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Biomutant | Recensione post apocalittica (PS5)

Vi ho mai detto qual è la definizione di vaporware, si? Vaporware è pubblicare e ripubblicare gli stessi c*zzo di comunicati stampa, ancora e poi ancora, sperando che il gioco veda finalmente la luce. Questo è il vaporware!

Perdonatemi la citazione dotta (?) ma, come ben saprete, la linea che divide i videogame dal vaporware è spesso talmente sottile da far tremare i polsi anche ai critici più navigati (ed io di certo non rientro nel novero). Pensateci bene: quasi tutti noi abbiamo adorato un gioco che, per una ragione o per un’altra, è stato risucchiato nelle fauci di quel Sarlacc digitale indicato con questo neologismo dalla forte carica sardonica. The Last Guardian, Cyberpunk 2077, Half-Life 3, Star Citizen, Deep Down, WiLD, Duke Nukem Forever: cosa accomuna tutti questi titoli? Il fatto di essere stati avvolti da una fitta coltre di cybernebbia, da cui soltanto alcuni sono riusciti ad uscire, dopo anni di “morte presunta” e, spesso, in una forma tutt’altro che smagliante.

Biomutant non ha avuto una storia non molto diversa da quella delle opere poc’anzi citate: in lavorazione sin dal lontano 2015 (anno di fondazione del suo studio di sviluppo), annunciato pubblicamente nel 2017 e, dopo qualche anno di “silenzio stampa”, pubblicato lo scorso 25 Maggio 2021. Il titolo in questione è l’opera prima di Experiment 101, team creato da ex dipendenti di Avalanche Studios che, nell’afosissima Gamescom del 2017, si erano presentati con un importante biglietto da visita: un action RPG ambientato in un mondo aperto post apocalittico, il cui gameplay prevedeva sia combattimenti in corpo a corpo che con armi da fuoco.

Nonostante delle ottime premesse, la lunga (e complessa) gestazione del titolo non ha avuto l’esito che tutti avremmo sperato. Voglio essere chiaro con voi fin dall’inizio: Biomutant offre diversi spunti interessanti, ma è un’esperienza di gioco tutt’altro che perfetta, con dei problemi che si palesano sin dai primi minuti. Nelle righe che seguono, cercherò di spiegare al meglio cosa funziona e ciò che, invece, si è inceppato.

Mai… mai… scorderai…

l’attimo… la terra che tremò…

Nostalgia (canaglia) a parte, non crediate di aver mancato così tanto il bersaglio. In un futuro non si sa quanto lontano, il mondo così come noi lo conosciamo non esiste più: le scellerate politiche della Toxanol Corporation hanno scatenato dei veri e propri cataclismi ecologici, concretizzando gli incubi più tetri di Greta Thunberg. Una melma tossica ha inquinato le acque, compromettendo l’ecosistema e causando l’estinzione di quasi tutte le specie, umani compresi. Tuttavia, questa apocalisse biologica non è stata la fine, ma un nuovo inizio!

Obbedendo alla teoria darwiniana, gli esseri viventi sopravvissuti sono stati chiamati ad una semplice scelta: evoluzione o morte. Questo bivio obbligato ha plasmato profondamente il pianeta, popolandolo di creature bizzarre e consentendo alla natura di riappropriarsi dello spazio occupato dalle carcasse di cemento del Mondochefu. Ed è proprio in uno di questi edifici che ha inizio la nostra avventura: subito dopo aver creato il protagonista (con un editor decisamente ben fornito), ci ritroveremo a vestire i panni di una creatura dal passato misterioso e sulle cui spalle grava la più grande delle fatiche.

Il nostro “procione bipede” sarà infatti chiamato a salvare il mondo da un nuovo cataclisma. L’Albero della Vita è sul punto di morire: quattro entità note come Mangiamondo, stanno letteralmente rosicchiando le sue radici e, nel caso in cui riuscissero nell’impresa, questa volta sarebbe davvero la fine di tutto. Come se tutto ciò non bastasse, le altre creature dotate di intelletto sono in subbuglio: le sei tribù in cui sono divise sono in lotta tra di loro, indecise se sia più opportuno salvare l’Albero o lasciarlo morire, sperando nell’avvento di una nuova era.

Inutile dire che saremo proprio noi a decidere il destino del mondo, esplorandolo in lungo e in largo, facendo scelte che lo “illumineranno” o ne “oscureranno la luce”, scoprendone la lore e, al tempo stesso, cercando di ricostruire la nostra storia personale, tra un flashback e l’altro.

Bivi narrativi, lore ed un (insopportabile) narratore

Sceglierete di salvare il mondo o di lasciarlo morire?

La nostra avventura inizia in un bunker del Mondochefu e, subito dopo esserne usciti, già veniamo messi di fronte alla prima scelta che, di fatto, andrà ad influenzare direttamente la trama. Come detto in precedenza, le tribù sono indecise su come affrontare la minaccia dei Mangiamondo, ed è proprio su questo punto che dovremo schierarci, prendendo la parte dei Jagni (tribù guerriera, propensa a lasciar morire l’Albero della Vita) o dei Miriadi (tribù pacifica e dai forti valori, decisa a salvare il mondo). A seconda della strada che imboccheremo, cambierà l’obiettivo finale, anche a seconda del karma del nostro personaggio (su cui torneremo in seguito).

Siccome della razza umana non è rimasto che un vago ricordo, le specie post apocalittiche parlano dei linguaggi a noi incomprensibili; a correrci in aiuto sarà un’onnipresente voce fuori campo, che rivestirà il ruolo di narratore, descrivendo qualsiasi cosa o evento in cui ci imbatteremo, che si tratti di un nuovo bioma, di una svolta narrativa o anche solo di qualche nota di colore.

Biomutant è un’esperienza di gioco che ruota quasi completamente attorno alla trama; tuttavia, la narrazione non convince del tutto. La storia si dipana in maniera piuttosto frammentata e, al di là di un paio di colpi di scena, non lascia il segno nello spettatore, forse anche a causa del modo in cui viene presentata. La scelta di affidare tutto ad un narratore “esterno” senza dubbio favorisce la vena ironica di cui il gioco è intriso, ma non aiuta l’utente ad immedesimarsi nella vicenda, finendo spesso col tediarlo con le solite 4 o 5 frasi che accompagneranno pedissequamente le nostre esplorazioni. Fidatevi di me: non appena ne avrete l’occasione, quasi sicuramente sceglierete di ridurre al minimo gli interventi della voce fuori campo.

Se la scoperta della lore del Mondochefu è intrigante, altrettanto non può dirsi di quella del passato dell’eroe: i flashback esplicativi sono concentrati quasi tutti all’inizio dell’avventura, lasciando però parecchi interrogativi inevasi. Aggiungeteci degli NPC secondari tanto simpatici quanto poco approfonditi ed avrete scoperto uno dei primi limiti del titolo Experiment 101.

Pistole, armi bianche, crafting estremo e… Wung-Fu!

Sarete portatori di luce o di ombra?

Sin dalla sua presentazione, Biomutant prometteva un gameplay ibrido, basato tanto sugli scontri a fuoco quanto su quelli in corpo a corpo, senza ovviamente dimenticarci degli elementi ruolistici e di un po’ di sane fasi platform. Qual è stato il risultato finale? Un po’ pazienza e lo scoprirete.

L’editor iniziale ci consente di creare il nostro personaggio in maniera piuttosto approfondita, facendoci determinare il suo DNA, ovvero sesso, specie di appartenenza, classe, resistenze elementali, colore della pelliccia ed attributi di partenza. Questi ultimi andranno ad influenzare direttamente le sembianze fisiche del protagonista: una “dose abbondante” di Intelligenza, ad esempio, aumenterà le dimensioni della testa dell’eroe; se invece prediligeremo l’Agilità, potremo contare su delle gambe più lunghe.

Non appena incontreremo i primi nemici, faremo conoscenza con il combat system, croce e delizia di questa esperienza di gioco. Potremo scegliere di affrontare i nostri avversari nel maniera che più riteniamo idonea, facendo ricorso alle armi bianche, alle tecniche di Wung-Fu o, infine, alle care, vecchie pistole. Qualunque sia la vostra scelta, le possibilità di personalizzazione saranno tantissime: esplorando la vasta mappa di gioco, troveremo una serie praticamente infinita di armi e pezzi di equipaggiamento totalmente personalizzabili. Qualora nessuno degli oggetti dovesse soddisfare le nostre esigenze, potremo sempre decidere di crearne di nuovi, utilizzando tutto ciò che abbiamo raccattato in precedenza.

Attraverso il menu di crafting, potremo customizzare ogni arma ed armatura in nostro possesso, modificandole all’occorrenza e, di fatto, garantendo una notevole profondità al videogame.

È ora arrivato il momento di esaminare l’altra faccia della medaglia.

Un combat system ibrido

Le battaglie contro i boss sono tutte molto ben congegnate.

Diciamolo chiaramente: coniugare combattimento corpo a corpo, all’arma bianca ed a distanza non è di per sé un’impresa semplice; se poi volessimo inserire queste meccaniche in un open world alla Fallout, la difficoltà realizzativa sarebbe ancora maggiore. Sento già la vostra domanda: qual è stato il risultato ottenuto da Biomutant?

Il sistema di combattimento messo in piedi da Experiment 101 si presenta sin da subito come caotico, consentendoci di passare senza grossi intoppi dalle armi da fuoco alle quelle bianche, senza ovviamente disdegnare le arti marziali. Sotto questo aspetto, man mano che accumuleremo punti esperienza, potremo sbloccare tutta una serie di combo (più o meno spettacolari) che andranno a mescolare tutti questi stili di combattimento.

A questo punto, devo vestire i panni del guastafeste: nonostante queste buone premesse, sappiate che tutto o quasi passerà attraverso le armi da fuoco. Le pistole ed i fucili, infatti, rappresenteranno la fonte di danno più alta, consentendoci anche di tenere a distanza i nostri avversari; tutto questo senza considerare che i boss di fine livello dovranno essere affrontati quasi obbligatoriamente in questo modo. Detto questo, è comunque possibile affrontare tutta una serie di nemici ricorrendo alle armi bianche o al Wung-Fu, ma si tratta quasi sempre dell’opzione più rischiosa, in quanto il combattimento corpo a corpo è il più ruvido ed impreciso dei due, con delle parate e delle schivate con cui non sempre riusciremo ad evitare gli attacchi avversari. Sempre sotto questo aspetto, poco spazio è lasciato ai poteri psionici che, per quanto interessanti e belli da vedere, saranno quasi sempre relegati agli scontri secondari.

Armi tanto post apocalittiche quanto letali.

Volendo concentrarci su pistole e fucili, abbiamo sottolineato le enormi possibilità di customizzazione, grazie ai tantissimi pezzi che troveremo in giro per il mondo di gioco, che doneranno un ulteriore tocco post apocalittico al nostro arsenale. Tuttavia, soltanto una minima parte di questi rappresenterà un vero e proprio upgrade, con la conseguenza che, in pochissimo tempo, il vostro inventario sarà pieno zeppo di parti con poca (o nessuna) utilità. Chi vi scrive, ad esempio, ha affrontato il gioco (a modalità “Normale”) fabbricando due soli fucili ed una sola arma bianca, riuscendo ad aver agevolmente ragione di qualsiasi minaccia.

Cercando di riassumere tutto in poche parole, il combat system di Biomutant si presenta come un’esperienza ibrida, che presenta tante possibili variazioni sul tema, senza però approfondirne realmente nessuna.

DNA, karma e scelte fondamentali (ma non del tutto)

Il lato artistico del gioco è decisamente notevole.

Come detto in precedenza, Biomutant ci consente di creare un personaggio in una maniera decisamente approfondita, facendoci scegliere e modificare praticamente ogni suo aspetto. Tuttavia, se all’inizio tutte queste possibilità mi avevano catturato non poco, col passare delle ore mi sono reso conto di quanto tutto ciò costituisse un fattore meramente estetico.

Partiamo dall’editor del protagonista. L’appartenenza ad una o un’altra specie, così come la determinazione dell’aspetto fisico (causato dalla distribuzione dei punti esperienza iniziali) e le resistenze elementali, avranno un’importanza piuttosto relativa, e quasi del tutto limitata alle prime ore di gioco. Andiamo con ordine.

La specie di appartenenza, come spesso accade in altri RPG, si riduce ad essere una semplice skin applicata al personaggio, senza aggiungere quasi niente di rilevante a skill e perk. Spostandoci sui punti esperienza, invece, la distribuzione iniziale avrà sì una sua importanza, ma limitata nel tempo. Se è vero che poter contare su una maggior Intelligenza e/o Agilità potrà tornarci utile, è altrettanto vero che, impiegando il giusto numero di ore, potremo accumulare punti esperienza utili a colmare tutte le lacune del nostro personaggio. Temevate che aver lesinato su determinate statistiche avrebbe potuto compromettere la vostra avventura? Niente paura, basterà solo livellare un po’! Ma quindi a che cosa è servito scegliere tra una testa grande, delle gambe lunghe o un addome più tozzo? Praticamente, a determinare l’aspetto del vostro protagonista peloso e poco altro.

Quanto detto si applica tranquillamente anche alla classe ed alle resistenze elementali. Le seconde, in parole povere, ci consentiranno di accedere in zone ad alto rischio, in cui saremmo capaci di resistere pochissimi istanti. Le aree in questione (ben visibili sulla mappa di gioco) diventeranno liberamente esplorabili nel momento in cui troveremo le relative tute isolanti; tuttavia, ancora una volta, basterà semplicemente accumulare un po’ di punti esperienza (e determinati oggetti collezionabili) per raggiungere agevolmente più del 90% di resistenza ad un singolo elemento, rendendo del tutto superflua la necessità di un equipaggiamento adeguato.

Le cinque classi disponibili, per quanto ben diversificate, presentano delle differenze solo nelle prime fasi di gioco; anche in questo caso, infatti, vi basterà accumulare qualche ora di gioco e, al prezzo di qualche skill point, potrete tranquillamente acquisire le abilità tipiche delle altre classi. Avete scelto il Commando perché, fondamentalmente, volevate essere dei Rambo in pelliccia? Vi basterà giocare per un po’ ed il vostro pistolero potrà anche sfoggiare dei poteri psionici da fare invidia a Gandalf il Bianco. Quanto ora detto se, da un lato, consente di sviluppare un personaggio pressoché inarrestabile (soprattutto dopo le 20 ore di gioco), dall’altra manda a farsi benedire il tempo speso a creare il protagonista, facendo perdere significato all’elemento ruolistico.

Sempre a proposito di elementi ruolistici, anche le scelte ed il karma hanno un’importanza quasi unicamente di facciata. Nel primo caso, le decisioni che andranno ad influire direttamente sulla trama e sul suo epilogo sono pochissime (due o tre) e quasi mai veramente irreversibili; volendo fare un esempio, la stessa alleanza tribale potrà essere letteralmente ribaltata in seguito. Quanto ora detto è applicabile anche al sistema karmico: nel corso del nostro viaggio, saremo chiamati a compiere delle scelte, favorendo il lato luminoso della nostra coscienza o quello oscuro. Anche in questo caso, l’apparenza ci suggerirebbe che una scelta cattiva possa influenzare più o meno direttamente il prosieguo dell’avventura, ma non è così che stanno le cose.

Scegliere di essere buoni o cattivi influirà sui poteri psionici a cui avremo accesso, ma anche qui la scelta non sarà mai immodificabile. Dopo aver raggiunto il massimo grado di luce, ad esempio, potremo iniziare a coltivare il nostro “lato oscuro”, potendo così sbloccare anche le poteri magici dell’ombra. Al di là di alcune linee di dialogo diverse con qualche NPC, il karma non ha davvero altre funzioni, ed è veramente un peccato.

Mondo di gioco e realizzazione tecnica

Non ci sono praticamente limiti alle vostre possibilità di esplorazione.

Come in ogni open world che si rispetti, anche in Biomutant l’esplorazione riveste un ruolo centrale. Il mondo di gioco è infatti pieno zeppo di punti di interesse; che si tratti di città in rovina, case diroccate, centri di ricerca della Toxanol, faremo bene a non trascurare nessuna struttura in cui ci imbatteremo, sia per mettere le mani su oggetti consumabili ed equipaggiamento che per scoprire cosa è accaduto precisamente al Mondochefu ed ai suoi abitanti. Non mancheranno aree segrete da scoprire e tonnellate di oggetti collezionabili capaci anche di potenziare alcuni nostri attributi.

Chi lo paragonava a Zelda, chi all’Ombra di Mordor; in verità Biomutant, a livello di feeling, è molto più vicino a Jak and Daxter ed alla saga di Fallout che non alle opere menzionate in precedenza, con cui però condivide la meccanica open world.

I sette biomi di cui si compone il gioco sono decisamente ben realizzati, capaci di offrire una buona varietà di ambienti e di nemici da affrontare. Non posso negare che il titolo disponga di alcuni colpi d’occhio decisamente notevoli, sia nelle sue vallate immerse nel verde che nelle città in rovina, i cui gli edifici avvolti da piante rampicanti sono fonte di notevoli déjà vu (qualcuno ha detto The Last of Us?). Il discorso cambia notevolmente quando ci spostiamo negli spazi chiusi. Che si tratti di un bunker, di un avamposto da conquistare o anche di una semplice abitazione, la struttura, le stanze e la stessa disposizione di mobili e oggetti sono piuttosto ripetitivi.

Sempre a proposito di ripetitività, non è possibile non menzionare i dialoghi degli NPC secondari che, non appena avranno esaurito le loro battute, inizieranno a ripetere un campionario di frasi praticamente identiche a quelle di qualsiasi altro personaggio. Il caso più lampante è rappresentato dai prigionieri che potrete salvare e dagli accampamenti dei banditi: le animazioni con cui i mini boss si presentano sono praticamente identiche, stesso dicasi per le battute pronunciate e per le opzioni di dialogo.

Dal punto di vista tecnico, l’Unreal Engine 4 di cui Biomutant si avvale riesce a regalare un’esperienza di gioco complessivamente gradevole, che però soffre di cali di frame rate piuttosto vistosi nelle aree con più nemici su schermo, generando anche alcuni pop in nelle aree aperte. Nonostante il gioco disponga di una componente artistica di ottima fattura, le animazioni non brillano, così come non brillano la definizione di alcune texture e l’intelligenza artificiale dei nemici.

Complessivamente, dedicandovi alla sola main quest, in poco più di 10 ore potrete arrivare ai titoli di coda; tale durata andrà a raddoppiare qualora vogliate completare anche le missioni secondarie, aumentando ulteriormente nei casi in cui desideriate scoprire ogni segreto della mappa di gioco.

Nonostante quanto sottolineato in precedenza, le ore trascorse in compagnia di Biomutant non sono state affatto tediose, riuscendo anche a strappare qualche sorriso in determinati momenti. Rimane un bel po’ di amaro in bocca per i difetti menzionati, in assenza dei quali staremmo parlando di tutt’altro gioco.

Giudizio finale

Una delle leggi non scritte del gaming afferma che, quando i tempi di sviluppo si allungano a dismisura, non è mai un buon segno. Biomutant è la conferma di quanto ora dichiarato: nonostante le ottime premesse ed un’esperienza di gioco tutto sommato gradevole, l’opera presenta tutta una serie di difetti che balzano immediatamente all’occhio. Un comparto grafico e tecnico che non brillano, un combat system tanto caotico quanto ruvido ed un gameplay che, nel desiderio di garantire la più totale libertà, finisce col rendere reversibile pressoché qualsiasi scelta fatta. A quanto ora detto, si aggiunge una trama sì interessante, ma narrata in maniera a tratti approssimativa, con una voce fuori campo ai limiti del fastidioso. L’impressione che si ha è che il team di sviluppo abbia voluto esordire con un progetto troppo ambizioso, in cui i limiti di esperienza (e di budget) hanno fatto sentire tutto il loro peso.

Nonostante quanto ora affermato, il titolo targato Experiment 101 riesce ad intrattenere l’utente senza tediarlo, grazie ad un mondo di gioco godibile e ad una durata congrua. Al netto delle patch correttive in arrivo, a cui spetterà di smussare lo smussabile, ci sentiamo di consigliare Biomutant a chiunque riesca a chiudere un occhio sui summenzionati difetti, anche solo per gustarsi un titolo di un team di creativi di cui sicuramente sentiremo parlare negli anni a venire.

This post was published on 2 Giugno 2021 12:00

Claudio Albero

Nasce a Torre del Greco, una piccola metropoli alle falde del Vesuvio, nei favolosi anni ’80, che già però non avevano più niente di favoloso. Provano ad educarlo con Beatles e musica classica sin dalla più tenera età, ma lui, di tutta risposta, si appassiona all’ heavy metal ed ai videogame , spendendo un piccolo patrimonio in sala giochi, quando queste due parole erano ancora slegate dalle slot machine. Dopo aver mosso i primi passi su Sega Master System II con Alex Kidd, il Super Mario con le orecchie a sventola, si innamora dei platform, degli action/adventure e degli RPG, con particolare attenzione alla saga di Final Fantasy. Inguaribile sognatore con le radici saldamente ancorate nel passato, scopre la sua passione per la scrittura quasi per caso, in uno dei tanti pomeriggi passati tra i corridoi della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, dove si laureerà giusto qualche anno dopo, con una tesi in Diritto d’Autore basata sull’opera multimediale. Dopo aver scritto di attualità e musica su Lacooltura.it , Road TV Italia e Federico TV , approda sui lidi di Player.it , in cui comincia sin da subito ad apprendere e fare domande, guadagnandosi rapidamente il titolo di “ redattore rompiscatole del mese ”. Nonostante sia legatissimo alla grande famiglia di Player, non sono rare alcune sue incursioni su portali come Gameplay Café e Spazio Rock . Musica, videogame, concerti, boardgame, modellismo, fumetti, cinema e serie tv: tanti hobby diversi tra loro, ma collegati da un fil rouge che li unisce tutti: il divertimento . È proprio questo che cerca in un videogame, è proprio questo sentimento che muove le sue dita, ed è sempre il divertimento la sensazione che cerca di infondere nei suoi articoli. Al di fuori del mondo del gaming, indossa giacca e cravatta per mimetizzarsi nel mondo degli avvocati, esercitando la professione forense, con lo scopo di conoscere a fondo le “ regole del gioco ”, nonché di minacciare di far causa a chiunque al minimo pretesto.

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