L’agente Chamberlain è proprio il perfetto esempio di protagonista che spero di non dover mai diventare nella vita: uno che viene lanciato a destra e manca in vari luoghi, tutti piuttosto paurosi, accompagnato da una spada parlante e da un’insaziabile voglia di vomitare piombo.
KINGDOM of the DEAD (che d’ora in poi, in questo articolo, verrà scritto nella maniera corretta senza strane maiuscole che fanno tanto Giappone anni 2000) è il videogioco in cui Mr. Chamberlain si è ritrovato al centro dell’attenzione. Il titolo è uno sparatutto in prima persona a basso budget (che suona molto meglio di indie) realizzato da DIRIGO GAMES e che effettivamente promette molte cose tutte interessanti.
Se c’è una cosa di cui mi piacerebbe parlare rapidamente prima di entrare nel merito della vivisezione/recensione è la potenza del tratto artigianale della matita una volta a schermo. L’elemento di punta della produzione Dirigo è rappresentato da un comparto grafico che si avvicina abbastanza determinati fumetti americani, dove la matita o il carbone la fanno da padrone a livello di tratto.
KotD è un gioco che riesce fortissimamente a riportare a schermo quelle sensazioni, magari senza l’equilibrio di un delicato autore di fumetti ma traslando atmosfere funeree che manco i black sabbath dei primi due dischi; un plauso quindi agli sviluppatori, a chi si è inventato direttore artistico del progetto e a chiunque abbia abbastanza gusto da saper sopravvivere all’assenza di poligoni in 4K.
Partiamo ora con la recensione di Kingdom of the dead.
Presupposto: Kingdom Of The Dead mi è arrivato sotto forma di chiave 3/4 settimane prima della sua uscita e, purtroppo, mi ha regalato un’esperienza con diversi bug.
Da una parte c’erano impostazioni video che si resettavano ad ogni avvio o che addirittura si resettavano da livello in livello, dall’altra un fastidioso bug per il quale mi sono ritrovato con armi dal fuoco incontrollabile, perfette per farmi sprecare munizioni su munizioni senza motivazione alcuna.
Questi bug potrebbero venir risolti nel corso del tempo (specie quello delle armi) ma hanno reso la fruizione del titolo un vero e proprio inferno. Quello riguardante le impostazioni grafiche, nello specifico, è stato un disastro perché mi ha costretto a giocare intere sezioni del gioco in 4K a 15 frames per secondo a causa di una scheda video non esattamente adattissima a tale risoluzione. Il fatto che la scheda claudicasse così anche con un ridotto numero di poligoni a schermo, così su due piedi, mi fa pensare che forse qualche ottimizzazione in più andasse fatta. I requisiti minimi del gioco, infatti, parlano di una 9800GT mentre il gioco è stato fatto girare su una 1060 da 3GB, quindi fa abbastanza ridere come evento.
Ora, bando alle ciance, parliamo due secondi del comparto narrativo.
Come in ogni buon fumetto che si rispetti, come in ogni buon fumetto dal tratto super aggressivo che si rispetti, Kingdom Of the Dead prevede una narrativa ed una storia sussurrate e lasciate immaginare dalle azioni truculente del protagonista.
Protagonista che, come dicevamo in apertura, è rappresentato dall’agente Chamberlain: un ex professore divenuto poi un generale all’interno di un programma segreto del governo. Tale progetto, noto con il nome di GATEKEEPER, ha uno scopo ben preciso: sconfiggere la morte e le sue armate che sono comparse per colpa di particolari varchi in diversi punti dell’America.
Dal punto di vista dell’ambientazione, per quanto manchino monumenti di riferimento, è difficile non pensare ad una rappresentazione fumettosa ed oscurissima dell’America di Red Dead Redemption 2. Il tramonto della storia dei pionieri si riflette in particolar modo sul design delle armi che pescano a piene mani dal mondo del western, offrendo revolver, fucili a canne mozze, dinamite e gatling gun che non sfigurerebbero in un qualche horror western di serie B.
Partendo dallo studio di Chamberlain il giocatore avrà la possibilità di scegliere il suo compito da un faldone. Tutte le missioni del gioco saranno ambientate all’interno di 8 diversi livelli: nota di merito va fatta agli sviluppatori per aver scelto di mettere in piedi un sistema di difficoltà progressivo che, oltre a potenziare i nemici per statistiche e numeri, li inserisce all’interno di contesti più difficili.
Facciamo un esempio pratico che si capisce meglio: la prima missione del gioco è ambientata in una villa. Al livello “facile” il giocatore dovrà semplicemente esplorare la villa da cima a fondo alla ricerca del teschio di cristallo che regola l’apertura del varco con il mondo dei morti, a livello normale dovrà fare la stessa cosa avendo la cura di completare un’altra cosa e stando attento a nemici ancora più difficili e agguerriti; a livello “difficile” oltre a dover fare tutte le cose di cui sopra il giocatore si dovrà assicurare di far sì che nessun civile tiri le cuoia durante la missione.
Ok, ripetete questo per tutti gli 8 livelli del gioco e la magia è presto detta: ci sono praticamente 27 missioni diverse all’interno, una situazione magari non variegata ma che riporta alla mente certi esperimenti anni 90.
Questa scelta degli sviluppatori, fortunatamente, ha anche un interessante lato positivo: all’aumentare della difficoltà e delle cose da fare il giocatore deve adattarsi sviluppando nuove strategie e nuovi sistemi per poter proseguire. In questo caso parliamo di giocare in maniera più conservativa, fare economia di munizioni, sfruttare l’ambiente per raggruppare i nemici ed abbatterli tutti insieme con una granata. Buon level design anni 90/2000, niente di rivoluzionario; vi possiamo assicurare che comunque il titolo rimane per gran parte divertente.
Alcuni livelli sono particolarmente interessanti: quello del Treno, ad esempio, è un livello estremamente ben realizzato che sfrutta uno stereotipo ultra abusato nel mondo western per rovesciarlo secondo le idee tipiche del terrore lovecraftiano. Anche la villa, il livello iniziale, gode di un ottimo level design a più strati che lascia molto spazio di manovra al giocatore. Ogni livello, in sostanza, merita almeno di essere completato a livello di difficoltà facile per quanto ci riguarda.
Kingdom Of The Dead basa il suo gameplay su un’idea piuttosto classica di sparatutto, proponendo una ventina di nemici diversi contro un giocatore e 8 armi. Anche qua niente di realmente trascendentale o rivoluzionario: abbiamo revolver, fucili, carabine, dinamite, una spada parlante e poco altro. I nemici per quanto visivamente affascinanti non hanno pattern d’attacco molto originali e anzi, a volte risultano sbilanciati per livello di difficoltà rivelandosi vere e proprie spugne per i nostri colpi.
Quello che però ci ha fatto maggiormente storcere il naso è il boss design: non tanto dal punto di vista visivo, sia chiaro, quanto dal punto di vista ludico. Le bossfight che abbiamo avuto l’occasione di affrontare si sono rivelate interessanti per concept ma pessime per direzione per una motivazione specifica: non c’è spazio per l’errore.
Parliamoci chiaro: giocando a livello facile dovrebbe essere normale poter sbagliare, anche contro una creatura mastodontica come un boss. D’altronde il nostro personaggio ha anche un contatore di punti salute, punti che possono essere aumentati esplorando i livelli! Che senso ha dare ai boss soltanto attacchi in grado di uccidere in un colpo solo?
Una scelta anticlimatica che costringe il giocatore ad un’unica strategia: strafe circolare mentre si spara con l’arma più potente che si ha al punto debole (solitamente ben in vista) nella speranza che le munizioni non finiscano. Un gran peccato se consideriamo che, almeno per quanto riguarda con i mob normali, c’è spazio per un po’ di strategia spicciola visto che un colpo o due si possono incassare mentre si sperimenta. La scelta di dotare i boss di attacchi one shot in sostanza suggerisce al giocatore quanto sia stata inutile tutta l’esplorazione fatta prima visto che, all’atto pratico, non c’è possibilità di fare errore alcuno.
Altra cosa che ci ha fatto storcere il naso: l‘equalizzazione del suono. Per motivazione a noi ignote i suoni sono equalizzati in maniera stocastica: vi consigliamo di ABBASSARE DI MOLTO IL VOLUME specie se ci sono nemici volanti nel livello perché il rischio di infarto è molto elevato; il woo ninja di Sekiro al confronto sussurra.
Gran peccato perché la colonna sonora è risultata più che gradevole, in bilico tra dungeon synth e qualche altro strano tipo di elettronica mutuata dagli stilemi sonori degli anni ottanta e novanta videoludici. Altre due paroline le possiamo spendere per quanto riguarda il comparto tecnico, gradevolissimo e praticamente carry della situazione vista la sua capacità di generare atmosfera come se niente fosse; unico appunto: se si gioca con la modalità colore normale (dalle opzioni è possibile usare dei preset per gestire i chiaroscuri) c’è un rischio molto elevato di non vedere molto di quello che succede a schermo perché è tutto semplicemente troppo scuro. La totale assenza di uno slider dedicato alla luminosità, in sostanza, non aiuta.
KINGDOM of the DEAD è un’interessante esperimento videoludico dove gli sviluppatori hanno mischiato (con qualche scelta infelice) un gameplay divertente ad un comparto tecnico molto interessante (ma anche lui vagamente infelice). Qualche stortura c’è, nel gameplay, nel sonoro, nella tecnica e nel gioco in sé ma alla fine dei conti resta un titolo interessante da provare per chi è interessato a tutto quel mondo di sparatutto in prima persona dall’animo retrò. L’importante è sapere che non si sta andando incontro ad un capolavoro ma più ad una flexata artistica di grande gusto e (a volte) modesto divertimento.
This post was published on 10 Febbraio 2022 18:00
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