Indovina indovinello
Ho sezioni degne di un RPG e di uno sparattutto
richiedo un approccio strategico ed i riflessi di un picchiaduro
le mie run possono concludersi in un tempo tutto sommato breve
per avere ragione di me, dovrete morire tante, tantissime volte
e le vostre imprecazioni saranno udite fin nelle più alte sfere celesti
Chi sono?
Non ci arrivate? voglio darvi un aiutino: paragonato al mio livello di difficoltà, anche Dark Souls impallidisce. Volete dare la soluzione? Ma certo, sono un roguelike! Se invece siete più giovani, moderni e dinamici, potete anche chiamarmi roguelite.
Per anni sono stato la miglior palestra possibile per intere generazioni di giocatori, che sono morti nei miei camaleontici dungeon, uccisi dai mostri e dalle trappole in esso presenti, collocati ogni volta in maniera differente. I miei fan sono sempre stati una nicchia molto appassionata e masochista: nonostante io abbia inflitto loro i peggiori castighi, essi hanno deciso di andati avanti stoicamente, uscendone sicuramente cambiati (in meglio o in peggio lo lascio decidere a voi).
Chi mi conosce, sa che non mi è mai interessato il successo; i red carpet e le E3 non fanno decisamente per me; eppure, negli ultimi anni, sempre più spesso sono finito al centro dell’attenzione, grazie soprattutto ad alcuni dei miei figli più giovani; Hades, The Binding of Isaac, Darkest Dungeon, Curse of the Dead Gods (leggete qui la nostra recensione): se per voi il gaming è sinonimo di relax, state alla larga da questi enfant terribles.
Come vi dicevo, non ho mai desiderato fama e notorietà; tuttavia, un sogno nel cassetto ce l’avevo: desideravo, almeno una volta, potermela giocare ad armi pari con i tripla A, dimostrando a tutti che il binomio roguelike – indie non è affatto indissolubile. Ebbene, sembra proprio che qualcuno abbia voluto realizzare questo mio desiderio; con Returnal, Sony ed Housemarque hanno fatto intersecare ciò che il mondo riteneva due rette parallele.
So già quello che state per dire: un colosso del gaming che investe tutti questi soldi in un roguelike? Di sicuro lo avrà snaturato!
Il dubbio è legittimo ma, proprio per questa ragione, vi chiedo di avere un po’ di pazienza e di leggere le righe che seguono, in cui un (non più tanto) giovane recensore cercherà di spiegarvi al meglio le caratteristiche di Returnal. Tuttavia, permettetemi un piccolo spoiler: hardcore gamer, masochisti del pixel e completisti dell’orbe terracqueo, avete trovato pane per i vostri denti!
Un’astronauta di nome Selene, membro di Astra, una non meglio specificata compagnia aerospaziale, effettua un atterraggio di emergenza su un misterioso pianeta di nome Atropo. Non ci vengono date molte indicazioni, la trama si presenta criptica e frammentata, soprattutto all’inizio: l’unica cosa che ci viene menzionata e la “Pallida Ombra”, un misterioso segnale che sembrerebbe provenire da una determinata zona del corpo celeste.
Come tutti gli stranieri che si avventurano in terre che non conoscono, la prima (ed unica) scelta a disposizione della nostra protagonista sarà esplorare; non passerà molto tempo prima che inizi a notare che in questo luogo c’è qualcosa che non va. Le poche forme di vita senzienti sono tanto mostruose quanto aggressive, rappresentando una minaccia costante; manufatti di una civiltà aliena ormai estinta rendono ancora più tetro un pianeta che già non brilla per ospitalità, ma ciò che sconvolge maggiormente la donna è il ritrovamento del cadavere di un altro membro dell’Astra: qualcuno è stato lì prima di lei.
Leggiamo il nome sul casco della tuta del malcapitato astronauta: i caratteri recitano “Selene”… quel cadavere è proprio il nostro! Nel mentre in cui la protagonista è ancora frastornata dalla scoperta, uno xenomorfo avrà la meglio su di noi, uccidendoci e svelandoci la principale peculiarità di Atropo: la morte non è la fine. Dopo una breve cutscene, ci ritroveremo esattamente nel punto dello schianto della nostra astronave, lì dove abbiamo mosso i primi passi, perdendo quasi tutto il nostro equipaggiamento ma conservando perfettamente la memoria di ciò che avevamo affrontato fino al momento prima della nostra dipartita.
Tuttavia, il misterioso pianeta su cui ci troviamo non smette di stupirci: il tempo di mettere il naso fuori dalla navicella e ci accorgeremo che ogni cosa intorno a noi è cambiata, e continuerà a mutare ad ogni ciclo vita/morte, impedendoci qualsiasi memoria fotografica e obbligandoci ad esplorare i vari biomi come se fosse la prima volta.
L’unica speranza di interrompere questo loop apparentemente infinito consiste nel risalire al segnale della Pallida Ombra, cercando di capire cosa sia successo agli abitanti di Atropo e, soprattutto, ricostruendo il vissuto della nostra eroina; questa fase passerà tanto per i diari di bordo delle “precedenti Selene” che per intere sezioni tra le pareti di quella che sembra essere… casa sua!
Voglio esservi brutalmente sincero: come in quasi tutti i roguelike che mi sia capitato di giocare, anche in questo caso la trama c’è (ed è anche di notevole fattura), ma viene presentata in maniera frammentata. Le cutscene esplicative sono poche, le informazioni più importanti saranno contenuto nei documenti che saremo in grado di raccogliere (tanto nella main quest, tanto dopo aver raggiunto i titoli di coda), rimanendo ben consapevoli che, pur completando il gioco al 100%, alcuni interrogativi rimarranno inevasi.
Se credevate di trovarvi di fronte alla classica esclusiva Sony, in cui la narrativa la fa da padrone, ho il dovere di avvisarvi che Returnal non è The Last of Us. La creatura di Housemarque non ruota attorno alla sua componente narrativa ma, come spiegherò a breve, ha i suoi punti di forza nel gameplay e nel livello di sfida che offre.
La release della nuova esclusiva Sony ha fatto emergere non poco stupore nel pubblico dei videogiocatori che, probabilmente, credevano di avere tra le mani un comune action/adventure, scontrandosi inevitabilmente con il sempre doloroso muro del permadeath. Avendo chiarito sin da subito la natura roguelike (o roguelite, volendo fare i puntigliosi) del gioco, fughiamo ogni ulteriore dubbio: che cosa si fa in Returnal? Come da tradizione, il grosso dell’esperienza di gioco passerà attraverso quelle che potremo chiamare “le tre esse“, ovvero sparare, saltare e schivare.
Farete ben presto la conoscenza della già menzionata fauna di Atropo, e capirete come lo scontro con queste creature richieda un approccio di volta in volta diverso. Ognuno dei sei biomi che saremo chiamati ad esplorare ci metterà di fronte a nuovi nemici, nuove trappole e nuove sfide, ma la prima lezione da imparare è che rimanere fermi non è un’opzione percorribile. Returnal ci obbligherà ad essere sempre in movimento, evitando gli attacchi nemici grazie a ripari di fortuna ed arrivando, morte dopo morte, ad apprendere i pattern di attacco di ciascun avversario.
La scelta dell’arma sarà fondamentale. Ogni volta che inizieremo un nuovo ciclo, saremo armati con una pistola di basso livello, con cui potremo fronteggiare i primi nemici, ma che si rivelerà totalmente inadeguata per ciò che ci attenderà successivamente. Proprio per questa ragione, nel corso del primo bioma, potremo sostituire la pistola con una carabina (il più classico dei fucili d’assalto) o con un fucile a pompa. Inoltre, ogni colpo che manderete a segno aumenterà il grado di stordimento del vostro bersaglio, riuscendo addirittura a metterlo K.O. per qualche istante, facilitandovi così la vita.
Le armi sono dotate di un fuoco principale e di un fuoco secondario; nel primo caso, nel momento in cui esauriremo il caricatore, premendo il dorsale destro con il giusto tempismo, potremo attivare la “ricarica attiva” che ogni fan di Gears of War conosce alla perfezione. Con il fuoco secondario, invece, attiveremo un attacco speciale che potrà, a seconda dei casi, tanto generare una scarica elettrica o una granata (spazzando via più nemici alla volta), quanto distruggere gli scudi protettivi avversari (garantendo un vantaggio tattico non indifferente).
Man mano che proseguiremo nei biomi successivi, sbloccheremo nuove tipologie di armi, con parametri e tipi di fuoco secondario diversi; nel momento in cui le avremo trovate, queste bocche da fuoco potranno spuntare in qualsiasi cassa o essere rilasciate da determinati mob. Inutile dire che, verso le battute finali del gioco, avremo accesso ad un arsenale di tutto rispetto, capace di venire incontro a qualsiasi esigenza.
Badate bene: sparare e colpire i nemici è importante, ma sarà altrettanto fondamentale non essere colpiti. Quanto ora detto non conta solo ai fini del semplice “rimanere in vita”, ma anche per mantenere alta l’Adrenalina; si tratta di un parametro che aumenterà ogni tre nemici uccisi e, ad ogni livello raggiunto, vi assegnerà dei bonus (schivata più veloce, attacchi più potenti, ecc.) che, però, svaniranno non appena un colpo nemico andrà a segno. Proprio per questa ragione, vittoria e sconfitta passeranno quasi unicamente dalla prontezza dei vostri riflessi (favoriti da dei comandi chirurgici), soprattutto nelle boss fight che, ve lo preannuncio, vi metteranno decisamente alla prova.
Va da sé che non si vive di sole bocche da fuoco e, come ogni roguelike che si rispetti, la sorte di gran parte delle nostre run sarà direttamente influenzata dagli oggetti che saremo in grado di raccogliere e con cui comporremo il nostro equipaggiamento. Al di fuori dei consumabili (capaci di ripristinare la health bar o di garantirci degli effetti momentanei), molti power up saranno acquistabili attraverso gli oboliti. Si tratta di globi luminosi con cui saremo ricompensati all’uccisione di ogni nemico e che, di fatto, costituiranno la valuta virtuale del gioco.
Attraverso dei fabbricatori di oggetti (non molto diversi dai negozi visti in altri titoli dello stesso genere), potremo creare manufatti capaci di aumentare i nostri valori di attacco o di difesa, così come di diminuire il cooldown della schivata o del fuoco secondario, arrivando addirittura a garantirci una “vita extra”, un vero e proprio lusso in titoli dove la morte permanente è elevata a canone artistico.
Occasionalmente, potremo trovare anche dei parassiti che, attaccandosi alla nostra tuta, ci garantiranno sia degli effetti positivi che degli effetti negativi, andando a influenzando pesantemente il nostro gameplay.
Tuttavia, ho un consiglio spassionato da darvi: non affezionatevi troppo al vostro inventario, in quanto ogni vostra morte andrà a “resettare” l’equipaggiamento, con pochissime eccezioni; tra queste, non possiamo non menzionare l’Etere: si tratta di una sostanza che, in parole povere, può purificare gli oggetti “maligni” (casse, resine, oboliti) in cui ci imbatteremo e che, altrimenti, potrebbero mandare in avaria la nostra tuta. In quest’ultimo caso, saremo gravati da un malus che potrebbe condizionare non poco il prosieguo dell’avventura, e che potremo rimuovere solo compiendo determinate azioni (ogni volta diverse).
Infine, proseguendo nei vari biomi, troveremo diversi oggetti (fortunatamente permanenti) con cui aggiungere nuove frecce al nostro arco. La spada, ad esempio, ci consentirà di attaccare a distanza ravvicinata, di rimuovere gli scudi nemici e di raggiungere aree altrimenti precluse; il rampino condivide quest’ultima funzione, permettendoci di arrivare in zone troppo lontane o posizionate troppo in alto, nonché di spostarci rapidamente in combattimento.
Prendete quanto detto finora ed aggiungete un numero di consumabili e power up sempre diversi ed in aumento, e capirete facilmente quanto ogni run risulti differente dalle precedenti. È innegabile che la fortuna rivestirà un ruolo di primo piano, ma mai quanto la vostra capacità di adattamento alle situazioni più estreme.
Abbiamo imparato a conoscere Housemarque grazie a titoli come Dead Nation, Alienation, Nex Machina, Matterfall, Resogun, tutti titoli accomunati da un’estetica di chiara matrice arcade e da un’azione che sembra non conoscere momenti morti. È possibile riscontrare entrambe queste caratteristiche anche in Returnal, ma permettetemi di dire quanto l’ultima fatica dello studio finlandese rappresenti la sua opera più ambiziosa, sia a livello di cura nella realizzazione che nel mostrare alcune delle potenzialità di Playstation 5.
Da un punto di vista puramente grafico, Returnal fa un’ottima impressione: i modelli poligonali delle creature di Atropo sembrano uscire direttamente da un racconto di Lovecraft, e ben caratterizzati sono i biomi (tutti diversi e perfettamente distinguibili) e le singole stanze che esploreremo. Sotto questo aspetto, non avrebbe guastato una maggiore attenzione per alcuni dettagli (la realizzazione di alcuni elementi della flora e degli specchi d’acqua, ad esempio, è inferiore rispetto a quella dei fondali).
Tutt’altro discorso va fatto per l’audio 3D che, insieme al feedback aptico del Dualsense, garantisce un’immersività pressoché totale. È doveroso soffermarsi maggiormente sul secondo aspetto menzionato; le vibrazioni del pad cambiano a seconda degli stimoli esterni: che si tratti di un colpo subito, di una caduta, o una camminata su un terreno accidentato, la risposta del controller sarà sempre diversa. Anche dal punto di vista audio, il pad PS5 da il suo contributo, producendo direttamente alcuni suoni secondari ed ambientali.
Passando al gameplay, è stata implementata anche una feature dedicata ai grilletti adattivi: per poter sparare normalmente, dovremo premere il dorsale sinistro fino a “metà strada” (la nostra pressione incontrerà un apposito ostacolo); se invece volessimo scatenare il fuoco secondario, dovremo premere fino in fondo il grilletto. Non nascondo che questa nuova meccanica mi ha lasciato un po’ spiazzato all’inizio, ma ho impiegato veramente poco tempo per padroneggiarla.
Returnal si attesta sui 60 frame al secondo, che rimangono stabili anche nelle fasi più concitate; paradossalmente, le sezioni in cui il gioco sembra quasi “ingolfarsi” sono quelle all’interno della casa di Selene. Infine, una menzione speciale va fatta ai tempi di caricamento: è possibile giocare a circa 30 secondi dall’avvio del gioco, mentre i teletrasporti da un punto all’altro della mappa sono praticamente istantanei (evitando la frustrazione del backtracking), così come istantanei sono i passaggi tra un bioma e l’altro ed il ritorno all’astronave dopo essere stati uccisi.
È ora arrivato il momento di rispondere alla domanda una milione di dollari: Returnal è un roguelike “duro e puro”? Oppure è stato snaturato per poter essere alla portata di tutti?
Definitemi prosaico, ma le prime ore passate sull’esclusiva Sony sono state una serie infinita di calci, pugni e pagaiate di simpsoniana memoria. Se i primi nemici rappresenteranno una sfida tutto sommato abbordabile, i mob di livello più alto (si genereranno da una sfera di colore rosso) saranno tutto un altro paio di maniche, senza ovviamente menzionare i boss di fine livello. Parlo a titolo personale, ma credo di essere morto almeno una ventina di volte prima di raggiungere e sconfiggere Phrike.
Sotto l’aspetto della varietà, c’è un piccolo appunto da fare. Prendiamo ad esempio The Binding of Isaac: ogni stage era frutto di una combinazione di stanze, oggetti, potenziamenti, segreti e nemici sempre diversi; se Returnal riesce a proporre un roster di armi ed oggetti decisamente ampio, le stanze generate proceduralmente rappresentano un po’ il tallone d’Achille. Nel primo bioma (ma il discorso si può estendere anche ai successivi), sono presenti circa 20 tipi di stanze e, con un po’ di pratica, vi ricorderete facilmente dove trovare gli interruttori e gli ingressi per accedere alle aree segrete, dato che saranno collocati in dei punti prestabiliti. Quanto ora detto rappresenta un compromesso forse inevitabile, ma smorza l’elemento sorpresa dell’esplorazione.
Come in tutti i roguelike, una run fortunata può facilitarvi non poco l’esistenza, facendovi superare agevolmente interi biomi nell’arco di poco tempo, ma non commettete l’errore di sentirvi invincibili: la morte è sempre dietro l’angolo. Sotto questo aspetto, sono presenti degli escamotage che riescono ad “indorare la pillola” del permadeath; ogni boss battuto attiverà un portale di teletrasporto che, in buona sostanza, vi eviterà la fatica di dover fare proprio tutto tutto dall’inizio.
In questo modo, Returnal riesce a spingere il giocatore a gettarsi nuovamente all’avventura dopo ogni morte, facendo nuovamente i conti con una costante sensazione di ansia che vi accompagnerà per tutta la durata del vostro viaggio, e che incontrerà pochissimi momenti morti.
Volendo rispondere alla domanda di inizio paragrafo, Returnal è un roguelike con pochi, pochissimi compromessi, che è stato erroneamente accostato ad un titolo come Dead Space ma che è invece molto più simile a shooter come Resogun (con cui Housemarque ci ha già dimostrato di che pasta è fatta) ed un’anima affine a Death Stranding, con cui condivide lo spirito indie in un corpo da tripla A.
Returnal è il biglietto da visita con cui Housemarque dimostra di potersi tranquillamente sedere al “tavolo dei grandi”, riuscendo ad imbastire un’opera tanto criptica quanto affascinante. Detto questo, è bene che sia chiaro: non si tratta di un’esperienza per tutti. Morirete tante volte, perdendo tutto E ricominciando il cammino dall’inizio, ma non sono proprio queste le caratteristiche dei roguelike? Non aspettatevi una trama da Oscar, ma un gameplay frenetico ed affilato come un rasoio, perché è questo che l’avventura di Selene ha da offrirvi. Una realizzazione tecnica accurata, dei comandi precisissimi ed un sonoro da urlo vi faranno soprassedere su una narrativa non sempre presente e su qualche inevitabile momento di “bassa tensione” (prevalentemente nelle fasi esplorative), ma fidatevi: se Demon’s Souls era stata un’ottima entree, Returnal è una prima portata dalle forti connotazioni indipendenti, capace di soddisfare i palati più esigenti, lasciandoli con la consapevolezza che il meglio debba ancora venire.
This post was published on 7 Maggio 2021 11:00
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