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Recensioni

Death Stranding Director’s Cut | Recensione (PS5) | Ritorno nella post apocalisse

O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ‘l velame delli versi strani.

Con appena diciannove parole, il Sommo Poeta dava vita ad una delle terzine più misteriose della Divina Commedia. Nel corso degli anni, i più grandi dantisti hanno profuso fiumi d’inchiostro sull’interpretazione di questi tre endecasillabi; tuttavia, ciò su cui tutti gli studiosi convergevano è che questi versi fossero rivolti ai lettori: coloro che sono dotati di una mente sana e non ottenebrata, saranno chiamati a scorgere il messaggio che si nasconde dietro parole all’apparenza incomprensibili.

In una visione moderna, meno “somma” e più attuale, potremmo scorgere un monito in queste parole, un insegnamento da parte di una delle più grandi personalità della letteratura: il compito di una mente che si definisca pensante è quello di cogliere il significato delle allegorie e delle metafore più ermetiche, squarciando così quel velo che lo separa dalla virtute e dalla canoscenza.

È molto frequente imbattersi in opere in cui l’autore ha infuso una sua personale visione, celandola dietro un “diaframma artistico” e destinandola solo a coloro che sono disposti ad andare oltre le apparenze.

Anche al videogame, vero medium dell’epoca moderna, capita di diventare un contenitore, un mezzo con cui il suo creatore decide di veicolare un messaggio più o meno nascosto; tuttavia, in un’industria che bada (e come darle torto?) anche ai profitti, spesso una scelta artistica di questo tipo (quando non viene cestinata a priori dal produttore di turno) si trasforma in un vero e proprio atto di fede, con cui l’autore spera che la sua creatura si imbatta nel più alto numero di “intelletti sani”.

Death Stranding è forse il più fulgido esempio di quegli atti di fede appena menzionati. Sin dalla sua release, era chiaro che il titolo avrebbe fatto parlare di sé a lungo e, se circa due anni dopo siamo qui a scriverne una “nuova recensione”, possiamo dire di non esserci sbagliati.

L’uscita di questa Director’s Cut ha dato nuova linfa ad un dibattito mai realmente sopito, tra coloro che sono rimasti affascinati dall’universo narrativo creato da Hideo Kojima e chi, invece, ne ha detestato la formula ludica.

Come sicuramente saprete, il nostro portale già dispone di una recensione di Death Stranding (ad opera dell’irreprensibile Amerigo, e reperibile qui) e la versione qui in esame, al di là di un nome un po’ hipster e radical chic, è una remastered per PS5 con qualche piccola aggiunta.
E allora perché tornare nuovamente su questi lidi? Perché imbastire una nuova recensione se il gioco, fondamentalmente, è lo stesso di due anni fa?

Potrei rispondervi dicendo che è sempre un piacere riassaporare i capolavori, ma mentirei. La ragione per cui sono (e siamo) qui a parlare ancora di Death Stranding è per cercare di rispondere ad una domanda: che cosa è cambiato in questi due anni?

Che siate alla vostra prima esperienza col gioco o meno, tenete a mente questo semplice quesito, perché ci accompagnerà nell’arco di tutta la recensione.

Dove eravamo rimasti?

Ti aspetterò sulla Spiaggia.

In un futuro non si sa quanto lontano, il mondo per come lo conosciamo non esiste più. Un misterioso evento denominato Death Stranding ha infatti annichilito la gran parte dell’umanità, costringendo i sopravvissuti a vivere asserragliati all’interno di città-bunker, isolandosi da tutto ciò che c’è all’esterno.

Ma non è tutto: il Death Stranding ha causato la comparsa di un evento atmosferico chiamato Cronopioggia, capace di accelerare lo scorrere del tempo e consumare, in pochi istanti, pressoché qualsiasi forma di vita. Come se quanto finora descritto non fosse sufficiente, il più grande pericolo per ciò che rimane del genere umano è rappresentato dalle Creature Arenate, meglio note col nome di CA; si tratta di spettri antropomorfi, invisibili ad occhio nudo e animati da un solo scopo: ghermire l’uomo e tentare di ricongiungervisi, generando enormi esplosioni qualora dovessero riuscire nell’intento.

Il protagonista della nostra storia è forse la persona più improbabile che si possa immaginare, ma solo all’apparenza; il suo nome è Sam Porter Bridges e svolge uno dei mestieri chiave di questo nuovo mondo: il corriere. Ebbene si, Sam passa le sue giornate a consegnare pacchi di vario genere e, grazie ad una sua abilità innata, finora è sempre riuscito ad evitare di cadere vittima delle CA. Tuttavia, un giorno gli arriva una richiesta decisamente strana; la presidente di ciò che rimane degli U.S.A. gli chiede, in fin di vita, di realizzare il suo sogno: connettere tutte le città degli Stati Uniti e, di fatto, unificare nuovamente l’America.

Va da sé che il compito chiederà a Sam di compiere il più lungo dei suoi viaggi, partendo dalla Costa Ovest per giungere a Edge Knot City, situata sul Pacifico. La sua traversata sarà irta di pericoli, costituiti dalle CA, dai Muli (ex corrieri senza più uno scopo e portati alla follia) e dagli Homo Demens, una misteriosa frangia terrorista il cui fine ultimo sembra la totale estinzione del genere umano.

L’unico compagno di viaggio del nostro eroe sarà BB, un neonato di 28 settimane situato all’interno di una capsula che, una volta collegata ad uno scanner, sarà in grado di rivelare la specifica posizione delle CA attorno a noi. Sam ancora non lo sa, ma il rapporto con quello che dovrebbe essere solo un pezzo del suo equipaggiamento lo cambierà profondamente, arrivando a mettere in discussione le sue convinzioni e spingendolo a prendere coscienza della sua identità e del suo ruolo.

Qualche piccola nota aggiuntiva

L’importanza di una consegna ben eseguita.

Se analizzassimo l’aspetto narrativo di Death Stranding, potremmo subito dedurre che questo sia stato l’aspetto meno toccato dalla Director’s Cut. Nel famigerato primo trailer di questa nuova versione del gioco, era infatti possibile notare delle missioni aggiuntive che, presumibilmente, avrebbero aggiunto nuovi pezzi di trama ad un quadro complessivo che, occorre ricordarlo, non presentava alcun tipo di lacuna.

Le summenzionate quest iniziano a sbloccarsi relativamente presto, ed effettivamente introducono nuovi ambienti, nuove tipologie di nemici e, soprattutto, svelano ulteriori dettagli su alcuni personaggi chiave della vicenda. È bene però affermare che non si tratta di un’aggiunta che, singolarmente, vale il prezzo del (nuovo) biglietto, soprattutto per chi, come me, ha già ampiamente portato a termine l’avventura di Sam su Playstation 4.

Tuttavia, è proprio su questo punto che si può registrare il primo, grande cambiamento che riguarda Death Stranding: la trama di gioco è rimasta intatta, ma siamo noi ad essere irrimediabilmente cambiati. Chi vi scrive ha deciso di rivivere l’avventura di Sam dall’inizio, ignorando la possibilità di importare il salvataggio da PS4 e cercando di capire quanto il “tocco di Kojima” si fosse preservato.

Ebbene, due anni fa ero rimasto colpito dall’ambientazione sci-fi post apocalittica messa in piedi dal creativo giapponese, ma oggi è impossibile non vederla come un’enorme allegoria di ciò che è capitato a tutti noi.

Death Stranding è una storia di legami spezzati, di una fine a cui deve corrispondere un nuovo inizio, di tanti esseri umani che cercano di riprendersi ciò che un tempo era conosciuto come “normalità”.

Se tutto questo, nel 2019, era visto come la visione di uno degli ultimi, grandi creativi dell’arte videoludica, oggi, nel 2021, non possiamo non immedesimarci nella storia di Sam e delle UCA, riuscendo a comprendere perfettamente l’incubo dell’isolamento, della paura, della desolazione e di quell’assordante, immobile silenzio in cui tutto sembra immerso. No, non siamo diventati più sensibili o più empatici: questa, fino a qualche mese fa, è semplicemente stata la nostra vita.

Piacere, mi chiamo Sam e consegno pacchi

In viaggio verso Edge Knot City.

Piaccia o non piaccia, la formula creata da Kojima fu rivoluzionaria due anni fa, e lo rimane tutt’oggi. Spieghiamoci meglio: in buona sostanza, tutto ciò che dovremo fare è portare un determinato oggetto (o più di uno) da un punto A ad un punto B della mappa, dovendo fare i conti con ostacoli di vario genere. Che si tratti di un accampamento dei Muli, di una zona ad alta concentrazione di CA o di un semplice terreno accidentato, spetterà a noi identificare il percorso migliore da imboccare, ricorrendo all’equipaggiamento che sbloccheremo con il proseguimento del nostro viaggio a Occidente.

In ogni caso, i più grandi avversari della nostra traversata rimarremo sempre noi stessi. Una corsa su un terreno particolarmente scosceso, un’errata distribuzione del carico, l’ennesima consegna effettuata senza essersi prima riposati e, quindi, con poco vigore: tutto questo potrà portarci al fallimento a cui, però, non corrisponde il classico “Game Over“. Sotto questo aspetto, Death Stranding rappresentò uno dei primi titoli a svuotare questo momento della sua immancabile carica punitiva, facendolo coincidere con un nuovo inizio e rendendolo parte integrante, se non essenziale, del nostro percorso.

Detto chiaramente, nella versione del 2019, il livello di difficoltà Standard era piuttosto permissivo e, al di fuori di alcune boss fight, credo di essere “riemerso” complessivamente non più di una o due volte.

La vera grandezza del gameplay di Death Stranding consisteva nello spingere il giocatore a muovere con cura ogni singolo passo, equipaggiandosi in maniera saggia e “leggera”, scegliendo se e quando combattere e, soprattutto, collaborando con tanti, tantissimi altri corrieri.

In un mondo in cui multiplayer online è quasi sempre sinonimo di competizione, Kojima-san aveva plasmato un modello di “aiuti asincroni”, in cui una qualsiasi attrezzatura poteva essere tanto smantellata quanto lasciata sul posto, per tendere una mano a tutti coloro che sarebbero venuti dopo, che avrebbero potuto addirittura potenziare le nostre creazioni.

Che si trattasse di una scala, di una centrale energetica, di una funivia, di un’autostrada o di un semplice sentiero battuto, tutto questo avrebbe reso la vita più semplice a tanti altri Sam Porter Bridges, alleviando parte della loro fatica.

Ed è forse proprio perché l’intera esperienza di gioco ruota attorno al concetto di “fatica” che molti fan, dopo essersi imbattuti nel trailer della Director’s Cut, si erano non poco preoccupati.

Di catapulte, ponti, compagni robotici, jetpack e altre diavolerie

Una delle prime aggiunte delle nuova versione del gioco.

Le aggiunte più corpose di questa Director’s Cut riguardano proprio il gameplay, ma procediamo con ordine.

Una delle prime novità riguarda il Poligono di Tiro, ovvero una struttura aggiuntiva presente in ogni città che, come il nome suggerisce, ci permette di fare pratica con ogni arma. Sempre ai fini di ottenere la massima padronanza del nostro arsenale, ci vengono sottoposte delle vere e proprie missioni, in cui dovremo abbattere una serie di bersagli, in una determinata area, in un tempo limitato. Se quanto ora descritto, ad un primo impatto, può rievocare le mai dimenticate VR Mission di Metal Gear Solid, sappiate che nulla di ciò che vedrete ha quella profondità, ma riesce ad aggiungere un pizzico di competitività al multiplayer di Death Stranding, consentendoci di accedere ai record dei giocatori più esperti. Le meccaniche stealth, vitali in alcune di queste missioni, rimangono però basilari, nulla di paragonabile ad “altre opere”.

Sempre sotto questo aspetto va considerato il circuito automobilistico. Potremo sbloccare questa nuova area nel corso del Capitolo 3 e, ancora una volta, potremo avere accesso ad uno dei veri e propri “svaghi post apocalittici” del gioco. Anche in questo caso, il gioco sterza verso la competizione, spingendoci a realizzare i tempi migliori e premiandoci con un nuovo veicolo. Probabilmente la presenza di un luogo del genere potrà stonare in un contesto come quello di Death Stranding, ma Kojima non è nuovo a questo genere di “sorprese”, che spezzano un clima altrimenti eccessivamente pesante. Detto questo, però, il sistema di guida è e rimane estremamente basilare, facendoci vedere il circuito esattamente per quello che è: una divertente variazione sul tema.

Il nuovo livello di difficoltà rappresenta una nuova ed appagante sfida per i giocatori più esigenti, ma è ora arrivato il momento di esaminare i nuovi gadget su cui il buon Sam potrà contare, ed è bene specificare subito una cosa: nessuno di questi andrà a facilitarvi la vita. Ma facciamo un paio di esempi.

Queste missioni di esercitazione aggiungono un pizzico di competizione al gioco.

La moto con carrello montacarichi è decisamente un validissimo mezzo di trasporto, ma basterà una manovra errata per danneggiare il vostro carico e, di conseguenza, compromettere la valutazione finale. Il ponte chirale è una soluzione low cost per le nostre traversate, ma sarà inutilizzabile in caso di Cronopioggia. La catapulta, invece, vi consentirà di lanciare i pacchi all’interno di una capsula, paracadutandoli nell’area desiderata; se, da una parte, questa mossa vi consentirà di affrontare alcune minacce con il cuore più leggero, dall’altra invece scoprirete che le catapulte assorbono una bella fetta di banda chirale e, quindi, vi impediranno di costruire altre strutture.

Se la rampa di salto è forse l’aggiunta più inutile (e spettacolare) del lotto, l’assistente robot è invece una bella novità; questi compagni robotici ci accompagneranno nelle nostre avventure, alleggerendoci il carico o addirittura trasportandoci sul loro dorso (il che però andrà a compromettere la valutazione finale) ma, come facilmente prevedibile, ci sono delle limitazioni: potremo costruirne solo uno per mappa e, inoltre, il bot potrà muoversi solo nelle zone coperte dalla rete chirale, obbligandoci, ancora di più, a metterci alla ricerca di tutti i Prepper. Lo stesso jetpack, vero e proprio “pomo della discordia” dei fan del gioco, viene sbloccato in un momento talmente avanzato da non consentire alcuna facilitazione effettiva.

Per farla breve, in che cosa è cambiato il gameplay di Death Stranding? In un maggior numero di frecce a disposizione del nostro arco, ma badate bene: nessuna di queste vi spianerà la strada per la vittoria finale. Il viaggio che siete chiamati a compiere è lungo, e spetta solo a voi compierlo.

Tra videogame e cinema

Il cast di Death Stranding rimane un unicum nel panorama videoludico.

Se potessero darmi un euro per tutte le volte che ho sentito menzionare (spesso a sproposito) questo accostamento, ora probabilmente sarei intento a scrivere questa recensione direttamente dalla cabina del mio panfilo. Scherzi a parte, è risaputo quanto la linea di demarcazione tra i due media sia oramai sempre più sottile, ed è altrettanto risaputo che Hideo Kojima sia stato il creativo che, più di qualsiasi altro, ha introdotto un certo taglio cinematografico nelle sue opere. Nel 2021, a quasi due anni di distanza dalla sua release, possiamo affermare con certezza che Death Stranding è il titolo che, più di ogni altro, ha sdoganato l’abbinamento videogame-cinema.

Le ragioni a supporto di questa affermazione sono diverse: si potrebbero menzionare le nove e passa ore di cutscene, sapientemente collocate negli snodi principali dell’opera; potremmo parlarvi della massiccia presenza di attori hollywoodiani di prim’ordine, che hanno messo i loro volti e le loro voci al servizio del gioco; oppure ancora si potrebbero menzionare i tanti momenti di “pellegrinaggio” verso la destinazione del momento che, di punto in bianco, vengono accompagnati da una colonna sonora magistrale (e arricchita in questa Director’s Cut).

Non è possibile, poi, non menzionare la potenza di un motore grafico (il Decima Engine) che ha reso giustizia ad un mondo di gioco realistico e ricco di dettagli, così come un’opera di motion capture enorme, capace di trasporre su schermo le più impercettibili animazioni facciali dei personaggi (alzi la mano chi non si sente correre un brivido lungo la schiena ricordando il ghigno di Mads Mikkelsen). Tuttavia, ciò che rende Death Stranding il videogame più vicino al cinema è proprio il gusto con cui il suo creatore ha mescolato due elementi fondamentali come trama e gameplay, dosandoli con attenzione e senza mai far prendere all’uno il sopravvento sull’altro.

Una desolazione… next gen!

Cosa si cela dietro BB?

Non posso nascondervi di aver nutrito una sana curiosità di nel voler scoprire quali miglioramenti avrebbe potuto mostrare la versione Playstation 5 di un titolo che, dal punto di vista tecnico, rappresentava un’eccellenza già su PS4. Così come accaduto con altre esclusive PS5, anche in Death Stranding Director’s Cut possiamo scegliere tra due diversi settaggi: la classica modalità Performance, che garantisce i 60 fps ed un 4K in upscaling, e la modalità Qualità, che invece predispone un 4K nativo, ma con un framerate un po’ più “ballerino”. Avendole provate entrambe, non posso non consigliarvi di avventurarvi in ciò che rimane dell’America alla massima risoluzione grafica possibile, dato che i cali del framerate sono piuttosto pochi.

L’approdo sulla nuova ammiraglia di casa Sony ha risolto un altro dei crucci che riguardavano la precedente versione di Death Stranding: i tempi di caricamento. Se su PS4 entrare ed uscire da un rifugio poteva significare perdere diversi minuti, adesso l’SSD ha ridotto drasticamente qualsiasi attesa, consentendo al giocatore di potersi subito immergere nelle sue missioni.

Lato Dualsense, invece, la sensazione è agrodolce. Da un lato, infatti, troviamo un buon utilizzo dei grilletti adattivi, che restituiscono feedback diversi per ciascuna arma e, soprattutto, una sensazione di “sforzo” tutte le volte in cui saremo chiamati ad afferrare gli spallacci del nostro zaino; dall’altro, invece, si poteva osare qualcosa in più sul feedback aptico, che non dispone di quel vasto campionario di vibrazioni a cui eravamo abituati con altre produzioni Sony.

Sono rimaste intatte anche alcune animazioni legnose del nostro Sam, sia in fase di combattimento corpo a corpo che, soprattutto, in fase di interazione con elementi di gioco come scale e rocce da scalare; come accaduto anche su PS4, ci capiterà ancora di cadere mentre stiamo camminando su una scala pioli o di saltare quando, invece, il nostro intento era quello di scalare una sporgenza.

Al netto di quanto ora detto, la resa su schermo della Director’s Cut di Death Stranding è, ancora una volta, magnifica, tanto da non temere il confronto con opere più recenti.

Giudizio finale

Aguzza qui, giocator, ben li occhi al vero,
ché ’l velo ora è ben tanto sottile,
certo che ’l trapassar dentro è leggero.

Death Stranding è di nuovo tra noi, in una versione che, come specificato dal suo stesso autore, di Director’s Cut ha solo il nome. Ciò che ci troviamo davanti è una una rimasterizzazione nel vero senso del termine, che aggiunge qualche contenuto ad un’esperienza che, occorre sottolinearlo, era già completa ed appagante nella sua release del 2019. Potete tirare un sospiro di sollievo: le novità non vanno a snaturare il gameplay in alcun modo, ma lo rendono più vario; al netto di quanto ora scritto, probabilmente chi ha già vissuto la sua avventura nell’America post apocalittica non sarà spinto a ricominciarla da zero, ma forse sarà spinto ad accedere alle missioni aggiuntive ad un prezzo, tutto sommato, moderato.

Dobbiamo essere diretti: se appartenete al partito del “Bartolini Simulator”, questa Director’s Cut non vi farà cambiare idea, in quanto non aggiunge azione, sparatorie, combattimenti ad un gameplay che non ne necessita. Tuttavia, se siete alla vostra prima esperienza, se avete sempre sentito parlare di quest’opera ma non avete mai avuto il coraggio di tuffarvici a capofitto, questa è l’occasione migliore per visitare uno dei titoli più innovativi della passata generazioni.

Voglio infine rivolgermi anche a chi, come me, ha già vissuto il viaggio di Sam Porter Bridges: credetemi, potrebbe valere la pena rivivere le sue vicende, non solo per un’esperienza ludica più ricca, ma anche perché, in due anni, abbiamo imparato quanto sia grande il valore di un legame.

This post was published on 7 Ottobre 2021 21:00

Claudio Albero

Nasce a Torre del Greco, una piccola metropoli alle falde del Vesuvio, nei favolosi anni ’80, che già però non avevano più niente di favoloso. Provano ad educarlo con Beatles e musica classica sin dalla più tenera età, ma lui, di tutta risposta, si appassiona all’ heavy metal ed ai videogame , spendendo un piccolo patrimonio in sala giochi, quando queste due parole erano ancora slegate dalle slot machine. Dopo aver mosso i primi passi su Sega Master System II con Alex Kidd, il Super Mario con le orecchie a sventola, si innamora dei platform, degli action/adventure e degli RPG, con particolare attenzione alla saga di Final Fantasy. Inguaribile sognatore con le radici saldamente ancorate nel passato, scopre la sua passione per la scrittura quasi per caso, in uno dei tanti pomeriggi passati tra i corridoi della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, dove si laureerà giusto qualche anno dopo, con una tesi in Diritto d’Autore basata sull’opera multimediale. Dopo aver scritto di attualità e musica su Lacooltura.it , Road TV Italia e Federico TV , approda sui lidi di Player.it , in cui comincia sin da subito ad apprendere e fare domande, guadagnandosi rapidamente il titolo di “ redattore rompiscatole del mese ”. Nonostante sia legatissimo alla grande famiglia di Player, non sono rare alcune sue incursioni su portali come Gameplay Café e Spazio Rock . Musica, videogame, concerti, boardgame, modellismo, fumetti, cinema e serie tv: tanti hobby diversi tra loro, ma collegati da un fil rouge che li unisce tutti: il divertimento . È proprio questo che cerca in un videogame, è proprio questo sentimento che muove le sue dita, ed è sempre il divertimento la sensazione che cerca di infondere nei suoi articoli. Al di fuori del mondo del gaming, indossa giacca e cravatta per mimetizzarsi nel mondo degli avvocati, esercitando la professione forense, con lo scopo di conoscere a fondo le “ regole del gioco ”, nonché di minacciare di far causa a chiunque al minimo pretesto.

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