Devo dire la verità, quando mi hanno dato la possibilità di recensire Tales Of Arise sono stato davvero felice.
Felice perché la saga di Tales Of, nonostante gli enormi limiti che si porta addosso da anni e anni, è uno di quei guilty pleasure a cui ripenso ogni tanto con grande nostalgia e grande amore.
Tales Of Phantasia (primissimo capitolo della saga), ad esempio, è un videogioco che conosco letteralmente a memoria dal numero di volte in cui l’ho finito.
Tales Of Eternia (o Tales Of Destiny 2 per chi di voi abbia vissuto la fine dei novanta in America) è un altro videogioco di cui ho dolci grandi ricordi, complici un worldbuilding molto interessante ed un sistema di combattimento ancora più raffinato del suo predecessore.
Anche di Tales Of Graces F su PS3 ho buoni ricordi: un videogioco con un sistema di combattimento incredibilmente tecnico, dotato di un gameplay dalla profondità invidiabile affossato da dei personaggi al limite della denuncia.
Si, perché mentre io non giocavo ai Tales, gli anime game prendevano piede e sempre di più nel mondo dei videogiochi facevano capolino gli stilemi tipici dell’animazione giapponese anche a livello di caratterizzazione e costruzione dei personaggi.
Bandai Namco, con questo suo brand, non poteva esimersi dal partecipare a tale carrozzone.
La saga di Tales, dopo i primi capitoli anche maturi per la media dell’epoca, si era trasformata in una saga di action RPG si interessanti, ma caratterizzati da narrative e personaggi in grado di far venire l’ulcera a chiunque abbia superato il venticinquesimo anno di età.
L’arrivo di Tales Of Berseria nel 2016 aveva mostrato una certa voglia di rinnovamento, almeno dal punto di vista narrativo, con un titolo più violento e maturo, capace in ogni caso di mantenere intatti gli stilemi narrativi del brand.
A mancare erano le caratteristiche tecniche: Berseria era pur sempre un videogioco per Playstation 3 catapultato su PC e PS4. Bastava aver giocato 10 minuti a Dragon Quest XI per capire che, in termini di inventiva e tecnica, si poteva fare molto di più.
Fortunatamente, Tales Of Arise, sembra essere il titolo adatto per rovesciare questo stilema.
Tales Of Arise è il diciassettesimo capitolo di una saga che va avanti da oltre venticinque anni ed è un videogioco pregno di una voglia notevole di rinnovarsi.
Perché ok i combattimenti in tempo reale, ma era indubbiamente un po’ bruttino tornare sempre in gioco con una variazione più o meno tecnica (e più o meno tridimensionale) del linear motion battle system messo in piedi da Phantasia su Super Nintendo.
Dalla prima demo resa giocabile al pubblico, fortunatamente, tutto è stato chiaro: tecnicamente rispetto ai vecchi capitoli ci troviamo su livelli qualitativi differenti e, ludicamente parlando, Tales Of Arise è un prodotto sopraffino, capace di rivaleggiare anche con titoli dal gameplay incredibile come Final Fantasy 7 Remake.
Dal punto di vista meramente ludico Tales Of Arise è una meraviglia.
Il battle system messo insieme da Bandai Namco per l’occasione è forse uno dei migliori ibridi action RPG presenti sul mercato, complice un grande numero di meccaniche sovrapponibili, uno skill ceiling piuttosto elevato ed un grande grado di personalizzazione.
Le battaglie avvengono in arene tridimensionali (ahimé sempre pianeggianti e prive di verticalità, bisogna dirlo subito) dove il giocatore si ritrova a controllare uno tra i sei componenti del party. Ogni personaggio ha il suo stile di gioco, le sue meccaniche esclusive, la sua utilità all’interno delle battaglie
Ci sono personaggi che attaccano prevalentemente dalla distanza e che possiedono caratteristiche di zoning ottime contro avversari volanti o aggressivi, personaggi in grado di assorbire attacchi magici per utilizzarli poi, potenziati, contro gli avversari.
Il protagonista spadaccino (di cui non vi riveliamo il nome) possiede un set enorme di tecniche con cui poter attaccare gli avversari in grado di dare un dinamismo notevolissimo alle battaglie. Tra attacchi stordenti, launcher aerei, attacchi aerei, combo automatiche, slash orizzontali diventa davvero difficile lamentarsi per la varietà della proposta offensiva.
L’utilizzo di tutte queste tecniche è regolato da una risorsa chiamata BP.
Tale risorsa si ricarica automaticamente durante le battaglie, specie nei momenti di difesa o pausa. Questa scelta chiede al giocatore di imparare a padroneggiare le meccaniche difensive, tra parata, contrattacco, schivata e così via.
Dal punto di vista offensivo, invece, la varietà è ancora più elevata perché oltre al proprio set di tecniche (liberamente intercambiabili durante il corso della battaglia mettendo in pausa) il giocatore avrà la possibilità di farsi aiutare dai suoi comprimari con attacchi e tecniche mirate, alle volte legate anche solo alla pressione di uno dei tasti direzionali del pad.
Ogni tecnica è utile in un preciso frangente dello scontro, dando al tutto un respiro quasi tattico molto interessante ad alti livelli di difficoltà.
Tutto questo ben di dio è anche bilanciato per difficoltà e da il meglio di sé nelle battaglie con i boss, scontri che possono durare anche diversi minuti intrisi di un dinamismo raro per la serie stessa.
I boss sono molto più resistenti, sono caratterizzati da diverse fasi con attacchi esclusivi e chiedono al giocatore di ingegnersi per sfruttare al meglio i punti deboli. Quest’ultima caratteristica, nello specifico, raffina ulteriormente la proposta ludica chiedendo al giocatore di abbandonare il button mashing per dare spazio ad azioni più studiate o ragionate.
La presenza dei punti cura, una risorsa che limita il numero di skill curative utilizzabili durante il corso delle battaglie, aumenta ulteriormente il senso di tensione rendendo gli scontri davvero molto interessanti.
Ora prendete tutto quello che abbiamo detto e aggiungeteci il fatto che il personaggio controllabile dal giocatore è intercambiabile in qualsiasi momento. Il risultato finale è un battle system alle volte diventa molto caciarone e confusionario ma che non smette mai di essere divertente, elemento di fondamentale importanza per un videogioco.
Tutto il battle system in questione viene regolato da un leveling system molto classico, con personaggi che salgono di livello ottenendo punti esperienza e imparano nuove tecniche ottenendo punti abilità.
La gestione della crescita dei personaggi è piuttosto minimale grazie al sistema di titoli, stavolta integrato nell’aspetto statistico del sistema: eseguendo determinate azioni un dato numero di volte o proseguendo nella storia ogni personaggio sblocca un nuovo titolo.
Ognuno di essi porta con sé dei bonus passivi, abilità da apprendere e vantaggi in seguito al completamento del titolo; un sistema semplice ma efficace volendo riassumere.
Il sistema di equipaggiamento, un po’ come il sistema di crescita dei personaggi, rimane su lidi semplici offrendo tre slot per personaggio. Le armi e gli accessori sono oggetti craftabili con i materiali che si ottengono esplorando il mondo di gioco mentre le armature vanno acquistate dai mercanti (o trovate in giro).
Mentre il crafting delle armi è estremamente semplice, quello degli accessori ha un grado maggiore di profondità dovuto alla possibilità di potenziare oggetti già creati distillando i materiali posseduti. In questo modo è possibile aggiungere abilità e caratteristiche ulteriori a ciò che abbiamo creato in passato, personalizzando di un poco l’esperienza.
È chiaro che il sistema non sia esattamente variegatissimo, rimanendo molto lontano da sistemi di crafting stratificati come quello di Xenoblade Chronicles ma, a nostro parere, questa sua semplicità permette al giocatore di continuare a concentrarsi su ciò che conta maggiomente: gli scontri.
Cosa succede in Tales Of Arise quando non si picchiano le mani con l’aggressiva fauna locale?
Il titolo da Bandai Namco condisce le proprie battaglie con una struttura da gioco di ruolo nipponico tridimensionale permettendo al giocatore di esplorare mappe piuttosto grandi, sempre piene di dettagli (evitando a pié pari le problematiche dei titoli open world).
Tra un giro e l’altro, chiaramente, troveremo anche dungeon da esplorare da cima a fondo, con qualche enigmino di sorta a variare la formula senza sconquassare l’equilibrio di gioco.
Il level design di dungeon e mappe è funzionale al tema del viaggio che la narrativa suggerisce ma non risulta divertente come potrebbe. L’introduzione del salto all’interno dell’esplorazione, ad esempio, porta a davvero poco di nuovo: alcune casse sono raggiungibili solo saltando, è vero, ma non ci sono enigmi o artifici che permettono al giocatore di sfruttare al meglio questa caratteristica.
Interessante l’idea degli sviluppatori di nascondere alcune porzioni di mappa o casse dietro la spesa di PC, costringendo il giocatore a scegliere se rischiare un po’ di più durante il corso delle prossime battaglie o ignorare un contenuto. Questo non basta a far scomparire una sensazione: la mancanza dei misteri o segreti è palese e, la presenza di quest secondarie molto generiche, non aiuta il giocatore a valorizzare ulteriormente gli sforzi fatti dalla sfotware house nel tratteggiare il mondo di gioco.
Ultimo punto legato alla componente esplorativa: la caccia ai gufi.
In quasi tutte le mappe, quasi a voler fare il verso alle rane kerotan dei Metal Gear Solid 3, è possibile trovare un simpatico gufo nascosto nei luoghi più improbabili.
Per ogni gufo trovato il giocatore potrà mettere le mani su un pezzo d’abbigliamento buffo, in modo da personalizzare ulteriormente l’aspetto esteriore dei giocatori. Anche quà, niente per cui strapparsi i capelli (sia chiaro) ma è pur sempre un elemento in più che dona un pizzico di spensieratezza ad un avventura cupa.
Ecco, si, parliamo della storia.
Tales Of Arise è la storia di un conflitto e di due mondi inconciliabili.
Da una parte Dahna, il paradiso dei dei e la ricchezza del suo suolo, dall’altra troviamo i Renani, popolazione umanoide aliena capace di utilizzare le arti astrali, dotati di tecnologia all’avanguardia e con una potenza bellica senza precedenti, complici anche le creature Zeugle.
Nel giro di una notte l’interno regno di Dahna cade sotto le grinfie dei Renani, dando inizio ad un dominio sanguinolento. I Dahniani vengono schiavizzati e utilizzati per i compiti più disparati in base al regno in cui si trovano; per oltre trecento anni nulla riesce a scalfire questo status quo.
Fast Forward a oggi: siamo a Orbus Calaglia, ex regno fiammeggiante dell’impero Dahniano ora controllato da Balseph, la bestia selvaggia.
Il dominio di quest’ultimo sul nucleo primario del fuoco (un potente artefatto che raccoglie l’energia astrale del fuoco della zona) rende impossibili le ribellioni: gli abitanti del luogo sono costretti da generazioni a morire ottenendo risorse, in un circolo vizioso di schiavitù e soprusi.
La rocambolesca fuga di una Renana chiamata Shionne spariglia le carte in tavola, dando al nostro protagonista maschera di ferro (non ci vorrà molto per scoprire chi e cosa si cela sotto tale artefatto) la forza necessaria per provare ad alzare il capo.
Così inizia il percorso fatto di vendette e misteri che vedrà i nostri due personaggi accorpare a sé nuovi volti e figure, dando risposta ai molteplici misteri che animano il mondo di gioco e, complici le numerose scene secondarie (chiamate skit), dipingendo un party affiatato ed efficace.
Shionne è un personaggio decentemente scritto, ancora troppo figlio di certi stereotipi giapponesi (come le battutine da tsundere di cui avremmo fatto volentieri a meno) ma senza dubbio riuscito, complice anche il gradevole (ma waifueggiante) character design.
Il protagonista nonostante l’aria da immancabile prescelto che salverà il mondo tipica dei giochi di ruolo nipponici, è caratterizzato in maniera gradevole con un grado di maturità mediamente inaspettato per il target a cui il titolo è riferito.
Nello specifico siamo rimasti positivamente colpiti dai sopracitati skit.
Stavolta, infatti, sono stati realizzati usando una tecnica che ricorda il picture in picture fumettistico. Grazie a questa scelta gli sviluppatori sono riusciti a rendere questi scambi tra comprimari più dinamici senza spendere troppe risorse che avrebbero tolto pregio agli eventi principali, riuscendo anche nel difficile compito di mettere sul piatto l’immensa mole di informazioni che anima il worldbuilding pregevole.
Tales Of Arise, inoltre, possiede un’ottima localizzazione in italiano che rende accessibile l’avventura anche ai non anglofoni. La localizzazione è accompagnata dal solito doppiaggio doppio selezionabile tra inglese e giapponese.
Nota di merito per il doppiaggio inglese, azzeccato e funzionale.
Tales Of Arise, forte della voglia di rinnovare palesata da Bandai Namco con Berseria, è il primo capitolo della saga realizzato con motore grafico non proprietario.
Per l’occasione Bandai Namco l’ormai solido Unreal Engine 4, usando la tecnica del cel-shading per realizzare un’estetica da anime giapponese che restituisce fin da subito a colpo d’occhio sensazioni piacevoli.
Il titolo, da noi provato Playstation 4, è visivamente molto gradevole con modelli poligonali molto dettagliati e animazioni dei personaggi abbastanza convincenti.
In battaglia il motore grafico mostra tutti i suoi muscoli, tra effetti d’illuminazione bombastici ed esplosioni spettacolari senza mai scendere sotto i trenta frames.
Curiosamente siamo rimasti molto colpiti (positivamente) dalla velocità dei caricamenti su PS4 che, nel giro di un paio di secondi, permettono la transizione tra la battaglia e l’esplorazione.
Di ottima realizzazione la colonna sonora realizzata da Motoi Sakuraba, compositore storico della serie e nome piuttosto importante nel panorama odierno delle musiche per videogiochi.
Sakuraba, invece di impegnarsi nel produrre una colonna sonora dai toni molto nipponici, con forti arie melodiche e accompagnamenti bucolici, stavolta decide di voler puntare sull’epicità realizzando brani che richiamano da vicino le produzioni di John Williams, il compositore della colonna sonora di Star Wars.
Il risultato finale è gradevole, magari straniante per un fan storico della saga, ma di indubbio valore; i brani sono prevalentemente orchestrali, caratteristica che li rende potenti ed epici. Gli arrangiamenti, realizzati con gusto, dona alla narrativa un tono epicheggiante che ben ci sta con la narrativa.
Tales Of Arise è il miglior Tales Of da anni a questa parte e, di conseguenza, uno dei migliori JPRG dell’anno. Tecnicamente e esteticamente ci siamo, complice anche un utilizzo sapiente dell’Unreal Engine 4 mentre ludicamente parlando abbiamo a che fare con uno dei migliori battle system che la recente storia degli ARPG ricordi. Gli scontri sono divertenti e spettacolari, offrendo molteplici meccaniche con cui interfacciarsi per un divertimento evidente. Nella produzione permangono problemini di carattere narrativo o di level design, con comportamenti innaturali dei personaggi derivanti dal passato della saga e con dungeon che potevano essere realizzati con maggiore cura ma, in ogni caso, tutto ciò non ostacola la fruizione di un titolo che farà impazzire gli appassionati e innamorare molti altri.
This post was published on 8 Settembre 2021 16:09
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