Vi confesso che, non appena mi è capitato sotto gli occhi il trailer di Where the Heart Leads, sono stato pervaso da una sensazione che oramai ho imparato a riconoscere fin troppo bene. Vi siete mai imbattuti in un’opera che, sin dal primo momento, vi ha coinvolti così tanto da strapparvi il cuore dal petto e gettarlo in un frullatore? No? Fortunati! Chi vi scrive, superata la soglia dei 30 anni, si è trovato a fare i conti con un’emotività che non pensava neanche di possedere. Si dice che la vecchiaia faccia brutti scherzi, beh… hanno dannatamente ragione.
Ebbene, quando i primi fotogrammi di questo titolo si sono parati innanzi al mio sguardo, ho avuto la sensazione che il videogame targato Armature avesse qualcosa di importante da comunicare e che potesse sconvolgere, anche solo per qualche ora, lo spirito di un giocatore che crede di aver già visto e “vissuto” tutto.
E che cosa ho visto, che cosa ho fatto, che cosa ho vissuto nelle circa 15 ore che ho impiegato per arrivare ai titoli di coda? Ho esplorato, mi sono divertito (tanto), mi sono annoiato (poco) e, soprattutto, sono stato investito da un mix di quelle emozioni che, alla fine della fiera, compongono quel diamante dalle mille facce che è la vita umana.
Vi ho incuriositi almeno un po’? Bene, nelle righe che seguono cercherò di descrivere al meglio che cosa vi attende in Where the Heart Leads, descrivendone pregi, difetti e tentando di carpire l’essenza di questa avventura grafica di chiara matrice indie.
Ci troviamo a Carthage, una piccolo villaggio di campagna. È notte, piove che Dio la manda, i tuoni non smettono di rimbombare. Sembra un giorno come tanti altri, ma la quiete della famiglia Anderson sta per essere irrimediabilmente sconvolta; un rumore assordante sveglia tutti di soprassalto, e stavolta non si tratta degli agenti atmosferici: nel bel mezzo della loro fattoria, si è aperta una dolina, una spaventosa voragine di cui non si riesce nemmeno a vedere il fondo.
Whit e Rene sono spaventati, così come anche i loro figli Kate ed Alex, ma c’è qualcuno che manca all’appello: Casey, il cane di famiglia, è caduto all’interno del crepaccio. La cagnolina è ancora viva, ma l’acqua continua a scrosciare ed è chiaro che i soccorsi non arriveranno mai in tempo. È in questo momento che Whit, il capofamiglia, se ne esce con una delle sue idee tanto audaci quanto strampalate: con una vecchia vasca da bagno, qualche fune ed una carrucola si cala nel baratro e riesce a trarre in salvo la piccola Casey.
Tuttavia, nel momento in cui il nostro eroe sarà chiamato a salvare la sua di vita, non sarà altrettanto fortunato: la carrucola si inceppa, facendo cadere l’uomo nelle profondità di questo antro oscuro. Contro ogni previsione, Whit riesce a sopravvivere, trovandosi però bloccato all’interno di un’enorme grotta carsica; anche in questo caso, attendere i soccorsi non è un’opzione percorribile, e l’unica scelta disponibile sembra essere quella di lanciarsi all’avventura e trovare una via che porti alla superficie.
Sin dai primi passi, però, si capisce che il luogo in cui ci troviamo non è una comune caverna; il nostro Whit non può ancora saperlo, ma non è semplicemente sceso qualche metro sotto terra: in questo luogo onirico, egli sarà chiamato a ripercorrere le tappe essenziali della sua vita passata, presente e futura, avendo la possibilità più grande di tutte: cambiare quelle decisioni che hanno plasmato l’esistenza sua e di Carthage che, da città rurale e bucolica, si trasformerà pian piano in un moderno agglomerato urbano.
Forse a molti il nome Armature Studio non dirà molto e, in effetti, la sua produzione è stata limitata alla realizzazione di porting e titoli VR, con poche eccezioni: Dead Star (uno sparatutto online) e ReCore, una delle prime (e sfortunate) esclusive Xbox One. Nonostante la sua giovane età, Mark Pacini e Todd Keller, i due creatori dello studio, possono vantare un pedigree di primissimo rilievo, legato a doppio filo ai lavori realizzati per il franchise Metroid.
Fatto questo piccolo preambolo, è bene che sappiate che Where the Heart Leads è quanto di più lontano dai titoli menzionati in precedenza. Il videogame in questione è infatti un’avventura grafica, in cui la narrazione la fa da padrone, e che ha i suoi punti di riferimento più evidenti in Life is Strange e Detroit: Become Human, per dei motivi che ora vi spiegheremo.
Come in tutte le opere di questo genere, il gameplay consisterà nell’esplorare i vari stage, raccogliere informazioni ed oggetti, applicarli ad alcuni enigmi che potrete tanto risolvere quanto ignorare e, soprattutto, nell’interazione con i vari NPC in cui vi imbatterete. I personaggi che costelleranno la storia del nostro Whit sono tanti e tutti ben caratterizzati: dall’amorevole ed energica Rene all’istrionico fratello Sege, passando il burbero padre Alder e per i piccoli Kate ed Alex (il cui avvenire sarà totalmente nelle vostre mani), fino ad arrivare all’enigmatico Vernon, la cui identità verrà chiarita solo alla fine del vostro viaggio.
Per arrivare a conoscere ogni singolo attore in scena, inutile dirlo, dovrete passare attraverso tanti dialoghi, attraverso cui conoscerete i loro sogni, le loro paure, i loro pregi ed i loro lati oscuri più o meno nascosti. Arriverà il momento in cui dovrete prendere delle decisioni, e badate bene: il butterfly effect si nasconde anche dietro la più ininfluente delle scelte.
Come il titolo Dontnod ci insegna, basta poco per imprimere una sterzata all’esistenza nostra e di chi ci sta a cuore. Un rimprovero non impartito, una parola di troppo, un fiore non colto, un’ambizione non incoraggiata, ognuna di queste azioni ha (o potrebbe avere) un peso specifico non indifferente e ci porterà, prima o poi, a dover fare i conti con le conseguenze che discendono da quella decisione.
Per fare un esempio: nelle prime ore di gioco, nostro fratello Sege ci confesserà di aver combinato una grossa sciocchezza, che ha causato dei danni tremendi alla famiglia di una persona che ci sta a cuore; di lì a breve, arriverà un momento in cui dovrete decidere se coprire la suddetta bravata o se, invece, dire la verità. Va da sé che, a seconda della scelta compiuta, alcuni degli eventi futuri cambieranno del tutto, rendendo Where the Heart Leads, sotto questo aspetto, molto simile a Detroit: Become Human.
Come sottolineato in precedenza, i bivi narrativi che saremo chiamati ad affrontare sono numerosi e non sempre evidenti. Molto spesso, infatti, basterà semplicemente interagire o meno con determinati personaggi per far scattare la scintilla del cambiamento; tale scintilla, inutile dirlo, arriverà molto spesso a toccare anche voi in prima persona, in modi spesso imprevedibili.
Nonostante il titolo Armature non raggiunga i picchi toccati dal capolavoro Quantic Dream (che prevedeva intere sezioni in più o in meno a seconda delle decisioni prese), è possibile affermare che la curiosità di scoprire ogni sua possibile piega narrativa è veramente alta.
Volendo sempre soffermarci sulla narrazione, vera e propria chiave di volta dell’esperienza di gioco, non sempre questa risulta scorrevole. Vi sarò onesto: Where the Heart Leads alterna dei momenti in cui dovrete tenere il fazzoletto a portata di mano ad altri in cui, invece, vorreste quasi saltare a piè pari intere sezioni di dialoghi (purtroppo non localizzati in italiano, anche se comprensibili). Quanto ora detto va a spezzare il ritmo del racconto, soprattutto nelle battute finali della trama, che potevano essere rese in maniera più “agile”; tuttavia, volendo adottare una visione più ampia, questa caratteristica non stona affatto con ciò che il team creativo vuole comunicare: la vita non è forse un costante alternarsi di momenti belli, di momenti tristi e di altri in cui vorresti premere il tasto “skip”, ma che invece siamo costretti a sopportare?
Abbiamo etichettato Where the Heart Leads come avventura grafica, ma certi suoi aspetti risultano essere quantomeno atipici; uno su tutti: la visuale isometrica. Vi confesso che, da un punto di vista squisitamente estetico, poter osservare i movimenti del nostro Whit dall’alto fa apprezzare tantissimo la cura che Armature ha speso nella realizzazione della sua creatura. Muoversi nel verde lussureggiante delle fattorie, nelle strade cittadine ricoperte di neve durante l’inverno, o nelle profondità della caverna, con i suoi magici giochi di luce, vi darà l’impressione di essere all’interno di un quadro impressionista.
Tuttavia, se da una parte questa visuale rende giustizia alla componente artistica dell’opera, dall’altra ci “allontana” dai suoi protagonisti, rendendo più difficile scorgere i loro movimenti, dovendo fare affidamento solo sulle parole pronunciate e sui toni della magnifica colonna sonora (allegra, briosa e, al tempo stesso, tanto malinconica). La possibilità di “zoomare” (premendo il dorsale destro) cerca di accontentarci, ma senza mai consentire al giocatore di avvicinarsi troppo e, forse, anche questa è una scelta autoriale dal forte significato metaforico.
Anche le interazioni con i personaggi e l’ambiente circostante non sono sempre intuitive. Nonostante le avventure grafiche dispongano di pochi comandi, per iniziare un dialogo con un NPC dovremo collocarci quasi sempre in una specifica posizione, in modo da far apparire il prompt per l’interazione che, altrimenti, non comparirà. Nulla di irrisolvibile, sia chiaro, si tratta di una piccola stonatura che, però, impedisce una corretta fruizione del titolo.
Con la sua estetica minimal ed i suoi colori acquerellati, Where the Heart Leads ci fa calare all’interno di una vicenda dai toni malinconici e tanto, tanto umani. La creatura di Armature si presenta come un’avventura grafica volutamente non per tutti, in cui si è chiamati a leggere molto e ad immedesimarsi di più, con un ritmo narrativo piuttosto lento e compassato, ma capace di emozionare il giocatore. I tanti bivi narrativi spingono a voler esplorare tutte le possibili evoluzioni delle vicende della famiglia Anderson, essendo ben consapevoli che il lieto fine, purtroppo, esiste solo nelle fiabe.
Se avrete la pazienza e la voglia di immergervi appieno nella storia di Whit, dei suoi cari e della popolazione di Carthage, vivrete un’esperienza che, nel bene e nel male, vi lascerà un segno, e che ci aiuta a capire quanto anche la più piccola delle decisioni possa avere delle conseguenze tanto imponderabili quanto profonde. Perché non sempre le strade su cui decidiamo di incamminarci portano alla meta desiderata, ma è altrettanto vero che spesso la scelta giusta è proprio quella davanti ai nostri occhi: certe volte, basta solo seguire il cuore.
This post was published on 13 Luglio 2021 21:00
Google Maps è uno strumento utile ma anche un potenziale problema alla privacy personale: ecco…
Silent Hill 2 Remake nasconderebbe un segreto che avvalorerebbe una teoria dei fan. Per scoprirlo,…
Questo mouse Logitech è il più venduto del momento su Amazon: precisione e comfort su…
Nuovo bonus appena confermato da Vodafone che permetterà a tutti gli italiani di accedere a…
Nel mondo del digitale terrestre sta per arrivare una nuova sperimentazione da parte di RAI…
Cristina Scabbia dei Lacuna Coil ha un brano in Call of Duty Black Ops 6…