una volta, non dobbiamo fare confusione: il titolo di cui parliamo rappresenta un’esperienza di gioco decisamente impegnativa, composta di sfide tanto ostiche quanto appaganti. Tuttavia, il giocatore non avrà mai la sensazione di trovarsi dinnanzi ad un muro inscalfibile o invalicabile, essendo spinto ad un’attenta analisi dei moveset nemici, a sperimentare nuove soluzioni offensive o, in alternativa, ad effettuare una momentanea “ritirata strategica“, esplorando aree secondarie e migliorando le proprie statistiche.

Quanto ora detto pone in evidenza una delle nuove feature inserite dal team di sviluppo: i punti di viaggio rapido. Ogni open world che si rispetti ha un sistema per ridurre i tempi di spostamento da un punto A ad un punto B, e l’ultima fatica targata FromSoftware non poteva essere da meno, ma questa meccanica, ad un primo sguardo, sembrerebbe cozzare con la storica filosofia dello sviluppatore.

Non possiamo dirvi come leggere l’introduzione del viaggio rapido in questo titolo, ma possiamo dirvi come l’abbiamo interpretato noi: nel non voler limitare in alcun modo la libertà del giocatore. Volete abbandonare il luogo in cui si trova il boss per dedicarvi ad una side quest? Potrete farlo comodamente, senza l’incubo di dover abbattere tutti i tremila mob che avevate trovato all’ingresso della zona, ma teletrasportandovi al punto di Grazia a voi più comodo.

Come sottolineato in precedenza, il sistema di savepoint è stato reso molto capillare, grazie anche alle statue di Marika, dei punti di salvataggio intermedi che, pur non consentendoci il classico potenziamento dei parametri, ci riporteranno in vita in zone molto più vicine al “cuore dell’azione”, evitandoci lunghe camminate (o cavalcate) dall’ultimo punto di Grazia visitato (che, in un open world, potrebbe anche essere molto distante).

Ci prendete per sacrileghi se ci lasciassimo sfuggire un “niente male”? Beh, correremo il rischio…

Squadra che vince… si rinnova!

Giusto per ricordarvi che siamo sempre in un titolo FromSoftware!

La strada per l’accessibilità è lastricata di nuove feature.

Se ci siamo già spesi sui savepoint e sul viaggio rapido, è ora arrivato il momento di parlare del sistema di crafting. Ci basterà comprare un singolo oggetto dal primo mercante in cui ci imbatteremo per sbloccare la possibilità di fabbricare tutta una serie di oggetti, a patto di possedere i materiali necessari, si intende. Inutile dire che questa nuova funzione ci spingerà a raccogliere tutte le materie prime attorno a noi; che si tratti di un fungo o delle ossa di un animale selvatico: tutto è destinato a tornarci utile. Inoltre, la mappa di gioco è disseminata di nuovi ricettari che, non appena trovati, allargheranno il novero delle nostre possibilità creative.

Nonostante tutto quanto finora affermato, il crafting colma anche un’importante lacuna che la saga dei Souls si è sempre portata dietro: quella che ci vedeva costretti a recarci da un mercante per acquistare pressoché qualsiasi oggetto consumabile (o di essere talmente fortunati da trovarlo nel corso dell’avventura). Inutile sottolineare che, ancora una volta, la ricerca dei materiali ci spingerà ad esplorare ancora più a fondo l’Interregno.

Continuando ad analizzare le novità introdotte, non possiamo non soffermarci su Torrente, il nostro fido destriero. Se i viaggi a cavallo risultano piacevoli ed appaganti, non sempre si può dire altrettanto dei combattimenti. In alcuni casi, questi diventano caotici, traducendosi nel “festival degli attacchi a vuoto”; in altri, invece, gli scontri a cavallo diventano incredibilmente semplici, molto più accomodanti rispetto al loro equivalente “a piedi”, soprattutto quando si parla di boss di grandi dimensioni. Infine, Torrente è dotato di una sua barra della salute che, una volta esaurita, ne causerà la scomparsa; non è però chiaro quale sia la ratio che distribuisce i colpi nemici tra noi ed il nostro fido destriero. Non sono state poche le volte in cui, ad esempio, attacchi rivolti al nostro eroe sono ricaduti sul povero Torrente, dissoltosi praticamente all’istante.

Infine, è il caso di soffermarsi anche sullo stealth. Vi avevamo già parlato di questa nuova funzione, e di quanto essa fosse solo abbozzata; ebbene, queste nostre impressioni trovano conferma anche in sede di recensione. Sgattaiolare alle spalle dei nemici sarà quasi sempre un’opzione percorribile, evitandoci scontri spesso fatali, ma lo stealth targato FromSoftware si esaurisce qui. L’intelligenza artificiale dei nemici ne limita non poco le capacità di scoperta, spingendoli a notare i cadaveri dei loro alleati, ma per poi tornare alla loro routine in appena un paio di secondi. Spieghiamoci: nessuno si aspettava un livello di allerta in stile Metal Gear Solid o Dishonored, ma neanche di trovarsi nella linea di vista del nemico e di essere ignorati semplicemente perché siamo lontani appena venti o trenta passi da lui.

Le considerazioni sul salto sono ugualmente agrodolci. Dal punto di vista esplorativo, abbiamo qualche possibilità in più, ma la scelta di non farci aggrappare anche a piccole sporgenze limiterà non poco questa nuova funzione; le cose stanno diversamente dal lato del combattimento, in cui l’attacco in salto rappresenterà una nuova soluzione con cui creare un’apertura nelle difese nemiche e, subito dopo, piazzare i nostri colpi migliori.

Ed a proposito di colpi…

Combat System e dintorni

Ovviamente, non mancheranno tante, tantissime boss fight.

Il vero cuore pulsante delle esperienze di gioco targate FromSoftware risiede nell’epicità degli scontri che saremo chiamati ad affrontare, sfidando boss a metà strada tra il divino ed il demoniaco.

Anche sotto questo aspetto è possibile riscontrare una maggiore accessibilità, ma non dal punto di vista di una facilitazione.

Le dieci classi messe a disposizione all’inizio dell’avventura assicurano a chiunque di poter perseguire il proprio stile di gioco, che si voglia prediligere un approccio a base magie e stregonerie o che si desideri percorrere la cara, vecchia via dei combattimenti corpo a corpo. La scelta fatta si limiterà ad influenzare le prime ore di gioco, dopodiché la palla passerà nelle mani del giocatore, che potrà plasmare il suo avatar a proprio piacimento, non solo con le statistiche, ma anche attraverso le Ceneri di Guerra (capaci di infondere nuovi attacchi alle armi su cui le userete) e le Rune Maggiori (provenienti direttamente dai boss principali).

Ogni arma, infine, dispone di una propria tecnica speciale (attivabile con uno dei tasti dorsali del pad) ed un proprio moveset di attacchi, che andrà ad implementarsi qualora decidessimo di imbracciare due armi della stessa tipologia.

Sempre nell’ottica di una maggiore accessibilità, si aggiungono le evocazioni. Al di là dei canonici marchi di evocazione che qualsiasi fan dei Souls conosce, è ora possibile combattere anche richiamando creature di altro genere; che si tratti di un branco di lupi, di un gruppo di nobili di viandanti, di un eroe caduto in battaglia o di un paggio: qualora lo riteneste opportuno, sappiate che combattere da soli non sarà più l’unica scelta a vostra disposizione.

Quanto finora detto fornisce un livello di personalizzazione mai visto prima in un gioco FromSoftware, spingendo il giocatore, ancora una volta, ad esplorare le tante possibilità messegli a disposizione.

Detto questo, però, Elden Ring si trascina dei problemi che il suo sviluppatore sembra non essere mai riuscito veramente a lasciarsi alle spalle. Tra questi, possiamo evidenziare una telecamera non sempre sul pezzo (anche se di momenti problematici non ne abbiamo ravvisati molti), un livello di sfida altalenante (soprattutto per certi boss), un’intelligenza artificiale nemica ballerina e quel sistema di compenetrazioni che, ancora oggi, ci farà subire gli attacchi corpo a corpo nemici anche se saremo dietro ad un muro.

Niente di quanto ora detto va a compromettere l’esperienza complessiva, che rimane su livelli altissimi, ma è quantomeno curioso constatare il permanere di determinati problemi con cui ogni fan dei lavori di Miyazaki ha oramai imparato a convivere.

Direzione artistica e resa tecnica

Alla voce “direzione artistica”

Togliamoci subito il dente: Elden Ring è tutto fuorché un gioco next-gen.

Già durante la beta era emersa questa caratteristica e, al netto di qualche piccola miglioria, la conta poligonale è quella che è; si può assolutamente disquisire dell’influenza della natura crossgen del titolo, ma passare dal dettaglio tecnico di Horizon Forbidden West a quello di Elden Ring è quasi uno shock. Se il dettaglio grafico non brilla, neanche il framerate è esente da cali, soprattutto quando subentrano su schermo creature molto grandi.

Senza dubbio quanto ora sottolineato rappresenta (e, a onor del vero, ha sempre rappresentato) il “vorrei, ma non posso” di casa From, che però è sempre riuscita a colmare questa sua carenza con uno dei suoi maggiori punti di forza: la direzione artistica.

Anche qui non è possibile usare mezzi termini: l’Interregno è uno dei mondi di gioco più affascinanti che sia possibile esplorare su una piattaforma di gioco. Quanto ora detto trova la sua ragione tanto nella varietà degli ambienti, capaci di alternare pianure lussureggianti, lande desolate, castelli diroccati e sotterranei bui, quanto nell’ottimale distribuzione dei suoi contenuti. Non appena avrete ottenuto un frammento di mappa, la voglia di scoprirne ogni anfratto sarà irresistibile, sapendo che la sorpresa è dietro l’angolo, che si tratti di una chiesa da cui raccogliere oggetti, dell’entrata di una caverna, di una carrozza da saccheggiare o di un drago da sconfiggere.

Questo elemento, più di ogni altro, azzera quella noia di cui abbiamo parlato in apertura, e fa sì che la vera bussola non sia la luce della Grazia, ma la sua curiosità del giocatore. Per una volta, quindi, ci troviamo davanti ad un videogame che mette il mondo di gioco al primo posto, senza ruotare attorno alle esigenze del giocatore.

Aggiungiamo a quanto ora detto delle creature dal design ispirato e che sprizzano epicità da ogni poro e capiremo quanto una direzione artistica eccellente ed un level design ispirato come non mai possano farci chiudere un occhio su un comparto tecnico che lascia un po’ a desiderare, sia dal punto di vista meramente prestazionale che da quello della totale assenza di feature legate al DualSense (grilletti adattivi e feedback aptico per niente sfruttati).

Riutilizzo vs riciclo

Lo stealth è una soluzione per chiunque volesse evitare combattimenti non necessari.

Dopo tanti anni, la critica di settore ancora non è riuscita a trovare una linea di demarcazione netta tra il semplice riutilizzo (più o meno giustificabile) di uno o più asset ed il loro riciclo, spesso inteso come accusa infamante. Lungi da noi il voler azzardare una risposta all’annosa questione, ma non possiamo non affermare che, in Elden Ring, si respiri una certa sensazione di “già visto”.

Si prendano ad esempio alcuni dei boss secondari: in alcuni casi, come già sottolineato nei nostri precedenti articoli, si tratta di semplici mob con statistiche migliorate (troll, orsi runici, soldati, ecc.); in altri, si ha quasi l’impressione di trovarsi di fronte a nemici provenienti da altre opere dell’illustre passato FromSoftware, soprattutto nel caso di avversari diventati iconici; in altre situazioni, invece, ci ritroviamo versioni identiche di boss affrontati in altri dungeon, ma con qualche piccolo aggiornamento per differenziarli (abilità, poteri o moveset diversi).

Ora, quanto detto non si limita a qualche boss, ma si estende anche ad altri asset. Per fare giusto qualche esempio: i granchi giganti (direttamente ripresi da Dark Souls III), i cani (che sembrano una versione “ripulita” dei mastini infetti di Bloodborne), il design di alcuni dungeon (che ricordano non poco la struttura di alcuni Chalice Dungeon del già menzionato Bloodborne), determinate animazioni, props, e l’elenco potrebbe ancora dilungarsi.

La domanda sorge spontanea: si tratta di un tributo ai “fratelli maggiori” di Elden Ring oppure siamo davanti ad un vero e proprio riciclo?

Secondo chi vi scrive, la domanda è mal posta, e quello che ci si dovrebbe chiedere sarebbe, piuttosto: quanto la presenza di ciò che abbiamo ora elencato inficia sull’originalità e la spettacolarità del prodotto finale? A questo quesito è possibile dare una risposta precisa: poco o nulla.

Nonostante un amante della prim’ora dei Souls riesca a riconoscere chiaramente la presenza di ciò di cui abbiamo appena parlato, è impossibile definire Elden Ring la copia carbone dei suoi predecessori. Se proprio si volesse formulare un’analisi su queste basi, l’ultimo lavoro dello studio giapponese rappresenta l’insieme di tutto ciò che di buono si era realizzato in precedenza, insieme ad una corposa boccata di aria fresca che qualunque franchise più attempato dovrebbe prendere.

Perché Elden Ring non è un mero prosieguo del suo celebre passato, ma è un titolo che attinge dal meglio di quel passato per poi dirigersi verso orizzonti nuovi e tutti da scoprire, magari illuminati dalla flebile e rassicurante luce della Grazia.

Giudizio finale

Elden Ring è, senza mezzi termini, il lavoro più ambizioso creato dalla mente di Hidetaka Miyazaki, capace di prendere ciò che di meglio il suo studio ha saputo realizzare e gettando le fondamenta per una nuova epopea. Ma che cos’è l’ambizione senza qualcuno con cui poterla condividere? Proprio per questa ragione, FromSoftware ha deciso di rendere il suo nuovo lavoro più accessibile, ma senza far arretrare di un millimetro la formula che l’ha resa celebre. Giocando ad Elden Ring, per intenderci, non morirete di meno, ma il fardello di ogni rinascita sarà meno pesante da sopportare, soprattutto per chi si approccia per la prima volta a titoli del genere.

Esplorare l’Interregno è una delle attività più stimolanti mai viste in un open world, venendo accompagnati dalla sensazione che la sorpresa e la scoperta siano sempre dietro l’angolo e senza lo stress dei tremila marker che contraddistinguono questo genere di videogame.

Come ogni nuovo inizio, Elden Ring non è certo esente da difetti, gli stessi che accompagnarono, a suo tempo, l’uscita del primo Dark Souls; eppure, nessuna lacuna in cui potreste imbattervi arriverà mai ad intaccare l’esperienza complessiva di gioco.

Quello che stupisce maggiormente, ancor di più dell’immensa qualità dell’opera, è la consapevolezza di essere davanti non ad un Dark Souls IV, ma dinnanzi all’incipit di una nuova epopea e, se queste sono le basi, non osiamo immaginare quali vette possano essere toccate in seguito.

This post was published on 23 Febbraio 2022 16:04

Claudio Albero

Nasce a Torre del Greco, una piccola metropoli alle falde del Vesuvio, nei favolosi anni ’80, che già però non avevano più niente di favoloso. Provano ad educarlo con Beatles e musica classica sin dalla più tenera età, ma lui, di tutta risposta, si appassiona all’ heavy metal ed ai videogame , spendendo un piccolo patrimonio in sala giochi, quando queste due parole erano ancora slegate dalle slot machine. Dopo aver mosso i primi passi su Sega Master System II con Alex Kidd, il Super Mario con le orecchie a sventola, si innamora dei platform, degli action/adventure e degli RPG, con particolare attenzione alla saga di Final Fantasy. Inguaribile sognatore con le radici saldamente ancorate nel passato, scopre la sua passione per la scrittura quasi per caso, in uno dei tanti pomeriggi passati tra i corridoi della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, dove si laureerà giusto qualche anno dopo, con una tesi in Diritto d’Autore basata sull’opera multimediale. Dopo aver scritto di attualità e musica su Lacooltura.it , Road TV Italia e Federico TV , approda sui lidi di Player.it , in cui comincia sin da subito ad apprendere e fare domande, guadagnandosi rapidamente il titolo di “ redattore rompiscatole del mese ”. Nonostante sia legatissimo alla grande famiglia di Player, non sono rare alcune sue incursioni su portali come Gameplay Café e Spazio Rock . Musica, videogame, concerti, boardgame, modellismo, fumetti, cinema e serie tv: tanti hobby diversi tra loro, ma collegati da un fil rouge che li unisce tutti: il divertimento . È proprio questo che cerca in un videogame, è proprio questo sentimento che muove le sue dita, ed è sempre il divertimento la sensazione che cerca di infondere nei suoi articoli. Al di fuori del mondo del gaming, indossa giacca e cravatta per mimetizzarsi nel mondo degli avvocati, esercitando la professione forense, con lo scopo di conoscere a fondo le “ regole del gioco ”, nonché di minacciare di far causa a chiunque al minimo pretesto.

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