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Recensioni

The Uncertain: Light At The End | Recensione (PC)

Per iniziare, un piccolo giallo: The Uncertain: Light At The End è il seguito di The Uncertain: Last Quiet Day, gioco sviluppato e pubblicato da New Game Order nel 2016. Anche questo secondo episodio porta la loro firma nella pagina Steam dedicata al gioco. Tuttavia, cercando su Internet informazioni in merito alla studio, si trovano rimandi solamente a Comongames LLC, developer russo che presenta Light at the End nel portfolio del proprio sito ufficiale (e pubblica anche il trailer su Youtube). Si tratta dunque di un titolo il cui sviluppo è stato esternalizzato? New Game Order è stata smantellata e ricostituita come ComonGames? Le informazioni riportate da Steam non sono aggiornate o sono i motori di ricerca ad essere lacunosi?

AGGIORNAMENTO: ho contattato il distributore per sciogliere l’enigma. META Publishing mi ha confermato il cambio di nome di New Game Order in ComonGames LLC, che è quindi lo stesso sviluppatore. Dunque la discrepanza è dovuta ad un mancato aggiornamento delle informazioni all’interno dello store di Steam.

Trailer di gioco

La nebulosità che aleggia sulla paternità del gioco è, per certi versi, specchio dell’incertezza generale che affligge il titolo: incertezza narrativa, incertezza tecnica ed incertezza di design, difetti che minano irrimediabilmente l’esperienza di gioco, di cui si può salvare giusto qualche suggestione.

Da dove cominciare

Come detto, questo titolo è il secondo capitolo di quella che dovrebbe essere una trilogia. Le storie raccontate nei due giochi, tuttavia, sono solo marginalmente collegate, motivo per cui non è necessario avere esperienza del primo episodio per approcciarsi al secondo (è il mio caso).

Il setting è una distopia post-apocalittica: in un futuro prossimo, umanità e robot hanno convissuto per anni in armonia, i secondi alle dipendenze dei primi. Per motivi ignoti, un giorno, le macchine si sono però ribellate ai propri creatori, dando inizio ad un’epurazione di massa: i pochi umani superstiti vivono da allora in clandestinità, lontani dalle città ormai abbandonate al controllo degli androidi. Se nel primo episodio si seguono le vicende di RT, un robot che non riconosce legittimo il comportamento dei suoi simili e si schiera dalla parte degli umani, in Light at the End vestiamo i panni di Emily, una giovane fuggiasca che vive con un piccolo nucleo di superstiti, sorta di famiglia improvvisata e disfunzionale, in costante lotta per la sopravvivenza.

Emily e la sua allegra ghenga.

I membri di questa comunità hanno provenienze e competenze diverse (si passa da Park, giovane appassionato di musica, a Olga, madre in costante apprensione per la sua neonata, ad Alex e Brian, anziani del gruppo, accomunati dal ricordo della vita pre-incidente e che affrontano il presente in modi antitetici (rabbia e disperazione da una parte, resilienza e proattività dall’altra). Sebbene nessun personaggio sia approfondito più di tanto, nel corso dell’avventura avremo la possibilità di interloquire con ciascuno di essi, tramite dialoghi interessanti pur se piuttosto stereotipati.

Grado zero

Non ci troviamo di fronte ad un esempio di originalità narrativa: la trama di gioco – che al termine della partita si mantiene lacunosa e proiettata verso un capitolo conclusivo incaricato di far luce una volta per tutte sulla causa della rivolta dei robot – non solo si struttura tramite un canovaccio visto e rivisto in pressoché qualsiasi opera di fiction distopica degli ultimi 30 anni (da L’ombra dello scorpione a The Walking Dead), ma nella sua breve durata (poco più di 4 ore) non è nemmeno innervata da sviluppi originali dell’intreccio, introspezioni psicologiche particolareggiate o sequenze d’azione spettacolare.

Umani e robot nemici/amici: il più classico tema sci-fi riproposto senza alcuna originalità.

La parola che mi sembra più adatta a riassumere la narrativa di Light at the End è “piattezza”: un riciclaggio di stilemi – tanto nel dipanarsi dell’intreccio quanto nella scrittura dei personaggi e dei dialoghi – provenienti da 50 anni e più di sci-fi post-apocalittica, di cui il titolo rappresenta un timido bigino incapace di offrire alcunché di nuovo, e non ci prova nemmeno. C’è inoltre l’aggravante dell’inconcludenza: va bene il ricorso al finale aperto, nell’ottica dello sviluppo di un già annunciato capitolo conclusivo, ma gli sceneggiatori non hanno fatto proprio il minimo sforzo per mettere almeno qualche punto fermo nella storia, che semplicemente si interrompe senza particolari climax, in modo ben più blando di un qualsiasi gioco pubblicato ad episodi. Chi ce lo fa fare di attendere anni per fruire la fine di una storia che non lascia nessuna aspettativa circa le sue possibili conclusioni? Certo, si può avere la curiosità di scoprire la verità sulla causa della ribellione degli androidi, ma nulla di ciò a cui ho assistito mi fa pensare che tale rivelazione sarà particolarmente originale o coinvolgente rispetto a quanto ho visto finora.

Location che vai, rompicapo che trovi

Pur nella loro essenzialità, le location non mancano di regalare scorci piacevoli

Il gameplay offre senz’altro maggiori soddisfazioni, pur mostrando il fianco agli stessi problemi di approssimazione. The Uncertain: Light At The End è un gioco d’avventura che sembra uscito dagli anni Novanta. Rinunciando a qualsivoglia componente action, il design prevede l’esplorazione di differenti location di grandezza medio-piccola – prevalentemente ambienti indoor – nelle quali ottemperare a compiti di varia natura (ad esempio, recuperare scorte mediche, attivare un impianto radio o scortare i nostri amici in territorio ostile) tramite meccaniche tipiche dei punta-e-clicca. Esplorando l’ambiente attorno a noi vedremo apparire a schermo dei prompt in corrispondenza di oggetti interagibili, che potremo esaminare o raccogliere, utilizzandoli per risolvere enigmi ambientali che ci permetteranno un avanzamento a livello fisico e narrativo. Il design delle location è essenziale ma comunque gradevole a livello estetico, e la desolazione dei luoghi può riportare alla mente gli scenari malinconici di The Last Of Us o, per restare in tema avventure anni ’90, Syberia.

Il prompt di interazione dinamica ricorda il medaglione di Monkey Island 3, sebbene sia esteticamente molto più asettico.

La concatenazione delle azioni da compiere per avanzare non sarà mai qualcosa di astruso o poco comprensibile, anzi difficilmente costringerà a pause di riflessione sul da farsi: data la ridotta dimensione degli spazi in cui ci si muove, gli elementi con cui interagire non sono mai molti, così come per la gamma di azioni possibili. Ad arricchire l’esperienza c’è una componente puzzle, che personalmente ha rappresentato la parte più positiva dell’intera esperienza: si tratta di rompicapo logico-matematici che saremo saltuariamente obbligati ad affrontare (a volte giustificati a livello narrativo in modo appena credibile).

Un esempio di rompicapo, in cui dovremo distribuire i numeri verdi in modo tale da raggiungere esattamente i valori rappresentati nei quadranti rossi.

In questi frangenti avremo a che fare con pannelli di varia natura, ad esempio quadri comando o interfacce elettroniche, da riconfigurare correttamente per bypassare dei sistemi di sicurezza, ripristinare corrente o riparare oggetti danneggiati. Le logiche sottostanti a questi minigiochi non sono una novità (ci sono evidenti derivazioni da The Witness, ad esempio), ma tutto sommato sono soddisfacenti, anche perché rappresentano gli unici veri momenti di sfida offerti al giocatore. Tali enigmi, inoltre, sono bypassabili in qualunque momento, evitando al giocatore poco avvezzo la frustrazione di rimanere bloccato.

Per il resto, l’unico frangente in grado di causare un fallimento critico che comporta una ripetizione di una fase di gioco è rappresentato da momenti QTE, in cui comunque The Uncertain: Light At The End si dimostra molto generoso in quanto a lasso di tempo necessario per fornire l’input di comando richiesto. Di fatto questi brevi momenti costituiscono il tentativo di variare l’offerta ludica con il minimo sforzo da parte degli sviluppatori, ma finiscono per suscitare più tedio che engagement.

Premi un tasto quando il nemico non ti guarda! Hai una finestra di tempo di circa un minuto! Riuscirai nell’impresa?

Equilibrio precario

The Uncertain: Light At The End è un titolo claudicante a livello tecnico e di interfaccia. Partiamo da quest’ultima: la schermata di gioco è molto pulita e priva di HUD. Nelle prime battute dell’avventura ci verrà fornito un dispositivo elettronico che fungerà da inventario, audio e text-log, fotocamera e console di gioco (sì, ci sono dei minigiochi collezionabili sparse per le mappe, ma non sono altro che versioni semplificate brevissime di classiche meccaniche arcade). Peccato che anche in questo basilare aspetto di game design non manchino i problemi, come testi tagliati che impediscono una lettura completa del diario. Si tratta senz’altro di una problematica risolvibile con un aggiornamento da parte degli sviluppatori, ma il fatto che non sia ancora stata risolta (il titolo è sullo store ormai da mesi) la dice lunga sul senso di trascuratezza di cui il titolo soffre.

non sapremo mai cosa pensi Brian 🙁

Questa sciatteria generale emerge prepotentemente nel comparto audio, il più problematico di tutti: per quanto riguarda la colonna sonora, essa consiste di giusto un paio di temi musicali di stampo ambient, che forniscono un tappeto sonoro ad ampi segmenti di gioco senza mai variare, a prescindere da ciò che accade a schermo: si creano così forti frizioni tra il dipanarsi degli eventi a schermo, che vorrebbero di volta in volta essere drammatici piuttosto che tensivi o frenetici, e l’impassibilità della musica che va per la sua strada, incurante della sua funzione di commentario o di contrappunto alla componente visiva dell’esperienza. A ciò si aggiungono dei bug piuttosto frequenti che troncano le battute dei doppiatori, spezzando ben presto qualsiasi grado di coinvolgimento. Anche perché il lavoro di doppiaggio è ai minimi termini in quanto ad interpretazione attoriale, rimandando ancora una volta agli anni Novanta per la “legnosità” percepita nella recitazione delle battute.

Leggete a voce alta e in tono piatto la linea di dialogo sovrastante ed avrete un’idea del tenore del doppiaggio di questo titolo.

Giudizio finale

The Uncertain: Light At The End non è un titolo in grado offrire al giocatore un’esperienza nuova, originale o anche solo sufficientemente coinvolgente o divertente da giustificarne la prova. A fronte di qualche rompicapo ben realizzato, l’opera è compromessa da numerose deficienze tecniche e, soprattutto, da una narrativa di una banalità insopportabile. Per risollevare le sorti della serie sarebbe necessario un terzo capitolo che segni un deciso cambio di passo sia dal punto di vista della scrittura che del design. Sono pronto ad essere stupito, anche se date le premesse è davvero difficile riporre fiducia nella conclusione del progetto.

This post was published on 8 Marzo 2021 13:23

Alessandro Giovannini

Puoi scrivermi in modo sicuro a: alessandro.giovannini.1990@proton.me Cinema e videogiochi: le mie due più grandi passioni. Da bambino mi alzavo presto la mattina per giocare con il Sega Mega Drive II prima di andare a scuola; passavo i pomeriggi a guardare Terminator 2 fino a consumare il nastro della VHS; impiegavo le serate a cimentarmi nelle avventure grafiche di Lucas Arts su un glorioso PC con Windows 95 in compagnia di mio fratello. Poi è venuta la laurea in cinema, nonché le esperienze di redattore presso siti di informazione cinematografica e gaming. Su Player mi sono specializzato in analisi di mercato e monografie su developers e franchise storici della gaming industry. Ho anche lanciato la newsletter Gamer's Digest che offre una rassegna settimanale della principali novità dell'industria del gaming. Primo videogioco: The Adventures of Captain Comic (DOS) Videogioco console casalinga preferito: Final Fantasy VII (PSX) Videogioco console mobile preferito: Advance Wars (GBA) Piattaforme di gioco possedute: Super Famicom, Game Boy Color, Mega Drive II, PSX, PS2, PS3, PS4, Xbox One S, PC.

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