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Recensioni

Forgotten Fields | Recensione (PC)

A volte non riusciamo e prendere sonno. Fissiamo il soffitto, o teniamo gli occhi chiusi nella speranza che Morfeo arrivi ad accoglierci nel suo abbraccio onirico, ma senza risultato. Qualcosa ci turba, un disagio che non sappiamo mettere a fuoco ma che ci accompagna, sotterraneo, durante tutta la giornata, per poi coglierci improvvisamente sotto le coperte, quando siamo più vulnerabili, togliendoci il riposo. È il peso delle nostre indecisioni, l’ansia provocata dalle incertezze del quotidiano, l’angoscia profonda che ci coglie quelle rare volte in cui troviamo il tempo di fermarci e pensare “è giusto il modo in cui sto vivendo la mia vita? Non dovrei fare qualcosa di diverso? Il percorso che ho intrapreso è adatto a me, o sto sprecando il mio tempo?”

Memory Lane

Non tutte le persone sono attanagliate da queste domande ricorrenti, ma senza dubbio lo è (o lo è stato) Armaan Sandhu, fondatore dello studio di sviluppo Frostwood Interactive, che ne ha fatto il tema costitutivo di Forgotten Fields, avventura grafica low poly che indaga con particolare sensibilità il momento del bilancio, cruciale in ogni persona, che mette in discussione le proprie scelte di vita per valutare se mantenere la rotta oppure operare un deciso cambio di passo. In questo complesso lavoro di soppeso, che non si esaurisce mai completamente nell’arco di una vita, il gioco si sofferma sull’analisi di due dimensioni specifiche: la memoria del passato e l’immaginazione creativa.

Se penso a come ho speso male / il mio tempo

Il passato è una terra straniera

Sid è un giovane scrittore, autore di un romanzo fantasy di successo, ora in pieno blocco creativo. È da giorni che non esce dalla sua stanza, la sua vena creativa è secca e la scadenza per la consegna di un soggetto ad un bando di finanziamento è agli sgoccioli. Le poche idee che gli ristagnano in testa sono confuse e frammentarie, la luce del sole è un ricordo lontano ed il computer è il suo unico amico. Almeno finché non irrompe nella stanza una vecchia conoscenza, che gli ricorda un appuntamento fissato di lì a breve: la madre di Sid sta per vendere la casa di famiglia, così ha invitato il figlio ed i suoi amici a raccolta per un’ultima cena di commiato. Il viaggio verso casa sarà l’occasione per fare i conti con il passato ed affrontare i futuri capitoli delle proprie vite.

Nostalgia canaglia

Nel corso di una partita che durerà, anche se giocata nel massimo relax, circa 5 ore, il nostro compito sarà quello di muovere Sid per i piccoli ambienti a lui familiari – l’appartamento dove risiede, il suo quartiere, la casa degli zii e quella natìa – ed interagire con amici, vicini e parenti in una sequela di dialoghi più o meno lunghi alternati a qualche semplice minigioco. Il gameplay è davvero ridotto ai minimi termini, e l’impostazione da punta-e-clicca delle primissime fasi – con tanto di gestione dell’inventario e risoluzione di “enigmi” – si fa ben presto molto labile, per poi scomparire del tutto nella seconda parte della storia, in cui assisteremo ad una visual novel più che ad un’esperienza ludica in senso stretto. Questo design appena abbozzato è probabilmente il limite maggiore di un titolo che poggia tutto sulla narrativa, messa in scena sottoforma di tranquilli dialoghi tra i personaggi ed intermezzi fiabeschi: i primi volti ad analizzare il rapporto del protagonista con il suo passato, i secondi a scandagliare l’idea di immaginazione creativa come rielaborazione delle proprie esperienze di vita in forma di produzione artistica.

Ho perso le parole

Per quanto riguarda il primo aspetto, ovvero il confronto con il proprio passato, l’opera di Frostwood Interactive mostra una certa padronanza di scrittura, nell’inscenare dialoghi naturalistici tra i personaggi, da cui scaturiscono i temi portanti dell’opera senza apparire forzati o costruiti ad arte: a chi non è mai capitato di disquisire con i propri amici di argomenti quali l’incertezza sul futuro, il rapporto con la nostalgia per i ricordi di un passato idealizzato, i dubbi circa le proprie scelte di vita e lavoro, il tutto seguendo una catena di pensieri partita magari da argomenti molto più banali e quotidiani? Sandhu riesce ad imbastire con scorrevolezza queste discussioni in cui tutti possiamo riconoscerci, anche grazie ad un commento sonoro particolarmente azzeccato, composto da canzoni indie pop e musiche originali dal sapore dolcemente malinconico, che culla il giocatore in un’atmosfera agrodolce sottolineata dalla tenerezza dei modelli poligonali e da una palette cromatica calda, all’insegna di gradazioni di giallo e arancione.

Essendo queste situazioni di dialogo la componente principale dell’esperienza da un certo punto in poi, quasi ci si dimentica di avere tra le mani un videogioco: l’esperienza è più simile a quella di un kammerspiel o un racconto illustrato, in cui una regia discreta ma presente si occupa di sottolineare alcuni momenti particolarmente importanti con lievi movimenti di macchina, imbastendo gradevoli inquadrature in cui passato e presente si compenetrano senza soluzione di continuità.

Living in the past

Il tempo passa per tutti / lo sai

Vi è poi una dimensione fantastica, legata al progetto letterario di cui Sid si sta occupando: a più riprese, nel corso del gioco, gli eventi del mondo reale daranno al protagonista nuova linfa creativa per proseguire nell’immaginazione della propria opera letteraria, che saremo chiamati a vivere nei panni della protagonista della storia: una ragazzina dotata di poteri magici sopiti ma in procinto di risvegliarsi, alla ricerca del proprio posto nel mondo dopo che l’ombra della guerra ha devastato il suo villaggio, distruggendo la sua vita così com’era stata fino a quel momento.

It’s a kind of magic

Queste fasi scatenano l’estro visuale dello sviluppatore nel design di boschi fatati, case di stregoni e misteriosi sotterranei: personalmente avrei gradito un titolo tutto basato su questo arco narrativo. Ahimè, questi frammenti sono invece assai brevi, ed anche se tentano di vivacizzare il gameplay con qualche dinamica aggiuntiva – una brevissima fase stealth – e differenti modalità di messa in scena – l’alternanza di camera a scorrimento laterale e 3d in terza persona – restano solo un colorato orpello alla narrazione principale. Senza contare poi che questi tentativi di variazione causano non pochi problemi di telecamera e di controlli a causa di geodata non troppo precisi, generando una certa insofferenza e volontà di superarli il più velocemente possibile.

La fase stealth del gioco. Si è visto infinitamente di meglio.

D’altro canto, nella storyline principale la visuale cambierà in un paio di occasioni diventando in prima persona: un’espediente non necessario e addirittura fastidioso per quanto la telecamera sobbalzi al nostro incedere, facendo desiderare anche in questo caso di terminare rapidamente queste fasi (per fortuna brevissime anch’esse).

L’impressione generale che ho avuto, una volta conclusa la partita a Forgotten Fields, è stata quella di aver osservato un abbozzo di game design costruito attorno ad una narrativa piacevole e coinvolgente, per quanto essa possa apparire addirittura banale se si considerano prodotti al di fuori del medium videoludico. Sono quindi nella strana situazione di non poter consigliare la prova del gioco, sebbene debba ammettere che non mi affatto dispiaciuto giocarlo: credo che, per un’utenza dall’età simile a quella del protagonista trentenne, il titolo tratti degli argomenti con cui si possa provare empatia e, qualora questo si verifichi, l’esperienza può valere la pena di essere fruita. Ma in qualunque altro caso l’impressione generale non potrà che essere deludente.

Commento finale

C’è da discutere su quanto sia sensato tradurre una storia così minimalista in ambito videoludico: se è vero che l’interattività del videogioco può contribuire ad aumentare il coinvolgimento del giocatore nella storia, quel poco gameplay che c’è dovrebbe essere lo stato dell’arte del genere, permettendo di corroborare il contenuto con una forma ineccepibile. Questo purtroppo non avviene in Forgotten Fields, che a tratti è talmente abbozzato da sembrare quasi un esercizio di game design più che un titolo fatto e finito. Il risultato lascia comunque ben sperare sulla carriera di Sandhu: se saprà affinare le proprie doti di designer in aggiunta a quelle già notevoli di sceneggiatore, i suoi lavori futuri non potranno che riservare gradite sorprese.

This post was published on 12 Aprile 2021 15:00

Alessandro Giovannini

Puoi scrivermi in modo sicuro a: alessandro.giovannini.1990@proton.me Cinema e videogiochi: le mie due più grandi passioni. Da bambino mi alzavo presto la mattina per giocare con il Sega Mega Drive II prima di andare a scuola; passavo i pomeriggi a guardare Terminator 2 fino a consumare il nastro della VHS; impiegavo le serate a cimentarmi nelle avventure grafiche di Lucas Arts su un glorioso PC con Windows 95 in compagnia di mio fratello. Poi è venuta la laurea in cinema, nonché le esperienze di redattore presso siti di informazione cinematografica e gaming. Su Player mi sono specializzato in analisi di mercato e monografie su developers e franchise storici della gaming industry. Ho anche lanciato la newsletter Gamer's Digest che offre una rassegna settimanale della principali novità dell'industria del gaming. Primo videogioco: The Adventures of Captain Comic (DOS) Videogioco console casalinga preferito: Final Fantasy VII (PSX) Videogioco console mobile preferito: Advance Wars (GBA) Piattaforme di gioco possedute: Super Famicom, Game Boy Color, Mega Drive II, PSX, PS2, PS3, PS4, Xbox One S, PC.

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