Un inizio col botto! Nel vero senso della parola! Queste parole racchiudono le fasi iniziali di Call of Duty Vanguard, ultima fatica targata Sledgehammer Games e pubblicata, come al solito, da Activision.
Amburgo, 1945, nessuno – a parte il giocatore – sa che la guerra sta per volgere al termine.
Un treno sfreccia tra le rotaie della città in fiamme con a bordo un manipolo di soldati scelti per portare a compimento un’unica missione: raccogliere informazioni ed impossessarsi del progetto Phoenix.
La Task Force 1 si trova così a dover respingere decine di soldati nazisti, saltando da una carrozza all’altra fino all’arrivo in una base sottomarina dove, con tutta probabilità è nascosto l’oggetto del desiderio dell’esercito alleato.
Un’apertura degna di nota con un taglio cinematografico di tutto rispetto, per un gioco che non nasconde la sua ambizione di voler assomigliare ad un Blockbuster Bellico (cosa che si nota in tutte le cutscene).
Come tutti i migliori action movie, però, i colpi di scena non mancano e così la squadra viene catturata dagli uomini del terribile Hermann Friesinger, capo degli interrogatori della Gestapo, ed incarcerati in attesa di essere interrogati da Jannick Richter.
Da qui si dipanano tutte le storie parallele che hanno portato i membri della Task Force 1 ad essere scelti per questa missione di vitale importanza, e che convergono in quella che si potrebbe raccontare come una rivisitazione del fu “Bastardi Senza Gloria” di Quentin Tarantino. Peccato che, a differenza del capolavoro cinematografico, il tutto si risolva in una serie di scontri a fuoco piuttosto monotoni con pochi punti davvero memorabili.
Ogni storia che si rispetti spesso e volentieri è, nel bene o nel male, indirizzata verso i giusti canoni dalle controparti dei suoi protagonisti. Ne abbiamo avuto un esempio in Far Cry 6 – in cui Giancarlo Esposito interpreta magistralmente El Presidente Antòn Castillo – e Call of Duty Vanguard non è da meno: senza i personaggi di Hermann Friesinger – interpretato da Dan Donohue, già doppiatore di Zakhaev in Black Ops Cold War – e Jannick Friesinger – Dominic Monaghan, il “piccolo” Merry della Trilogia del Signore degli Anelli – tutto avrebbe meno senso. Il primo vanta una presenza scenica agghiacciante, quasi egocentrica, che racchiude e rappresenta alla perfezione il vero spirito nazista del periodo di guerra. Il secondo, invece, nonostante la più bassa statura è rappresentato come un individuo subdolo, da cui ci si aspetta sempre una pugnalata alle spalle a tradimento.
È grazie a queste due figure che il nuovo capitolo dello sparatutto più famoso del globo riesce a dare il meglio di se, nelle cutscene così come nelle sequenze in-game.
La prima unità di forze speciali della storia, l’Avanguardia, è composta da quattro operatori d’élite di paesi alleati: Gran Bretagna, Australia, Stati Uniti ed Unione Sovietica. Tutti ben interpretati, forse solo poco caratterizzati. Arthur Kingsley – voce narrante del gioco – rappresenta il classico e stoico leader Britannico, l’Australiano Riggs è lo stereotipo dell’anticonformismo degli anni ’40 ed ha passato più giorni al fresco che sul campo di battaglia, Wade Jackson preme sull’acceleratore e porta con se tutta la sbruffonagine Americana e per finire Polina Petrova, interpretata da Laura Bailey, offre di gran lunga il personaggio più convincente dell’intera vicenda e non c’è da stupirsi che sia al centro dei momenti migliori di Vanguard.
La trama di Call of Duty Vanguard si dipana su 9 missioni e si sviluppa in modo asincrono. In soldoni la storia “effettiva” del gioco dura circa 2 ore, e cioè il tempo che la Task Force 1 passa nelle celle del Reich tra un interrogatorio e l’altro; tutto il resto del gameplay è rappresentato da Flashback incentrati sui membri della squadra d’élite e che “dovrebbero” spiegare a fondo le loro personalità ed aiutare il giocatore a capire meglio le ragioni che li hanno portati ad accettare la missione di Amburgo.
Pur permettendoci di visitare numerose località importanti dal punto di vista storico, come El Alamein, Stalingrado, Bouganville, questi “throwback” rompono quella che poteva essere una progressione sincrona e galoppante per catapultare il giocatore su nuove mappe sempre con lo stesso, monotono, scopo: seguire la linea tracciata ed arrivare alla fine uccidendo nazisti.
Le missioni che danno quel quid in più sono quelle con protagonista la cecchina Polina, perché restituiscono le vere emozioni della Seconda Guerra Mondiale ed aggiungono quel tocco di Assassin’s Creed che non guasta mai.
Ambientate durante la battaglia di Stalingrado, le due escursioni in solitaria della tiratrice Polina Petrova ci permettono di assaporare brevemente anche la vita familiare Russa prima dell’invasione Tedesca. Forse è proprio questo il motivo per cui si riesce a familiarizzare maggiormente con lei: ci viene mostrato tutto il suo amore per la famiglia e come il Terzo Reich abbia calpestato e rovinato tutto.
Queste sezioni di gameplay mostrano anche le parti migliori di Vanguard con una grande enfasi posta sulla mobilità del personaggio: come ogni tiratore che si rispetti, anche Polina deve trovare il punto giusto da cui sparare ed avere un vantaggio tattico sul nemico; ecco che, quindi, ci viene offerta la possibilità di muoverci verticalmente lungo le macerie di una Stalingrado devastata dalle bombe semplicemente arrampicandoci su certi muri ed infilandoci in stretti cunicoli, per poi finire in maniera silenziosa quel soldato Tedesco rimasto a guardia della porta, proprio come faceva il buon Ezio Auditore.
Ognuno dei quattro protagonisti ha i propri vantaggi, come Arthur Kingsley che può impartire ordini ai propri compagni per dispiegare meglio le forze offensive sul campo di battaglia, o Wade Jackson che è in grado di evidenziare i nemici davanti a lui ed attivare una sorta di Bullet-Time per finirli in stile Max Payne. Purtroppo nessuno degli altri membri della Task Force 1 riesce a catalizzare il gameplay su di sè come Polina che, in pieno trend cinematografico, a mio parere meriterebbe il suo Spin-Off personale.
Analizzando l’elenco delle missioni nella sua interezza, ci troviamo davanti ad un comparto in ogni caso piuttosto solido. La progressione asincrona non aiuta – sia chiaro, opinione personalissima – ma ci sono un paio di punti salienti come il combattimento aereo durante la battaglia di Midway e la “origin story” di Arthur Kingsley ambientata il giorno prima del D-Day durante l’operazione Tonga che non solo sono visivamente degne di nota ma, soprattutto la seconda, rendono omaggio sia al cinema di guerra che alla storia di Call of Duty: Tonga gioca infatti un ruolo chiave nel gioco originale della serie del 2003.
Tutto sommato, come scrivevo poco più su, non c’è una grande varietà nel design delle missioni – soprattutto se viene fatto un paragone con i due precedenti capitoli: Modern Warfare e Black Ops.
La durata della campagna principale non è d’aiuto; vi ritroverete per gran parte delle circa 6 ore necessarie per arrivare ai titoli di coda, a correre da un lato all’altro del campo di battaglia cercando di far battere in ritirata i nemici, senza se e senza ma.
Call of Duty Vanguard offre delle opportunità delle quali, purtroppo, non si è approfittato come ad esempio i veicoli sui quali non si sale mai e dico mai o della armi “speciali” da utilizzare una tantum per sbarazzarsi di ondate di nemici in arrivo. È sbalorditivo che si possa giocare una intera missione come uno dei Desert Rats durante la battaglia di El Alamein (una delle più famose battaglie tra carri della Grande Guerra) senza mai montare su un cingolato.
Detto questo, il gunplay del nuovo Call of Duty è di un grado molto alto e frizzante, come ci si aspetterebbe da un nuovo capitolo della saga. Si viene guidati attraverso i livelli con enfasi e con l’intenzione di vincere la guerra. Le armi, anche grazie al supporto al DualSense, offrono un rinculo differente le une dalle altre e tutti i “suoni di guerra” sono fedelmente riportati: dai proiettili che sfrecciano alle esplosioni nelle vicinanze.
Buono il doppiaggio in Italiano, sempre puntuale e che restituisce una buona dose di fedeltà emotiva durante le cutscene, anche se qualche volta mi è capitato che, inspiegabilmente, il parlato dei miei compagni si sentisse ovattato, come lontano durante le fasi di “esplorazione” della mappa.
Vanguard è altrettanto impressionante dal punto di vista visivo: che si tratti di El Alamein, delle Isole Salomone o dei lampi delle granate e mortai che illuminano le sagome dei nemici nella nebbia notturna in Normandia, le animazioni facciali sono a dir poco perfette, a confermare le impressioni sulla direzione cinematografica intrapresa da Activision. Attualmente pochi giochi sono in grado di competere con Call of Duty quando si tratta di cutscenes.
Ho dedicato un paio di giorni durante il periodo di prova del gioco solo al multiplayer e ammetto di essere felice di averlo fatto. Per carità, mi diverto con gli amici da anni su Call of Duty proprio perché gioco in compagnia, quindi non definirei necessariamente questo nuovo capitolo un punto eccelso rispetto al passato, piuttosto lo potrei descrivere come poco ambizioso: Vanguard fa bene quello che fa, ma non aggiunge nulla di nuovo rispetto a Modern Warfare e Black Ops Cold War.
Eppure diverte.
Sarebbe stato piacevole vedere una formula collaudata ed ormai “Standard” venir scossa almeno un pò, ma Vanguard è molto lineare come i suoi predecessori: gioca, sali di livello per sbloccare le armi, utilizzale per sbloccare accessori, fai le sfide per sbloccare le skin. Fine.
Ciò che rende Vanguard quasi speciale, nonché divertente e variegato sono le sue mappe. Cavolo, questa potrebbe essere la miglior selezione di mappe al lancio in tempi recendi per Call of Duty.
Avete presente quella sensazione durante il caricamento di una mappa che vi porta a dire “oh no, per favore non questa“? Beh, fino ad ora non mi è mai capitato di dirlo: certo ci sono mappe che possono piacere di più – come ad esempio le ambientazioni Numa Numa e Demyansk – e mappe che possono piacere di meno, ma nessuna si fa letteralmente odiare.
Le dimensioni ed il layout di ogni mappa sono così ben strutturate da far si che si debba ripensare l’approccio al game ad ogni nuova partita e questo aiuta a scacciare la monotonia. I nascondigli “segreti” sparsi per le mappe poi sono una grande aggiunta. E qui mi rivolgo a tutti i cosiddetti “camper”: so già che avete accumulato uccisioni a bizzeffe tra le palme piegate di Numa Numa.
Venendo al sodo, oltre alle “classiche” modalità tipiche della serie – quindi deathmatch a squadre, dominio, uccisione confermata, cerca e distruggi… – l’aggiunta di questo capitolo è sicuramente la modalità Collina dei Campioni (che aveva ben figurato durante l’evento di presentazione di Activision e durante l’Alpha del gioco): una sorta di Royal Rumble ad 8 squadre composte da due o tre giocatori. Una partita giocata in questa modalità con altri due amici al seguito è qualcosa di eccezionale, ve lo assicuro.
La modalità Multiplayer di Call of Duty Vanguard mi ha divertito, soprattutto quando ho giocato la modalità Collina dei Campioni con amici di vecchia data. Come al solito il gunplay è di prim’ordine e tutte le mappe sono veloci, divertenti e varie nel layout e nel modo in cui vanno affrontate. E qui la bacchettata sulle mani ad Activision: non è stato fatto nulla di eclatante o di davvero “wow”, si è preferito lasciare una formula perfettamente affinata ed affidabile che anche se non aggiunge nulla rispetto ai capitoli precedenti risulta in ogni caso divertente finché, finite le prime due stagioni, buona parte dei giocatori abbandona i server. Parola d’ordine per il prossimo capitolo: osare!
Sin dalla sua prima apparizione in Call of Duty World at War (datato 2008, mannaggia alla vecchiaia) la modalità Zombie è una delle più giocate ed entusiasmanti di ogni CoD che la implementi. Vanguard non fa eccezione e ridona nuova linfa vitale ad uno dei fiori all’occhiello della IP Activision.
Le basi di partenza sono sempre le stesse, e sono solide: una squadra composta da 4 operatori è (tele)trasportata in un infernale universo alternativo fatto di cieli rossi, talismani maledetti e divinità, lontanissimo dal solido realismo del gioco principale, che permette a Call of Duty di estendersi più verso giochi come Doom che verso la vera realtà bellica tra ondate gore di non morti pronti a mordere e divorare gli sfortunati protagonisti dell’incubo. Unico obiettivo: la sopravvivenza.
Molto marginale – perché si, alla fine giochiamo la modalità Zombie per il puro divertimento di sparare ai nazizombies – anche un pò di melodramma: i tedeschi si sono spinti un pò troppo oltre nella loro ossessione per l’occulto ed hanno scatenato una gigantesca catastrofe nelle rovine di Stalingrado e tramite registri audio si possono scoprire tutti i segreti dietro il progetto di rinascita dell’uomo.
La novità di quest’anno è l’elemento casualità aggiunto ad ogni run.
Non sarà più sufficiente coordinarsi con gli amici e tener d’occhio finestre e porte fino all’ultima ondata nemica, bensì a colpi di abilità speciali – come una devastante mina energetica, un campo di invisibilità, un buff di danno per tutto il gruppo ed un vortice che rallenta i nemici – portali e totem divini, i giocatori potranno espandere il loro arsenale ed elevare a nuovi punti il gameplay di ogni partita.
Ho amato anche l’introduzione dei portali nella mappa, ognuno dei quali trasporta il gruppo in nuove aree di gioco con obiettivi differenti come resistere ad un certo numero di ondate o uccidere non morti fino ad accumulare un numero preciso di cuori da sacrificare ad un altare in cambio del ritorno a Stalingrado.
Sono presenti, come da tradizione, anche le classiche casse di armi che permettono di acquistarne di nuove o potenziare quelle a disposizione in cambio di valuta in-game guadagnata con le kill, mentre tra i nemici trovano spazio i sempreverdi zombie standard, quelli esplosivi e quelli corazzati che compaiono nelle fasi più avanzate e concitate della battaglia.
Il risultato finale è un ensemble di elementi classici di call of duty uniti a delle meccaniche à la Roguelite, e che rappresenta il giusto grado di sfida per la maggior parte dei giocatori del globo.
Ci saranno occasioni in cui si potrà andare a fucili spianati e far piazza pulita di ogni nemico ed altre, invece, in cui sarà necessario prendere decisioni di fretta, rianimare i propri compagni e coprirsi le spalle a vicenda durante le fasi di ricarica dell’arma.
Il tutto mentre si è braccati da decine e decine di zombie nazisti: elemento che non guasta mai.
Call of Duty Vanguard ripensa la modalità Zombie come uno sparatutto cooperativo basato sulla frenesia ed ispirato ai roguelike. Con materiali da raccogliere, un hub da sviluppare e la spada di damocle che tutto questo possa essere cancellato da un attacco alle spalle non visto da un compagno d’arme. La promessa è che nel corso del tempo vengano aggiunte nuove modalità altre a quelle presenti al lancio del gioco, staremo a vedere se effettivamente i nonmorti torneranno a vivere.
Con un taglio cinematografico di prim’ordine per le cutscene ed un gameplay classico e senza picchi di livello, Call of Duty Vanguard è un titolo insidioso da recensire. Una rappresentazione impressionante della Seconda Guerra Mondiale con una storia parallela ed un cast di personaggi azzeccati, ma poco caratterizzati, poteva e doveva essere sfruttata meglio. A parte alcuni momenti di spicco, durante le 6 ore la campagna naviga in acque sicure senza osare e senza puntare ad essere un nuovo picco per la serie FPS di Activision.
Vanguard risplende di luce propria nelle sezioni dedicate a Polina Petrova, ridefinendo e distinguendo il suo gameplay da quello delle solite, tante, battaglie affrontate fino ad ora e la speranza è che si sia scelto di intraprendere una nuova direzione nel campo dello shooting, sfruttando la verticalità delle mappe e l’emotività dei protagonisti.
Multiplayer e Zombie sono delle gradite aggiunte all’offerta di Activision e che, se migliorate a dovere, potranno con tutta probabilità catalizzare l’attenzione dei videogiocatori, assicurando la “solita” longevità tipica dei Call of Duty.
This post was published on 16 Novembre 2021 12:19
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