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TOEM | Recensione (PC): Lost in Photo Mode

Quando parliamo di photo mode, intendiamo una funzione propria della videoludica recente, che consiste nell’arrestare il normale flusso di gameplay di un videogioco, da immortalare con uno screenshot di cui è concesso al giocatore stabilire angolazione e/o filtri grafici, con gradi variabili di personalizzazione. Più raro è il caso in cui l’atto di “fotografare” sia integrato nelle meccaniche di gioco: uno dei primi titoli a prevedere questa possibilità fu Metal Gear Solid, in cui una fotocamera era a disposizione del protagonista Solid Snake, e dunque del giocatore, che poteva usarla per catturare istantanee dell’ambiente di gioco e, con un po’ di fortuna, svelare degli easter egg nascosti dagli sviluppatori.

In altri titoli l’atto di fotografare diventa funzione importante del gameplay, ad esempio in Beyond Good & Evil, in cui la fotocamera è utilizzata come strumento indispensabile per la risoluzione di alcuni compiti essenziali per avanzare nel gioco, oltre che per operazioni di completismo (fotografare gli animali che incontriamo ci garantisce dei bonus); e si può individuare almeno una serie di giochi il cui gameplay è tutto costruito attorno all’azione di scattare fotografie, ovvero Project Zero (Fatal Frame in America), survival horror in cui la protagonista è in possesso di una speciale camera che le permette di fotografare fantasmi, esorcizzandoli e costituendo quindi la sua unica arma di difesa.

TOEM compie un ulteriore passo in avanti, conferendo a questo strumento nuove possibilità di utilizzo, implementando tali meccaniche in un setting fiabesco caratterizzato da una gradevolissima estetica minimalista.

Ne… scatteremo delle belle!

Photo Mode 2.0

Sviluppato dal tema svedese Something We Made, TOEM è un indie grazioso alla vista, non violento (gli sviluppatori ritengono ci sia già troppa violenza messa in scena in questo medium) per scelta e divertente alla prova dei fatti, sebbene costretto in alcuni limiti che ne inficiano una piena espressione di quelle potenzialità che lascia solo intravedere. Ciò non toglie che le poche ore da spendere in sua compagnia (poco più di 4 per terminare una run procedendo senza fretta, qualche ora in più per i completisti) siano state tra le più gradevoli che abbia sperimentato di recente, tanto per le sue curiose meccaniche quanto per l’accogliente atmosfera con cui il gioco coinvolge il giocatore, e da cui traspare l’evidente volontà dei suoi sviluppatori di scaldare il cuore di chi impugna il pad, offrendogli un’avventura candida in cui possa leggerci un po’ quello che vuole, dal racconto di formazione alla ricerca dell’assoluto, passando per alcuni stilemi tipici dei giochi punta-e-clicca, rinfrescati da una “photo mode 2.0”.

Si parte!

È il caso di analizzare subito questo elemento di novità: cosa si può fare con questa macchina fotografica? Scattare screenshots da ricondividere al di fuori del gioco? Certamente, ma è solo la punta dell’iceberg. Catalogare le specie viventi che popolano il mondo di gioco, facendo la gioia dei collezionisti compulsivi? Indubbiamente, ma c’è altro. Il mondo di gioco è popolato di personaggi che ci assegneranno i compiti più vari, e tali compiti potranno essere espletati, nella maggior parte dei casi, tramite la nostra macchina fotografica. C’è chi ha perso un oggetto o è in cerca di una creatura misteriosa, e sta a noi raccogliere tali prove fotografiche; ma ci sono anche misteriosi materiali fotosensibili, che reagiranno alla nostra volontà di immortalarli su pellicola, con conseguenze di volta in volta diverse; ci sono poi delle specifiche sfide che ci forniranno solo degli indizi sibillini su ciò che è necessario fotografare, e per risolvere le quali dovremo esercitare un acuto spirito di osservazione nonché adottare un certo pensiero laterale, compiendo esercizi di metagaming per venirne a capo. A volte, il semplice atto di inquadrare qualcosa o qualcuno sarà sufficiente ad innescare delle reazioni da parte dei soggetti, aggiungendo ulteriore varietà.

Tutti questi compiti, numerosi e variegati, mi hanno mantenuto il cervello costantemente al lavoro, poiché impediscono di fossilizzarsi sulla sterile ripetizione di pattern, cosa che ci si sarebbe potuti aspettare da un gioco in cui per la maggior parte del tempo “ci si limita a scattare foto”. Il gameplay è in effetti molto più variegato di quanto appaia in prima battuta, con la conseguenza che risulti impossibile annoiarsi, ed anzi si sia invogliati a proseguire a spron battuto e ad arrovellarsi su come risolvere il prossimo compito. Intendiamoci però: la difficoltà del gioco non è mai particolarmente alta, anche perché le mappe hanno dimensioni contenute, ed esplorandole da cima a fondo si perverrà senza troppi problemi alla risoluzione di qualsiasi enigma.

Ciò non toglie che, se non si accende la proverbiale lampadina, potrà capitare di rimanere spaesati di fronte a qualche bizzarra richiesta degli NPC, e vagare per il mondo incerti sul da farsi. Ostacolo comunque aggirabile, dato che non è necessario completare tutti i compiti assegnatici per finire il gioco, il che contribuisce a rendere TOEM estremamente accessibile per tutti i giocatori.

Fotografare tutti gli animali presenti nel gioco è un compito semplice solo in apparenza

Tour fotografico

TOEM ha una struttura a livelli, ognuno sbloccabile solo dopo aver completato un certo numero di quest nel livello precedente. Ogni livello, una volta sbloccato, è visitabile in qualsiasi momento, ed alcuni dei compiti più impegnativi richiederanno di muoversi tra livelli differenti per essere completati. Parlo di “livelli” in mancanza di termini migliori: si potrebbe considerare il gioco come un unico grande mondo (ed in effetti è così) di cui sblocchiamo di volta in volta nuove aree. Ciascuna delle 6 aree che compongono il mondo di gioco è suddivisa in più schermate, e richiede più o meno tempo per essere esplorata nella sua interezza, anche perché spesso avremo bisogno di soddisfare condizioni particolari che ci sblocchino l’accesso ad alcune zone. Come già detto il mondo di gioco complessivamente ha un’estensione tutt’altro che soverchiante, tuttavia c’è almeno un livello abbastanza esteso da poter causare un minimo di confusione a chi non ha un senso dell’orientamento decente.

Tramite delle fermate di autobus ci sposteremo tra un’area e l’altra, ma solo dopo aver completato un numero minimo di quest.

Durante le nostre esplorazioni ci muoveremo all’interno di minimappe inquadrate con visuale isometrica 3D (ma con personaggi e oggetti 2D) liberamente orientabile e zoomabile dal giocatore, che siamo abituati a vedere negli stage di giochi strategico/tattici come Final Fantasy Tactics o Front Mission. Oltre i confini delle mappe, insomma, c’è il vuoto, l’infinita tela bianca dell’artista, e i keypoint di collegamento tra una schermata e l’altra sono indicati da frecce sul terreno. Gli ambienti sono insomma molto piccoli ma, come detto, ciò non rende necessariamente più semplice o immediato capire cosa si debba fare per venire a capo di questa o quella richiesta.

Con uno zoom out possiamo apprezzare facilmente ogni schermata nella sua interezza

Il punto di vista cambia radicalmente non appena decidiamo di impugnare la macchina fotografica. In questo caso si passa ad una visuale in prima persona, in cui osserveremo l’ambiente attorno a noi attraverso l’obiettivo del nostro apparecchio: potremo zoomare entro certi limiti, applicare o meno una funzione che evidenzia elementi sensibili dell’ambiente (come persone o creature, utile a identificare a colpo d’occhio soggetti che può essere utile immortalare), girare la camera per inquadrare il nostro personaggio a mo di selfie (cambiando in questo caso anche l’espressione del viso) o anche, da un certo punto del gioco, piazzarla su cavalletto per scattare a distanza, il che sarà fondamentale per svolgere alcuni compiti particolari, ad esempio inquadrare soggetti che tendono a nascondersi in nostra presenza. Non siamo dotati di flash ma in compenso potremo applicarvi una… trombetta dai molteplici utilizzi possibili! Una volta effettuato lo scatto, potremo decidere se conservarlo o scartarlo, condividerlo (il che ci condurrà fuori dal gioco, aprendo la directory del nostro PC in cui sono salvati gli scatti) aggiungere un’eventuale didascalia e contrassegnarlo come preferito, per ritrovarlo con rapidità all’interno dell’album.

Selfie con nonna in 3, 2, 1…

Insomma ci troveremo in breve tempo a fotografare a getto continuo, un po’ per avanzare nel gioco, un po’ per semplice divertimento. Proprio per questo appare inspiegabile la scelta degli sviluppatori di limitare l’album a contenere 128 foto: una volta esaurito lo spazio, saremo costretti ad eliminarne alcune poterne salvare altre. La limitazione dello spazio a disposizione appare un controsenso, dato che il gioco è basato su tale meccanica, e fa di tutto per invogliare il giocatore a scattare a più non posso.

La logica degli sviluppatori è probabilmente quella di spingere il giocatore a salvarsi gli screenshots da qualche parte sul proprio PC, ma non hanno considerato che qualcuno potrebbe non aver voglia di farlo, avendo piacere semplicemente di sfogliare il proprio album in game. Invece così ci toccherà non solo sfoltire periodicamente la nostra collezione, dando l’addio a foto a cui magari tenevamo particolarmente, ma anche eliminare scatti che ci hanno permesso di completare alcune quest, e di conseguenza particolarmente significativi o peculiari. Insomma non sono riuscito a trovare una giustificazione valida per questo limite, che risulta castrante per la creatività del giocatore ed in antitesi con la natura del gioco.

È già finito?

Sebbene sia tanto, fotografare non è tutto: TOEM offre qualche occasionale meccanica da punta-e-clicca, complice la possibilità di detenere un inventario di oggetti, che ci permetterà di svolgere alcuni compiti molto elementari (in pratica delle fetch quest) o di raccogliere capi d’abbigliamento da utilizzare, oltre che per mera estetica, anche per venire a capo di alcuni ostacoli, ad esempio garantendoci l’accesso a zone precluse ai civili, sopportare un clima ostile o rivelare presenze nascoste. Alcuni di questi oggetti li otterremo gratis, all’interno di pacchi regalo piazzati in bella vista qua e là nelle mappe di gioco, altri li otterremo come ricompensa dopo aver completato specifiche missioni. A ben guardare, insomma, TOEM è un concentrato di idee racchiuse nel minuscolo formato di un’avventura di una manciata di ore, il che rappresenta sia la sua forza che il suo più evidente limite.

Una degna ricompensa per il nostro primo incarico

Abbastanza breve da non stancare mai, TOEM appare anche troppo contenuto rispetto alle numerose idee che mette in campo, lasciando la sensazione di non aver esplorato a fondo tutte le possibilità offerte dalle meccaniche innovative di cui si fa portatore: le azioni possibili tramite la nostra fotocamera, per quanto numerose, hanno un campo di applicazione limitato. Prendiamo ad esempio la bellissima intuizione di rendere alcuni NPC “reagenti” al nostro inquadrarli: gli esiti innescati da questa operazione sono giusto una manciata, mentre si sarebbero potute escogitare infinite soluzioni, a seconda che il personaggio in questione fosse di volta in volta lusingato o infastidito dalle nostre attenzioni.

Un altro aspetto ha a che fare con il tempismo: le quest incentrate sulla necessità di effettuare lo scatto perfetto al momento giusto si contano sulle dita di una mano, mentre un maggior approfondimento di queste meccaniche avrebbe rappresentato un’aggiunta gradita a chiunque sia alla ricerca di una sfida basata sui propri tempi di reazione. Un ultimo esempio che mi sento di fare riguarda le condizioni meteo: solo in un paio di schermate specifiche avremo a che fare con un “meteo avverso”, e comunque senza particolari conseguenze; non sarebbe stato difficile ipotizzare un’influenza più o meno benigna di specifiche condizioni metereologiche sulla nostra attività fotografica, con missioni che richiedessero in qualche misura di tenere conto di questo fattore per poter essere portate a termine con successo.

È un vero peccato che al termine della partita rimanga una sensazione di potenziale non sfruttato, la speranza è che il titolo di Something We Made abbia abbastanza successo da consentire la realizzazione di un’espansione o di un seguito, in cui poterlo esprimere fino in fondo.

Scrutiamo le stelle in cerca di un sequel

Altro aspetto su cui lavorare maggiormente è il comparto narrativo, talmente infimo da risultare poco più che un pretesto. C’è talmente poca sostanza che è paradossalmente difficile esporre la “trama” del gioco: vestiamo i panni di una giovane creatura (assessuata?) in procinto di intraprendere un viaggio, sorta di rito di passaggio all’età adulta, ovvero compiere un viaggio attraverso le terre di questo curioso mondo alla volta della sua cima più alta, dal cui picco si potrà assistere al più meraviglioso evento (naturale o soprannaturale?) possibile, chiamato “TOEM”. Non vi svelo ovviamente di cosa si tratti, ma tranquilli: non avrete le idee particolarmente chiare nemmeno dopo avervi assistito!

Che cos’è TOEM? Avrete la risposta, ma difficilmente vi lascerà soddisfatti.

Insomma la natura del mondo di gioco (ispirata ai paesaggi scandinavi), le identità dei suoi abitanti, le culture locali ed il fenomeno che dà il titolo al gioco rimarranno inspiegati. Questa scelta, immagino consapevolmente adottata per permettere ai giocatori di riempire il vuoto con la propria fantasia, è eccessivamente “pilatesca”, oltre che problematica: scommette di catturare l’interesse del giocatore unicamente tramite gameplay ed estetica; aspetti in cui TOEM innegabilmente ha successo, ma corre il rischio costante di apparire abbozzato, quasi un prototipo in avanzato stadio di sviluppo, cui manca ancora da inserire il grosso della componente testuale.

Commento finale

Pur con tutti i suoi limiti, TOEM rimane un’esperienza innovativa, fortemente consigliata: dotato di un’estetica unica e di una coinvolgente colonna sonora, in grado di accogliervi con poche note in un mondo di gioco bucolico ed essenziale, il titolo sperimenta alcune meccaniche inedite che fanno rimpiangere il fatto di non averle esplorate ulteriormente. Chi cerca un’avventura poggiata su forti basi narrative, però, ne stia alla larga: da quel punto di vista il gioco non ha pressoché nulla da offrire.

This post was published on 23 Settembre 2021 21:00

Alessandro Giovannini

Puoi scrivermi in modo sicuro a: alessandro.giovannini.1990@proton.me Cinema e videogiochi: le mie due più grandi passioni. Da bambino mi alzavo presto la mattina per giocare con il Sega Mega Drive II prima di andare a scuola; passavo i pomeriggi a guardare Terminator 2 fino a consumare il nastro della VHS; impiegavo le serate a cimentarmi nelle avventure grafiche di Lucas Arts su un glorioso PC con Windows 95 in compagnia di mio fratello. Poi è venuta la laurea in cinema, nonché le esperienze di redattore presso siti di informazione cinematografica e gaming. Su Player mi sono specializzato in analisi di mercato e monografie su developers e franchise storici della gaming industry. Ho anche lanciato la newsletter Gamer's Digest che offre una rassegna settimanale della principali novità dell'industria del gaming. Primo videogioco: The Adventures of Captain Comic (DOS) Videogioco console casalinga preferito: Final Fantasy VII (PSX) Videogioco console mobile preferito: Advance Wars (GBA) Piattaforme di gioco possedute: Super Famicom, Game Boy Color, Mega Drive II, PSX, PS2, PS3, PS4, Xbox One S, PC.

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