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Deathloop | Recensione (PS5) | Another brick in the loop

Nasci. Muoviti. Apprendi. Uccidi. Muori. Ripeti.

Che ci piaccia o meno, la quasi totalità dei videogame si basa su questi sei momenti; sei colonne su cui l’industria di settore ha fondato una larghissima fetta del suo impero, soprattutto attuale. Molti addetti ai lavori non fanno altro che adeguarsi placidamente a questi sei comandamenti; tuttavia, ogni creativo che si rispetti ha provato almeno una volta a fare proprie queste leggi non scritte, cercando di reinterpretarne i concetti e contribuendo, più o meno direttamente, all’evoluzione del medium. Tra questa schiera di folli visionari, non posso non annoverare Arkane Studios.

Nel corso dei suoi circa 20 anni, lo studio francese ha sempre seguito la sua strada, in barba a quelle logiche di mercato che spesso finiscono con lo strangolare qualsiasi velleità creativa. Quali sono stati i frutti di questa filosofia? Titoli del calibro di Dishonored, Prey e, ora, Deathloop.

È inutile nascondersi dietro un dito: l’ultima esclusiva Playstation 5 rappresentava un banco di prova non indifferente per il developer. Arkane era chiamata, ancora una volta, a superare sé stessa e ad arricchire il parco titoli Sony di una nuova esclusiva rampante. Ma come si fa ad innovare, in un mondo in cui ogni strada sembra essere già stata battuta? Semplice: reinterpretando i sei comandamenti del videogioco, invertendone l’ordine, rendendo caotico il loro susseguirsi e, soprattutto, cercando sempre di sorprendere il giocatore.

Non è mia intenzione anticipare nulla di ciò che vi aspetta nelle righe che seguono, ma posso darvi solo un consiglio: tenete bene a mente quelle sei parole menzionate in apertura, perché le incontrerete molto spesso.

È già ieri!

Più facile a dirsi, che a farsi!

I risvegli dopo una notte brava sono sempre un pelino problematici, ma questo sembra esserlo molto più degli altri. Poche immagini confuse ci mostrano, per qualche istante, una donna che sembra essere intenta a… ucciderci! Qualche secondo dopo, ci risvegliamo su una spiaggia misteriosa, con più dolori in corpo che ricordi. Dove ci troviamo? Che cosa ci facciamo lì? Chi altro c’è con noi? E, soprattutto, chi siamo? Il nostro protagonista non sembra ricordare niente di tutto questo; tuttavia, in poco tempo iniziamo a capire di avere una strana familiarità con quasi tutto ciò che ci circonda, in particolare con le armi.

Un’altra cosa che è impossibile non notare sono quelle dannate scritte a mezz’aria: sono praticamente ovunque, e chi le ha lasciate sembra conoscerci molto bene.

All’improvviso arriva un aiuto inaspettato: Colt! Il nome del nostro smemorato è Colt! Ma non è stato un improvviso lampo di conoscenza farcelo ricordare: da quella strana radiolina che abbiamo raccolto poco fa ha risuonato una voce femminile, che ci ha gentilmente fornito il primo pezzo del puzzle. Dice di chiamarsi Julianna, ma la sua gentilezza finisce qui: a giudicare dagli epiteti che ci rivolge, capiamo di non starle affatto simpatici, e che in qualche modo costituiamo un pericolo, per lei e per tutti gli altri occupanti di Blackreef, ovvero l’isola su cui ci siamo risvegliati.

Julianna non aggiunge molti altri dettagli e, in ogni caso, non saremmo capaci di comprenderne il significato. Una cosa, però, è praticamente impossibile ignorare. Quest’isola ha qualcosa di radicalmente diverso da qualsiasi altro posto al mondo: un loop temporale.

Per farla breve, un gruppo di sette scienziati (ribattezzatisi con l’altisonante nome di “Visionari“) ha creato un fenomeno che, in pratica, fa rivivere lo stesso giorno ad ogni abitante di Blackreef, cancellandone i ricordi ad ogni nuovo inizio e garantendo a tutti una vera e propria immortalità.

Il modo per interrompere questo ciclo infinito di morte e rinascita sembra essere uno soltanto: uccidere tutti i sette Visionari, ma nell’arco di sole 24 ore. Sarà una passeggiata? Tutt’altro, ma Colt desidera ardentemente la libertà, e se per ottenerla dovrà far saltare qualche testa, tanto meglio: uccidere sembra piacergli veramente tantissimo.

Non sono un Eternalista, sono un uomo libero!

Come fare ad interrompere il loop?

Il desiderio di libertà di Colt è grande almeno quanto il suo vuoto di memoria. I ricordi inizieranno pian piano ad affiorare, ma sempre dopo aver compiuto determinate azioni o, in alternativa, dopo l’essere venuti in possesso di alcune informazioni vitali che, fortunatamente, riusciremo a ricordare tra un loop e l’altro. Ogni volta che tireremo le cuoia ed ogni volta che arriveremo alla fine delle 24 ore di tempo che ci sono concesse, il ciclo si riavvierà, cancellando tutto ciò che abbiamo fatto nell’arco di quel giorno; questo significa che i personaggi compiranno nuovamente le stesse azioni e che tutti coloro che abbiamo ucciso torneranno in vita. Come fare, quindi, ad uccidere sette persone in così poco tempo?

Ancora una volta, la raccolta di informazioni sarà di vitale importanza: ognuno di questi eccentrici scienziati ha le sue fisime e le sue debolezze, e dovremo sfruttarle per cercare di farli incontrare nello stesso luogo o, in alternativa, di sabotare alcuni loro dispositivi, così da “programmare in anticipo” la loro morte.

Proprio in base a quanto ora scritto, il nostro Colt dovrà raccogliere documenti, ascoltare i tanti messaggi registrati sparsi per i quattro distretti di Blackreef, scoprire codici, aprire casseforti ed anche ascoltare conversazioni tra semplici guardie. Gli indizi sono nascosti praticamente ovunque, ma tutto dipenderà da come riusciremo ad interpretarli e, ovviamente, dalle azioni che decideremo di compiere nell’arco della giornata.

Sotto questo aspetto, ogni personaggio si rivela caratterizzato come meglio non si potrebbe desiderare, grazie ad un doppiaggio in lingua italiana che definire magistrale è riduttivo: da Colt, che sembra in costante bilico tra ragione e follia (omicida), a Julianna, sempre alle prese con la sua vendetta personale nei nostri confronti, passando per Charlie Montague, Visionario con la passione dei giochi di ruolo, e Aleksis, altro Visionario il cui ego è sconfinato quanto la sua passione per i festini ed i superalcolici.

La trama ci verrà svelata poco alla volta, e la scoperta di alcuni dettagli sarà lasciata alla nostra libera esplorazione. Nonostante un ritmo narrativo sempre ad alti livelli, ciò che lascia un po’ l’amaro in bocca è proprio l’epilogo della vicenda che, indifferentemente dal finale ottenuto, sembra veramente poco ispirato, rappresentando una palese stonatura rispetto a quanto di buono visto in precedenza.

Fuori in 24 ore

Ombra invisibile o spietato assassino? A voi la scelta.

Bene, a “nascere” siamo nati, e tante altre volte rinasceremo, i primi passi li abbiamo mossi, per apprendere c’è tutto il tempo, ma per quanto riguarda l’uccidere? Come detto in precedenza, i bersagli da fare fuori sono sette, tutti molto distanti tra loro e armati fino ai denti, ed il tempo a disposizione è tutto fuorché generoso. Blackreef si divide in quattro diverse aree, esplorabili per tutto il tempo che riterremo necessario ma, non appena decideremo di spostarci in un altro distretto, la giornata inizierà a scorrere, facendoci passare dalla mattina a mezzogiorno, passando per il pomeriggio e finendo con la sera, dopodiché tutto ricomincerà daccapo.

Ciascun Visionario sarà “disponibile” nel proprio distretto solo in certi momenti della giornata, il che ci obbligherà ad agire in un determinato ordine, che però potremo scoprire solo giocando, sbagliando, morendo e, fondamentalmente, ripetendo. A complicare i nostri piani interverrà la nostra Julianna, che invaderà le nostre partite andando a bloccare le vie di fuga e, in buona sostanza, aggiungendo un altro temibile avversario con cui fare i conti. La nostra antagonista potrà essere impersonata sia dall’IA che da un altro giocatore online, rappresentando quindi un’ottima variante sul tema, nonché il primo, vero approccio di Arkane al multiplayer.

Su cosa può contare il nostro Colt? Su un arsenale di armi nutrito (ma su cui si poteva osare forse un po’ di più) e, ovviamente, su tutta una serie di poteri che ogni amante dei titoli Arkane riconoscerà immediatamente. All’inizio potremo contare unicamente su una piccola mitragliatrice leggera, ma in breve tempo potremo aggiungere pistole, fucili a pompa, fucili da cecchino, pistole magnum, ecc., tutte ben caratterizzato dalle vibrazioni del Dualsense. Ogni arma dispone di slot per delle piastrine di potenziamento; queste, così come avviene con le armi, si presentano come drop casuale dei nemici e, se raccolte ed equipaggiate, potranno migliorare tanto le vostre armi quanto statistiche ed abilità del protagonista.

Non appena uccideremo uno o più Visionari, potremo impadronirci delle loro tavolette; si tratto di oggetti misteriosi che attribuiscono dei poteri al possessore. Come detto poc’anzi, i poteri non sono tutti nuovi di zecca: chiunque abbia giocato a Dishonored riconoscerà subito l’Etere (invisibilità temporanea), la Traslazione e Karnesis (la possibilità di scagliare lontano i nemici), mentre Rovina e Vincolo sono nuove aggiunte che, se usate al momento opportuno, garantiranno dei vantaggi tattici fondamentali. Quest’ultimo potere, infatti, vi garantisce la possibilità di “collegare” più nemici e, qualora uno di questi dovesse malauguratamente morire, tutti gli altri faranno la stessa fine: l’ideale per ripulire intere stanze con un singolo colpo.

Anche le tavolette possono essere potenziate, ma badate bene: una morte prematura e la fine del loop azzereranno il vostro inventario. Come fare, quindi, a conservare tutto questo ben di Dio?

La ragione per cui Deathloop non può essere definito un roguelite (o almeno non nel senso stretto) risiede proprio in questo. Durante le vostre avventure per Blackreef, vi imbatterete in degli oggetti che emanano una strana aura e che, se raccolta, si trasformerà in una sorta di valuta con cui infondere gli oggetti che desideriamo “trattenere”, facendoli così nostri per sempre. Va da sé che all’inizio dovrete scegliere attentamente cosa conservare e cosa sacrificare, ma già dopo qualche ora sarete dei veri e propri nababbi di residuo.

Tra stealth e shooting

Inutile nascondervi che i poteri delle tavolette potranno quasi sempre cavarvi d’impiccio.

Volendo analizzare il gameplay, Deathloop è la quintessenza della formula creata da Arkane, a metà strada tra stealth accurato e shooting forsennato. Così come avvenuto in Dishonored, anche qui avrete sempre la possibilità di scegliere il vostro approccio: silenziosi e letali o caotici e rumorosi (ma altrettanto letali). Le armi ed i poteri menzionati in precedenza sono specificamente progettati per abbracciare tanto l’uno quanto l’altro stile di gioco, dando vita a tutta una serie di possibili combinazioni. Tuttavia, se dovessi darvi un consiglio, la vera essenza del titolo è assaporabile prediligendo un basso profilo e, soprattutto, esplorando in lungo e in largo.

Ma analizziamo più a fondo fasi stealth e fasi “sparacchine”.

Sotto il primo aspetto, ci ritroviamo di fronte a delle meccaniche tutto sommato semplici, non esageratamente profonde e, quindi, facili da padroneggiare. Tuttavia, qui c’è uno dei talloni d’achille dell’opera: l’intelligenza artificiale.

Vi capiterà molto spesso, infatti, di essere avvistati da nemici lontanissimi o che, in alcuni casi, non possono neanche vedervi, in quanto coperti da un muro o da una porta; così come, al contrario, potrebbe capitarvi di sparare ed allertare un gruppo di guardie, mentre altri NPC ostili praticamente a due passi da lì rimarranno nella più totale indifferenza. Nulla che non possa essere risolto, ci mancherebbe, ma non sono state poche le volte in cui i miei piani sono stati mandati all’aria da situazioni del genere.

Mentre in Dishonored affrontare scontri a fuoco significava quasi sempre andare incontro a morte certa, in Deathloop le cose stanno in modo leggermente diverso. Con il giusto arsenale ed i giusti poteri, infatti, nessun nemico sarà veramente imbattibile; anche in questo caso, però, c’è bisogno di doversi nuovamente soffermare sull’IA del titolo. I comportamenti degli NPC sono spesso scriteriati e, se il giocatore saprà approfittarne, potrà sbarazzarsi di intere schiere di nemici. Basta semplicemente nascondersi in un edificio con una sola porta per assistere ad una vera e propria “processione” di nemici che entrano e che, automaticamente, diventeranno facili bersagli per la nostra bocca da fuoco.

Nelle fasi più avanzate del gioco, si avverte proprio uno sbilanciamento a favore del nostro Colt. Vi basterà possedere una pistola silenziata e il potere dell’invisibilità (entrambi con i giusti potenziamenti), posizionarvi su un luogo sopraelevato e il gioco è fatto: potrete far fuori chiunque senza neanche il pericolo di essere scoperti.

Inoltre, su Playstation 5 si avverte una notevole presenza (a volte anche ingombrante) della mira assistita che, equipaggiando le opportune piastrine, si trasformerà in una vera e propria “fabbrica di headshot”. Certo, è possibile regolare questo parametro, ma quanto ora detto fa notare delle hitbox non sempre precisissime; il gunplay però, al netto di quanto ora descritto, rimane però godibilissimo.

Vi ho mai detto qual è la definizione di follia?

Come risolvere l’enigma? Tentando e ritentando!

Si Vaas, l’abbiamo sentita mille volte la tua definizione di follia: rifare la stessa cosa, ancora e poi ancora, sperando che qualcosa cambi.

Normalmente, quanto ora descritto sarebbe assolutamente sinonimo di noia, ma è proprio qui che Deathloop raggiunge il suo apice creativo. Nell’arco delle 20 ore circa che impiegherete per venire a capo della main quest, vi sposterete fondamentalmente in sole quattro aree ma, a seconda della fascia oraria in cui le visiterete, queste cambieranno completamente. Alcuni luoghi che di mattina troverete chiusi saranno invece aperti a mezzogiorno, mentre di sera, proprio di fronte ad una tranquillissima biblioteca, sarà montato un palco per uno show, con tanto di fuochi d’artificio a distrarre la gran parte delle guardie.

In base a quanto ora scritto, rivisitare lo stesso luogo più volte nell’arco di una giornata non è mai un’attività fine a se stessa, ma anzi: consente di scoprire alcuni dei particolari più nascosti di Blackreef. Il punto “Ripeti” menzionato in apertura, come potete facilmente constatare, è stato svuotato di tutta la sua pesantezza e punitività.

Sotto questo aspetto, Deathloop è senz’altro il lavoro più maturo di Arkane, che mette in piedi un’opera che trasuda il suo stile realizzativo da ogni poro (o pixel, fate voi) e che porta ad un nuovo livello il concetto stesso di “libertà di approccio“. Esplorando i vicoli, i paesaggi e gli edifici delle quattro aree a disposizione, potrete sempre trovare nuove strade per arrivare al bersaglio, nuovi modi per sbarazzarvi dei nemici e, soprattutto, tantissime possibilità per dare sfogo alla vostra vena creativa, con finalità omicide ovviamente.

Certo, il gioco vi guiderà indicandovi la sequenza di azioni che dovrete compiere per portare a termine la trama principale e, non appena avrete memorizzato la disposizione dei nemici in una mappa in un determinato momento della giornata, magari potreste iniziare a sentire un retrogusto di ripetitività, ma forse è proprio quello il momento migliore per esplorare, assaporando appieno il level design magistrale dello studio francese.

Stiamo parlando forse del primo videogame che riesce a convertire il concetto stesso di Game Over (il punto “Muori”), trasformandolo in nient’altro che l’anticamera di un nuovo inizio. Sotto questo aspetto, Deathloop è l’esempio più lampante di cosa possa accadere quando viene data carta bianca alla creatività.

Di colori, musica ed estetica

Lo stile estetico del gioco è inconfondibile.

Abbiamo volutamente lasciato per ultima l’analisi più tecnica del titolo Arkane Studios, ma anche in questo caso c’è da spendere qualche parola. Dal punto di vista squisitamente grafico, Deathloop è forse l’esclusiva PS5 che meno fa gridare al miracolo; certo, è innegabile che il salto tecnico con qualsiasi altro lavoro dello sviluppatore sia notevole, e che comunque la presenza del Raytracing faccia innegabilmente la sua figura, ma ciò che lascia a bocca aperta non è tanto la “forza bruta” dell’engine, quanto la cura estetica degli ambienti di gioco.

Ogni singolo particolare è stato rifinito con cura e, muovendosi tra i vari distretti, è possibile notare una varietà di stili che spaziano da una matrice prettamente vintage anni ’60 ad un’altra quasi industriale.

Deathloop è probabilmente il gioco meno cupo di Arkane, e la palette di colori scelta ne è la chiara dimostrazione. Se Prey ed il mai troppo menzionato Dishonored erano opere dai toni decisamente tetri, Deathloop è un tripudio di colori, andando a braccetto con la frenesia isterica che pervade Blackreef, nonché con la vena ironica del titolo in sé. Non mancano ovviamente easter egg e citazioni ad altre media (tra cui non si può non annoverare la serie “Il Prigioniero”), che faranno la felicità dei geek più attempati, insieme ad una colonna sonora sopraffina.

Volendo soffermarsi un’ultima volta sull’aspetto tecnico, la versione PS5 del videogame offre tre diversi settaggi: Prestazioni, con uno scaling in 4K dinamico, niente Raytracing e 60 fps stabili; Qualità Visiva, con gli stessi standard precedenti ma con maggior predilezione alle prestazioni grafiche; Raytracing, che ferma il framerate a 30 fps ma garantisce l’aggiunta di questa feature. Secondo quanto provato in sede di recensione, la modalità che rende maggiormente maggiormente fruibile il gioco è la prima, potendo contare su un maggior numero di frame al secondo (con qualche piccolo calo di tanto in tanto), che torneranno dannatamente utili nelle fasi più concitate.

Giudizio finale

Not a prisoner, I’m a free man
And my blood is my own now
Don’t care where the past was
I know where I’m going

Definire Deathloop in poche parole non è assolutamente semplice. Rientra nella categoria degli sparatutto in prima persona, con una spruzzatina di meccaniche roguelite; tuttavia, volendo essere più approfonditi, si tratta di un enorme puzzle, in cui il giocatore è in costante esplorazione, alla ricerca del famigerato bandolo della matassa. Per venire a capo dell’enigma in cui Colt è immerso serviranno esplorazione, spirito di deduzione e, soprattutto, tante morti, a cui seguiranno dei nuovi inizi. Il titolo è, a parere di chi vi scrive, l’apice creativo toccato da Arkane Studios, che viene strappato all’eccellenza da almeno un paio di difetti, riguardanti l’intelligenza artificiale degli NPC e, soprattutto, un epilogo forse non all’altezza del resto della narrazione.

Detto questo, Deathloop è sicuramente uno dei prodotti più innovativi degli ultimi tempi, ed è riuscito ad innalzare nuovamente gli standard di un genere che, concedetemelo, stava iniziando a diventare leggermente stantio. Deathloop è il frutto della creatività che va al potere, e Dio solo sa quanto questa industria abbia bisogno della creatività.

This post was published on 22 Settembre 2021 11:05

Claudio Albero

Nasce a Torre del Greco, una piccola metropoli alle falde del Vesuvio, nei favolosi anni ’80, che già però non avevano più niente di favoloso. Provano ad educarlo con Beatles e musica classica sin dalla più tenera età, ma lui, di tutta risposta, si appassiona all’ heavy metal ed ai videogame , spendendo un piccolo patrimonio in sala giochi, quando queste due parole erano ancora slegate dalle slot machine. Dopo aver mosso i primi passi su Sega Master System II con Alex Kidd, il Super Mario con le orecchie a sventola, si innamora dei platform, degli action/adventure e degli RPG, con particolare attenzione alla saga di Final Fantasy. Inguaribile sognatore con le radici saldamente ancorate nel passato, scopre la sua passione per la scrittura quasi per caso, in uno dei tanti pomeriggi passati tra i corridoi della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, dove si laureerà giusto qualche anno dopo, con una tesi in Diritto d’Autore basata sull’opera multimediale. Dopo aver scritto di attualità e musica su Lacooltura.it , Road TV Italia e Federico TV , approda sui lidi di Player.it , in cui comincia sin da subito ad apprendere e fare domande, guadagnandosi rapidamente il titolo di “ redattore rompiscatole del mese ”. Nonostante sia legatissimo alla grande famiglia di Player, non sono rare alcune sue incursioni su portali come Gameplay Café e Spazio Rock . Musica, videogame, concerti, boardgame, modellismo, fumetti, cinema e serie tv: tanti hobby diversi tra loro, ma collegati da un fil rouge che li unisce tutti: il divertimento . È proprio questo che cerca in un videogame, è proprio questo sentimento che muove le sue dita, ed è sempre il divertimento la sensazione che cerca di infondere nei suoi articoli. Al di fuori del mondo del gaming, indossa giacca e cravatta per mimetizzarsi nel mondo degli avvocati, esercitando la professione forense, con lo scopo di conoscere a fondo le “ regole del gioco ”, nonché di minacciare di far causa a chiunque al minimo pretesto.

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