Prima che iniziate la lettura di questo articolo, devo essere totalmente sincero con voi: se siete approdati su queste righe alla ricerca di una recensione terza, impersonale, chirurgicamente fredda ed infarcita di termini tecnici (rigorosamente in inglese), ho una brutta notizia da darvi: non troverete niente di tutto questo. Probabilmente neanche la struttura di questo pezzo rispecchierà quelli che sono gli “standard” a cui siete abituati, ma me ne assumo totalmente la responsabilità: ciò che (spero) leggerete è frutto delle mie aspettative su It Takes Two e sul ruolo che gli ho più o meno volontariamente attribuito.
Proprio così: per me It Takes Two non è un semplice videogioco, ma un vero e proprio banco di prova per Hazelight Studios. Sin dal primo trailer, era impossibile non comprendere quanto questo fosse il titolo più ambizioso mai realizzato dallo sviluppatore, che non aveva abbandonato il suo credo: quella coop che ha contraddistinto tutti i suoi titoli. Se Brothers: A Tale of Two Sons era stato un ottimo inizio, ed A Way Out era il naturale step successivo, It Takes Two aveva il non semplice ruolo di confermare o ridimensionare le mire del team creativo.
Vi ho anticipato che questa non sarebbe stata una recensione standard, ora state per comprendere il perché. Quel vulcano di Josef Fares, in una delle sue fumanti dichiarazioni, ci ha chiesto di vivere questa sua avventura con una persona per noi “speciale”; ebbene, lasciate che vi presenti colei che ha avuto l’ingrato compito di accompagnarmi nelle 15 e passa ore che ho speso in It Takes Two.
[V.] : Salve a tutti, mi chiamo Viviana, ho circa 9 anni di differenza con l’autore (una donna non rivela mai la sua età), e sì: sono stata coinvolta in questa strana recensione “a quattro mani”. Mi piacerebbe dirvi che mastico pane e videogiochi sin dalla più tenera età, ma non è per niente così. Le mie sortite in questo medium sono state rare e frammentate nel tempo: da bambina ho fatto da sparring partner per i miei fratelli su Tekken 3, e ricordo anche qualche partita a Crash Bandicoot 2. Dopo anni di pausa, invece, mi sono imbattuta in MTG: Arena ed in Fallout 76, ma non posso definirmi un’esperta di nessuno dei due titoli menzionati. I videogame a cui ho giocato con maggiore continuità sono stati The Sims 2 e Clash Royale.
Avete capito bene: la mia partner non aveva la benché minima esperienza di giochi coop, e da almeno due anni non imbracciava un pad per giocare. Le righe che seguono sono la summa delle nostre reciproche esperienze (contrassegnate dalle nostre iniziali), condite da espressioni irripetibili, tanti salti nel vuoto, momenti di scervellamento e, soprattutto, tantissime risate.
Cara, mi si sono ristretti i genitori
[C.]: Vi racconto una storia: probabilmente i più giovani di voi non ci crederanno, ma c’è stato un momento in cui multiplayer era sinonimo di “giocare nel salotto di casa”. C’è stata un’epoca gloriosa in cui si organizzavano tornei con tanti amici: ognuno veniva armato del proprio pad, qualche anima pia comprava le patatine e la Coca-Cola (di cui il sottoscritto era un accanito bevitore, come ricordo anche qui), e si passava un intero pomeriggio a giocare e a divertirsi insieme. I videogame tra cui scegliere erano tantissimi, ma i coop (come Fighting Force, Metal Slug, Gradius, ecc.) erano la sempre scelta migliore.
[V.]: Ora che questo aspirante boomer ha finito di rimpiangere i “bei vecchi tempi andati”, è il mio turno di dire come stanno le cose. Nonostante io abbia comunque ricevuto un’infarinatura di quanto scritto poc’anzi (anche se ai tempi della prima infanzia), i miei ricordi più vividi riguardanti i videogiochi sono incentrati sul gioco online e su PC. Leggere di tornei organizzati in un salotto per me equivale alla preistoria: che senso ha riunirsi in un salotto a giocare ai videogame quando, con una connessione ad Internet, è possibile fare la stessa cosa ognuno da casa propria (rispettando così il distanziamento sociale)?
[C.]: Come avrete avuto modo di constatare, videoludicamente parlando, io e questa irrispettosa ragazzina siamo come il Diavolo e l’acqua santa. In ogni caso, il fato ha voluto che ci ritrovassimo in un salotto (il mio, ovviamente) a giocare e, peggio ancora, a dover cooperare per proseguire.
[C.]: La storia di It Takes Two inizia con la fine di una storia (d’amore). Cody e May sono una giovane coppia in crisi: litigi, incomprensioni e risentimenti hanno consumato le fondamenta della loro relazione, che sta per esaurirsi nel più classico dei divorzi. Come sempre accade nelle separazioni, la piccola Rose (la figlia dei due) è la prima vittima.
[V.]: In un momento di disperazione, la bambina si rivolge al Dottor Hakim (un improbabile e stravagante manuale d’amore), esprimendo un desiderio tanto puro quanto innocente: che la sua mamma ed il suo papà tornino ad amarsi. Ebbene, questo desiderio si trasformerà in magia: le lacrime di Rose faranno risvegliare i suoi genitori all’interno di due bambole di pezza da lei realizzate. Da questo momento in poi inizierà l’avventura di Cody e May, che dovranno trovare un modo per tornare umani, affrontando tutta una serie di ostacoli che potranno essere superati solo in un modo: collaborando.
Alla riscoperta del fanciullino alla finestra dell’anima
[C.]: Come avrete avuto modo di comprendere, It Takes Two parla di un tema tutt’altro che semplice, e decide di affrontarlo nella maniera più dolce e delicata possibile: portandoci alla (ri)scoperta del fanciullino tanto caro a Pascoli.
[C.]: Sin da subito, veniamo catapultati in un’avventura fantastica che avverrà nei confini di… casa nostra! Come detto in apertura, Cody e May si risveglieranno in due bambole e, per questa ragione, saranno costretti a farsi strada tra sedie, cuscini, giocattoli che, nelle loro condizioni, rappresenteranno ostacoli non sempre facilmente sormontabili. Sotto la guida esperta del Dottor Hakim, saremo chiamati a superare tutta una serie di stage (circa nove) che faranno da “terapia di coppia” per i nostri due giovani protagonisti.
[V.]: Diciamocelo chiaramente però: le coppie si lasciano quotidianamente, per i motivi più svariati e, soprattutto, sappiamo bene che il “vissero felici e contenti” non esiste. Proprio per questo motivo, il rischio di banalizzare il tema era elevato. Tuttavia, l’approccio umoristico di It Takes Two riesce a far ridere e, al tempo stesso, a far riflettere su quanto sia impegnativo portare avanti una relazione senza che questa sia travolta dalla routine quotidiana. Alcuni momenti del gioco, sotto questo aspetto, sono emblematici. Nel livello dell’Orologio a Cucù, ad esempio, si evidenzia il poco tempo trascorso insieme dalla coppia; inoltre, la laconica frase “Questo è quello che succede quando abbandoni le tue passioni” del Dottor Hakim è capace di generare un sorriso amaro nella gran parte di noi.
[C.]: La cura spesa da Hazelight Studios nei dettagli dei singoli stage è a dir poco maniacale. Ogni livello è un tripudio di colori, perfettamente riconoscibile e distinguibile dagli altri, pieno di oggetti con cui interagire (si toccherà il culmine nella Stanza di Rose) e con delle citazioni che i gamer coetanei dei due protagonisti non potranno non cogliere. Più mi addentravo nei meandri di It Takes Two, più non riuscivo a trattenere i vari “Woooow“, abbinati a bocca aperta ed occhi strabuzzati, che avranno reso la mia faccia simile a quella di una maschera greca (per la felicità della mia partner, che avrà materiale a sufficienza per prendermi in giro per i prossimi 10 anni).
[V.]: Caro Claudio, non hai idea di quanto tu abbia ragione sugli sfottò che ti attendono. Scherzi a parte, credo di non aver mai provato un videogame più curato di questo; non mi sono imbattuta neanche in un bug (ed ho giocato a Fallout 76, quindi so di cosa parlo) e, anche nei momenti più frenetici, il frame rate è rimasto stabile. Tutti i personaggi che ho incontrato sono stati realizzati in maniera magistrale (con l’unica pecca dei modelli poligonali “umani”); le musiche accompagnano alla perfezione l’esperienza in gioco e lo stesso doppiaggio contribuisce ad immergere l’utente in questa bellissima fiaba.
[C.]: Nonostante la qui presente Viviana sia una fan del doppiaggio in lingua originale (che nel titolo in quesitone è di altissimo livello), io invece avrei desiderato la presenza anche di un cast di voci italiane, ma lo so: sono il solito vecchio incontentabile.
Gameplay al servizio del divertimento
[V.]: Voi mi perdonerete, ma voglio sfruttare il mio non essere una professionista del settore per rivolgermi direttamente a chi questo gioco l’ha creato: caro Josef Fares, vorrei tanto dirti che ti odio. In ordine sparso: soffro di vertigini da che ho memoria, e tu mi ha costretta a saltare da altezze notevoli per quasi tutto il gioco; ho un terrore atavico per gli insetti, e tu hai avuto l’accortezza di realizzare un livello pieno di vespe e larve, in cui addirittura c’è un enorme scarabeo ercole da affrontare (che compare ancora nei miei peggiori incubi); non ho mai preso l’aereo in vita mia perché, come forse avrai intuito, ho il timore dell’altezza, e tu mi hai piazzata su un deltaplano ricavato da un paio di mutande. Vorrei tanto odiarti… ma non ci riesco!
[V.]: Perché nonostante sia caduta nel vuoto un numero incalcolabile di volte, mi siano sudate le mani ad ogni serie di salti ed abbia dovuto mettere in pausa il gioco più volte per i motivi elencati in precedenza, It Takes Two mi ha fatto ridere a crepapelle, come mai un videogame era riuscito in precedenza.
[C.]: Posso confermare quanto scritto: il gioco ha messo in evidenza quanto la mia compagna di sventure sia “digitalmente incapace” di compiere il più semplice dei salti, ma questo non ha compromesso il suo (ed il nostro) divertimento.
[C.]: Cody e May potranno superare i vari stage solo attraverso la cooperazione, e le formule ideate dallo studio di Fares sono una più spassosa ed originale dell’altra. In ogni ambiente di gioco, i nostri eroi potranno contare su abilità ed equipaggiamenti unici: dai chiodi e martello dell’inizio alla resina ed allo sparafiammiferi (che utilizzeremo per farci strada nell’alveare), arrivando agli stivali antigravità ed alla capacità di aumentare/diminuire le nostre dimensioni (ottenuti nella stazione spaziale). Ogni combinazione di oggetti/abilità richiederà di essere utilizzata facendo gioco di squadra, superando ogni puzzle ed enigma con coordinazione certosina.
[C]: Gli ostacoli che ci siamo trovati davanti sono stati impegnativi il giusto e, grazie ad un respawn praticamente immediato, non si avverte praticamente mai quel senso di punizione che sembrava inscindibile dal concetto stesso di “morte in game”.
La sublimazione dei minigiochi
[C.] Nonostante una natura platform ed una durata stimata tra le 10 e le 15 ore, It Takes Two sprona chi lo gioca ad esplorare tutti i suoi stage, ricompensandolo con easter egg, trofei/obiettivi e minigiochi. Sempre per voler porre l’accento sul fattore divertimento, non era possibile non soffermarsi su questi ultimi. Nel corso dell’avventura, troveremo 25 minigiochi con cui “prenderci una pausa” dalla main quest. Baseball, tiro al bersaglio, sparatutto competitivo con carri armati, whack-a-mole, la lista sarebbe lunghissima, ma vi lasciamo il piacere di scoprirli tutti da soli.
[V.] Ve lo dico subito: ho letteralmente amato i minigiochi di It Takes Two. Ho adorato stracciare Claudio nel baseball, dargli colpi di martello in testa in “Acchiappa la Talpa” e vederlo inghiottito dalla rana giocattolo nella stanza di Rose. Se non conoscerete la noia giocando a questo videogame, il merito è anche di queste attività secondarie, che rappresentano un gustosissimo contorno ad un gameplay che già di suo non ha momenti morti. Caro Josef, puoi dormire sonni tranquilli: i tuoi soldi sono al sicuro.
[C.] Ma non finisce qui: potrete accedere ai minigiochi anche dal menù principale, con un contatore che segnerà le vittorie dell’uno e dell’altro giocatore. L’unica condizione sarà quella di trovarli nel corso dell’avventura ma, non appena li avrete sbloccati tutti, It Takes Two diventerà un vero e proprio party game, aumentando di tantissimo la sua longevità.
[V.] Consentitemi un paragone azzardato: vivere It Takes Two è stato un po’ come trovarsi ad un matrimonio napoletano, con un buffet infinito, una sfilza di portate (in questo caso nove, quanti sono gli stage), cantanti improbabili, situazioni surreali e, nei casi più estremi, addirittura fuochi d’artificio. Tuttavia, al termine di ogni matrimonio napoletano che si rispetti (anch’esso di circa 15 ore di durata), vi verrà consegnata una spettacolare bomboniera che, nel nostro caso, sono i minigiochi.
[V.] Nonostante io abbia tanta voglia di ricominciare il gioco (stavolta nei panni di Cody), queste piccole “parentesi ludiche” sono la scusa ideale per non disinstallare mai il gioco.
[C.] Per quanto riguarda me, la presenza dei minigiochi aggiunge ulteriore varietà ad un gameplay già di per sé molto vario. Se la main quest è capace di rendere omaggio ad alcuni dei capolavori del videogame (Super Mario su tutti), i minigiochi ci ricordano che è sempre l’occasione giusta per chiamare un amico (o una persona speciale) nel salotto di casa nostra, dicendoci, in buona sostanza, che l’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare.
Giudizio finale
Tutti i grandi sono stati piccoli, ma pochi di essi se ne ricordano.
It Takes Two è il magnifico viaggio di una coppia in crisi alla riscoperta dei propri sentimenti, avventurandosi in un mondo fatto di giocattoli, cuscini, elettrodomestici usati e passioni in rovina, che osserveranno da una nuova prospettiva e che scopriranno di non conoscere affatto. Le 10/15 ore necessarie per arrivare ai titoli di coda non conoscono momenti morti: nel videogame targato Hazelight Studios il divertimento regna sovrano, insieme ad un leggero retrogusto di malinconia e nostalgia per l’oramai perduta innocenza e spensieratezza dei due protagonisti. Il gameplay è un mix perfettamente riuscito di tante esperienze ludiche diverse, che si arricchisce ancor di più con i 25 minigiochi tanto decantati da Josef Fares. Dal punto di vista tecnico, poi, il titolo presenta una superba veste grafica ed una cura minuziosa per tutti quei dettagli che rendono unico ogni stage che saremo chiamati a superare.
Come detto in apertura, It Takes Two rappresentava un importante banco di prova per il suo sviluppatore, ed ora possiamo dirlo: l’esame è stato superato con il massimo dei voti.
Non fatevi scappare il miglior titolo coop degli ultimi anni. Sfruttate il pass amico per trovare un compagno d’avventura, ma vi invitiamo a seguire il nostro esempio: scegliete una persona “speciale” ed assaporate quest’opera ridendo insieme, osservando l’uno lo stupore dell’altro e, soprattutto, emozionandovi. Non fraintendeteci: internet ha fatto miracoli (soprattutto in questi ultimi tempi), ma affidandovi ad esso perdereste la vera essenza del gioco: intraprendere un viaggio con la “vostra persona” accanto.
PRO
- Una trama che affronta temi importanti, trattandoli con dolcezza ed umorismo
- Un gameplay vario, mai ripetitivo e per niente punitivo
- Un comparto tecnico granitico e senza grosse fluttuazioni
- Il divertimento regna sovrano, così come un costante senso di meraviglia
CONTRO
- I modelli poligonali degli "esseri umani" non sono convincenti quanto quelli di tutti gli altri personaggi
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