Chi scrive fa parte di quella sparutissima categoria di pazzi che, nel 2010 o giù di lì, invece di investire i suoi soldi in bitcoin o in videogiochi ben più famosi e blasonati decise di comprare un titolo soltanto per l’ammaliante copertina. Dieci anni dopo, in maniera decisamente inaspettata, quello stesso titolo è tornato da chi scrive con qualcosina di nuovo su una piattaforma che mai ci saremmo aspettati di vedere.
Bentornato a casa, El Shaddai: Ascension Of The Metatron.
I dati storici parlano chiaro: El Shaddai Ascension Of The Metatron è un titolo la cui genesi è stata di per sé abbastanza bislacca. A svilupparlo è stata la software house nipponica UTV Ignition Games, casa che ha supportato lo sviluppo di moltissimi titoli senza poi realizzare nessun prodotto veramente degno di nota. A guidare lo sviluppo, però, troviamo un nome mediamente noto negli appassionati: quello di Sawaki Takeyasu.
Sawaki Takeyasu prima di gettarsi col capo chino sulla realizzazione del titolo si è fatto le ossa lavorando come designer per alcuni dei più grandi lavori di Capcom come Devil May Cry o Okami, mettendo il suo zampino in produzioni un po’ più di nicchia come Steel Battalion o Fatal Frame: Mask Of The Lunar Eclipse.
El Shaddai, quindi, è un opera prima di un director che prima di quel momento aveva fatto molte cose diverse tra loro con risultati anche diversissimi, proprio per genere e gusto stilistico. Da una parte troviamo i pennelli calligrafici di Okami, dall’altra i modelli poligonali grezzi della prima Playstation 2.
Il risultato finale ottenuto da Takeyasu e soci in El Shaddai, però, fa impallidire qualsiasi altra cosa venuta prima (e anche molte cose venute dopo).
Andiamo con ordine.
Visivamente irraggiungibile
Da ieri a oggi in El Shaddai: Ascension Of The Metatron non è cambiato niente, anzi.
Dopo aver installato il titolo e dopo averlo avviato da Steam ci ritroveremo davanti ad un paio di finestre che non avrebbero minimamente sfigurato all’interno del panorama PC Gaming del 2010, con impostazioni in finestre sperate da quella di gioco e con poche opzioni grafiche. Come se non bastasse il titolo non è giocabile con la tastiera e supporta soltanto i joypad, elemento che fa storcere il naso ma ci riconsegna con una certa triste nostalgia a quell’epoca ormai passata fatta di giochi che su PC, oggettivamente, ci finivano per sbaglio.
Superato questo primo scoglio è facile notare, con un clic del mouse sull’interfaccia delle opzioni, il primo grande upgrade per i nuovi giocatori: la presenza della lingua italiana. L’originale El Shaddai era completamente in inglese e, in occasione del suo arrivo su PC, Crim Co. ltd (la nuova azienda di Takeyasu) ha deciso di trasportare le avventure di Enoch anche nell’italico idioma. Nel farlo inutile non notare le criticità, con nuovo gioco al posto di nuova partita e qualche svarione quà e là ma il risultato complessivo è gradevole e aiuta i giocatori a comprendere l’impianto narrativo, di per sé piuttosto incasinato.
Ecco, narrativamente parlando El Shaddai: Ascension Of The Metatron è una di quelle cose così splendidamente giapponesi che è impossibile rimanere indifferenti.
Profondamente ispirato dal libro di Enoch, un testo apocrifo di origine giudaica, El Shaddai narra del tentativo dello scriba Enoch di trovare e riportare a casa i sette angeli caduti per impedire il diluvio universale. Nel fare ciò il nostro eroe sarà aiutato da Lucifel, un angelo che vive fuori dal tempo che farà da intermediario tra il nostro protagonista e l’altissimo. In questo suo viaggio durato svariati millenni il giocatore si ritroverà a viaggiare luoghi e dimensioni incredibili, conoscendo ciò che resta dell’umanità dopo che questi sono stati influenzati dagli angeli caduti.
Per noi italiani, cresciuti in mezzo agli infiniti riferimenti cristiani legati all’educazione cattolica e al cattolicesimo praticamente onnipresente, vivere le avventure di Enoch significherà andare a guardare una rilettura incredibilmente fantasiosa di nomi, luoghi e personaggi che avremo sentito parlare durante il catechismo da piccoli. Nonostante un’esposizione tutto fuorché chiara (la storia viene lasciata molto intuire al giocatore, senza spiegoni o troppi dialoghi) è impossibile non rimanere affascinati dalle vicende che ci ritroveremo a vivere nei panni di Enoch.
Gran parte del fascino, però, dipende tutto da qualcosa: il comparto artistico.
Sebbene tecnicamente El Shaddai non sia un gioco particolarmente interessante, complice anche un porting 1:1 dalla versione X360/PS3, al giorno d’oggi pochi sono i titoli in grado di rivaleggiare con lui.
El Shaddai prende le tecniche pittoriche usate da Clover Studio in Okami e le trasfigura per allontanarle ancora di più dal mondo terreno, in modo da poter portare a schermo luoghi che non esistono e mai esisteranno con quella luminosità e quella capacità di stupire.
La grafica poligonale del titolo fa uso di contorni netti per i personaggi, lasciando però le texture dell’ambiente spoglissime, immergendole in un continuo caleidoscopio di colori cangianti. Questo espediente permette al mondo di gioco di ottenere un atmosfera irripetibile, perennemente fuori dal mondo e dal tempo, donando ai panorami un aspetto infinitamente più alieno di qualsiasi titolo fantascientifico mai arrivato su console. I colori si mescolano in palette variegatissime, andando ad utilizzare saggiamente contrasti e chiaroscuri, donando alle volte atmosfere notturne, altre volte atmosfere soleggiate.
Spesso e volentieri elementi alieni al contesto fanno capolino qua e la, andando a straniare ancora di più il giocatore che però non potrà fare a meno di sentirsi all’interno di qualcosa di credibile, un opera creata da un uomo con una certa visione ed un sacco di competenza con determinati mezzi.
Alle volte i luoghi si sforzano di diventare umani (come la torre del capitolo 3) andando a tangere lidi quasi cyberpunk, ispirandosi ad un certo esotismo tipico del Giappone anni novanta che pesca concetti e suggestioni dalla Neo Tokyo di Akira o dalla Honk Kong di Ghost in the shell, senza per forza doverne cogliere lo spirito fantascientifico. El Shaddai fa viaggiare di luogo in luogo senza soluzione di continuità il giocatore, alternando fasi da action/platformer tridimensionale a idee più da platform bidimensionale per una soluzione finale all’atto pratico interessante.
Certo, questi scenari ancora oggi non danno grande senso di esplorazione e l’assenza di una geografia coerente con le regole del nostro mondo rende l’avanzamento piuttosto confusionario ma è difficile sconsigliare El Shaddai per questi motivi, tanto è maestoso il comparto artistico. Assolutamente da mozzare il fiato, artisticamente parlando, sono le sezioni da platform orizzontale, quasi sicuramente ispiratrici del ben più noto Gris uscito circa dieci anni dopo.
Picchiare chi e con cosa, scusa?
Se volete un motivo per non giocare El Shaddai, beh, possiamo provare ad accennare al sistema di combattimento.
All’epoca come oggi il sistema di combattimento di El Shaddai mette insieme una serie di idee anche interessanti (mescolare la semplicità dell’esecuzione con la profondità del decision making) mancando però di mordente, non donando alcun tipo di progressione all’esperienza. Il nostro Enoch potrà contare un solo pulsante per attaccare che, a seconda del ritmo con cui verrà premuto, potrà portare a risultati diversi. Se attacchiamo di continuo otterremo la classica combo da tre colpi, se eseguiamo due attacchi attendendo un istante allora avremo un attacco spezza guardia, se terremo premuto il tasto d’attacco avremo un’ attacco caricato e così via.
Questo sistema di combattimento si arricchisce molto rapidamente nel gioco attraverso la presenza di tre diverse armi, ognuna intrinsecamente legata all’altra nel classico rapporto triangolare dove A<B<C<A (a la Fire Emblem per capirci). Le armi andranno rubate (e purificate) dai nemici; questo funziona un po’ da suggerimento nascosto, andandoci ad indicare in maniera silenziosa cosa è meglio utilizzare per affrontare i chi abbiamo davanti.
Gli scontri quindi acquisiscono un importante elemento di decision making dove, per poter normalizzare quanto possibile il livello di difficoltà degli scontri, sarà necessario comprendere con quale ordine abbattere i nemici in base all’arma che si possiede. Andando più avanti nel gioco sarà anche possibile sbloccare una modalità potenziata con cui poter far ancora più male ai nemici, elemento anche simpatico che però non cambia di molto le carte in tavola.
La varietà dei nemici, infatti, non è altissima e nonostante l’interessante triade delle armi la totale assenza di progressione nel combattimento finisce per rendere l’avventura noiosa in fretta. Le arene in cui si sfidano gli avversari sono sempre le stesse, così come sono le soluzioni belliche da adottare agli scontri che affronteremo durante la stragrande maggioranza dell’esperienza. Molto meglio vanno invece le bossfight, più epiche e dal più ampio respiro che però rappresentano chiaramente la minor parte dell’esperienza.
Un’altra cosa che fa un po’ storcere il naso e rovina lievemente l’esperienza sono le sezioni da platform tridimensionale di cui il gioco è dotato. La scarsa precisione nei salti, specie se non si possiede la planata (potere che appartiene ad una sola delle tre armi, che fortunatamente sono intercambiabili), trasformerà determinati momenti in bagni di lacrime per i giocatori meno coriacei. L’avventura dura poco meno di una decina di ore e, in questa sua riedizione, possiede anche un post finale sotto forma di novel tradotta in inglese e giapponese, non moltissimo ma sicuramente meglio di niente.
Fortunatamente a rialzare il tutto ci pensa la maestosa colonna sonora di Hayato Matsuo, collaboratore spesso vicino a diversi grandi nomi della musica videoludica giapponese che in oltre quaranta tracce mette insieme un panorama musicale di tutto rispetto. I temi si fanno spesso ariosi, con veli di dissonanza e cori che vanno a rendere l’atmosfera inquietantamente eterea; quando le cose si fanno dure, però, il comparto sonoro mette il turbo e si dota di una sezione ritmica sintetizzata di tutto rispetto, elemento che dona ancora più potere alle cantilene di archi che disegnano le melodie.
Il risultato finale è grandioso, per una colonna sonora tristemente poco conosciuta che meriterebbe ancora di più. Hayato Matsuo, con non si sa quale ispirazione, è riuscito a creare un accompagnamento degnissimo per uno dei mondi più incasinati e meglio visualizzati degli ultimi quindici anni di storia videoludica.
El Shaddai: Ascension Of The Metatron è un titolo particolare, che meritava una re-release su PC forse migliore di questa ma che, anche così, è meritevole dell’attenzione di noi giocatori. Forte di un prezzo semi budget e di un comparto artistico di primissimo ordine, diviso tra un art direction irripetibile ed un sonoro incredibilmente bello, il titolo di Sawaki Takeyasu si fa apprezzare nonostante un gameplay un po’ scialbo che meritava anche all’epoca cura extra. La nuova versione pc del titolo può vantare anche una novel narrativa che racconta ciò che succede dopo il finale del gioco, un po’ pochino indubbiamente, ma niente che possa allontanarci dal mettere chiaro su tondo il succo della questione. Se volete un videogioco artisticamente inarrivabile, con molte belle suggestioni e siete disposti a passare sopra ad un gameplay non esattamente esaltante avete trovato il gioco per voi.
PRO
- Artisticamente irraggiungibile
- Musiche e sonoro di altissimo livello
- Il senso di meraviglia è praticamente continuo per tutta la durata dell'opera
- C'è una novel conclusiva per gli appassionati...
CONTRO
- E praticamente nessun contenuto per tutti gli altri
- Gameplay rimasto bruttino esattamente come all'epoca
- Sezioni platform molto imprecise
- Porting PC indecoroso
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