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Recensioni

Glyph | Recensione (PC): di scarabei, enigmi e sabbia

Se c’è qualcosa che chi scrive trova rilassante, beh, quelli sono i platform games con gli elementi da puzzle. Giochi in cui esplorare nuovi mondi, facendo salti precisi e risolvendo enigmi sfruttando correttamente l’ambiente circostante.

Quando chi scrive ha visto il trailer di Glyph non poteva far altro che buttarsi a capofitto su tale produzione: uno scarabeo, distese infinite di sabbia desertica, salti concatenati e tanti ostacoli.

Nessun nemico da affrontare, nessuno manovra prettamente offensiva: solo il vibe rilassante contenuto in un certo tipo di gaming, quasi andato perso a cavallo della settima generazione videoludica. Glyph, come se non bastasse, è un videogioco un po’ atipico per la sua software house, una piccola startup danese chiamata Bolverk Games principalmente nota per il suo lavoro con la realtà virtuale.

Bando alle ciance: vediamo subito con che cosa stiamo avendo a che fare.

Sabbia, scarabei e strane civiltà

Ripartiamo da zero: Glyph è un platform tridimensionale con elementi da puzzle game. Il titolo è un videogioco dalla grafica semplice e dall’animo gentile che mira a conquistare il giocatore proponendo una formula non molto utilizzata nel corso degli ultimi anni dal gaming mainstream.

Il titolo è infatti un videogioco dove conoscenza della fisica e padronanza del sistema di controllo sono requisiti molto importanti da possedere per poter ottenere ottimi risultati.
Questo perché il platforming del titolo non è orientato (del tutto) alla velocità o al dinamismo dell’azione ma più alla precisione del giocatore e alla concatenazione di meccaniche di movimento.

La narrativa sottesa al titolo è molto semplice e anche più interessante di quanto realmente credevamo. Il nostro viaggio comincia con niente poco di meno che la nostra resurrezione da parte di un saggio scarabeo chiamato Anobi.

Questo, attraverso un rituale ci fa risorgere dalle viscere di determinate rovine sotto forma di Glyph, un’altro scarabeo robotico che ha un compito ben preciso: far tornare quelle che sono le rovine della civiltà degli scarabei al loro antico splendore. Per fare ciò sarà necessario porre fine alla corruzione che ha distrutto il cuore della creazione, un artefatto che funge da fonte di energia primaria per la razza degli scarabei.

La storia di questa razza ci verrà raccontata progressivamente da Anobi livello per livello, ottenendo parallelamente dei suggerimenti interessanti la cui natura vi spiegheremo dopo. Complessivamente il worldbuilding del titolo non possiede caratteristiche degne di tal nome, non stiamo parlando delle raffinate costruzioni tolkeniane o martiniane ma rappresenta un buon elemento aggiuntivo quando,, di livello in livello, saremo costretti a prenderci un secondo di pausa girando la telecamera alla ricerca del giusto percorso.
A nostra detta questa scelta degli sviluppatori rappresenta un valore aggiunto all’aspetto centrale del gameplay.

L’introduzione con Anobi ha anche una specifica motivazione ludica: il tutorial.
Il saggio scarabeo, lentamente, ci darà tutte le indicazioni su cosa il nostro personaggio può realizzare.

Il nostro simpatico Glyph si muove per le rovine sotto forma di piccola sfera ed ha un moveset composto da poche ma efficaci mosse: un salto (moltiplicabile in doppio o triplo salto in base a dei pannelli o cerchi particolari), una schiacciata a terra (perfetta per atterrare su piattaforme molto piccole mentre ci si muove per aria) ed una planata (perfetta per arrivare in piattaforme anche lontane senza doversi inventare salti incredibili.

Il level design del titolo pone l’accento su un concetto ben preciso: the floor is lava aka tutto quello che non è sabbia è per noi sicuro ma sei nel bel mezzo del deserto quindi buona fortuna

I livelli sono composti solitamente da una serie di piattaforma concatenate tra di loro a grandi distanze, intervallate da enormi distese di sabbia. Tra le piattaforme, le colonne e i vari ostacoli tra il punto di partenza e l’uscita dal livello troveremo anche monete, gemme, artefatti a forma di scarabeo, chiavi e altre tipologie di collezionabili, tutti elementi che fungono da vero motore portante dell’esperienza.

Mai morire è stato più dolce

Glyph ha un anima da collectathon lite perché chiede al giocatore di raccogliere dei collezionabili per poter proseguire nella sua evoluzione: le monete servono per sbloccare i livelli nell’hub di gioco, le gemme servono per sbloccare le nuove aree dell’hub di gioco, gli scarabei servono per sbloccare i livelli time trial (vera fonte di bestemmie dell’esperienza) mentre le skin, beh, quelle servono per il cuore del giocatore.

L’ultimo collezionabile, forse il più oggettivamente importante per il giocatore, è composto dalle chiavi. Le chiavi sono una tipologia di oggetto presente in praticamente tutti in livelli in una o più copie ed hanno il compito di sbloccare al giocatore l’uscita dal livello.

Messa così il titolo sembra essere privo di qualsiasi voglia di relax ma i ragazzi di Bolverk Games hanno avuto un’ intuizione tanto semplice quanto intelligente.

Gli oggetti non indispensabili al proseguimento del livello quando si muore non vengono persi, il giocatore alla morte deve semplicemente ri-recuperare le chiavi per poter uscire.

Questo trasforma l’esperienza di Glyph da un gioco potenzialmente molto frustrante ad un titolo decisamente più rilassato che non sacrifica nulla della sua difficoltà, specie perché grazie a questa impostazione i giocatori più hardcore potranno riaffrontare i livelli con due idee differenti: ottenere i segreti o completando il livello nella maniera più veloce possibile.

Le skin sopracitate, infatti, sono nascoste in ogni livello dietro sfide non sempre comprensibili fin da subito. Come dicevamo sopra il buon caro Anobi, oltre a raccontarci di come funzionava il mondo degli scarabei, approfitterà di ogni stage per darci un indizio su come trovare l’oggetto nascosto del caso. Alle volte sarà necessario completare una determinata sequenza di azione, altre volte sarà necessario attivare interruttori nascosti in punti improbabili, altre volte sarà necessario lanciarsi in salti complicatissimi attraverso ostacoli. Per i completisti Glyph sarà un videogioco tutto fuor che semplice, visto il livello mediamente alto d’inventiva dei livelli.

In ultimo punto troviamo i livelli time trial, vere e proprie corse contro il tempo che chiedono al nostro scarrafonewannabe di arrivare dal punto A al punto B in meno tempo possibile ottenendo, nel frattempo tutte le chiavi.

Questi livelli, specie per chi punta al completismo, saranno vere e proprie valli di lacrime con tempi strettissimi e manovre al limite dell’impossibile. In questi casi più di altri, a volerla dire tutta, si notano degli picchi di difficoltà che faranno agitare più di un giocatore.

Il gusto del rotolare

Dagli ingredienti che finora abbiamo messo sul campo, pochi e anche semplici volendo dire, molti giocatori potranno già alzare le mani dicendo che “sto gioco non fa per noi”.
Sebbene questa cosa potrebbe anche essere vera Glyph merita di essere provato anche soltanto per la bontà e la morbidezza del sistema di controllo, al momento allo stato dell’arte all’interno di quella nicchietta di platform tridimensionali.

C’è un indicatore per la posizione a terra del nostro personaggio mentre siamo in volo, la telecamera è morbida, il sistema di conservazione del momento angolare (importantissimo per i salti più avanzati o per gli skip) è semplice da apprendere ed il senso di velocità è ben realizzato, andando quindi ad incentivare anche i giocatori meno smaliziati a procedere in maniera veloce per potersi divertire di più.

La presenza di opzioni del gioco destinate al pubblico degli speedrunner andranno sicuramente a dare vita ad una piccola community che, si spera con il sussidio di qualche streamer, trasformeranno Glyph in un interessante prodotto per giocatori e hardcore gamer.

Dal punto di vista prettamente tecnico la versione da noi provata su PC gira senza particolari problemi a qualsiasi livello di dettaglio, complici le basse richieste in termini di requisiti del sistema. Le ambientazioni chiaramente non abbondano per numero di elementi o poligoni a schermo ma si fanno apprezzare; a mancare, magari, è la varietà estetica che non abbandona mai del tutto il mood egizieggiante ma è un dolore sopportabile, credeteci.

Di salto in salto verremo accompagnati da una colonna sonora d’ambiente di buona qualità, con temi meno banali del previsto perfetti per incentivare un mood concentrato e rilassato. Anche questo elemento, in Glyph, va a sostenere un sostrato di animo zen che si insinuerà ben presto nel giocatore tra un game over e l’altro.

Dare un giudizio complessivo a Glyph è difficile perché è un gioco d’altri tempi, con poche pretese e moltissima ciccia. Quello che c’è nel titolo è abbastanza per divertire un giocatore per una decina d’ore, con un gameplay non innovativo ma funzionale il giusto. Il sistema di controllo è intelligente e morbido, le scelte fatte dai designer in termini di struttura dei livelli sono intelligenti ed il comparto tecnico lavora in perfetta sinergia con l’animo rilassato del prodotto. Glyph è quindi un videogioco molto interessante, consigliatissimo a chiunque cerchi un prodotto rilassante e ben realizzato.
Chiaro è che, se non si è interessati a questo genere di esperienza, difficile Glyph farà cambiare idea a persona alcuna.

This post was published on 8 Agosto 2021 9:00

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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