L’uscita di Undertale ha leggermente modificato il mondo dei videogiochi, riportando in auge uno stile grafico ed un mood che in precedenza solo pochissime altre volte si erano fatti vedere. Gli sviluppatori di videogiochi, evidentemente stanchi dalla triste piega presa dalla settima generazione videoludica, una volta ottenuti i mezzi di produzione (che in questo caso sarebbero gli engine) hanno detto di no al grigio, al marrone, agli sparatutto e ai proiettili.
Perché non riportare sulla cresta dell’onda i vecchi giochi di ruolo giapponesi? Senza metterci in mezzo però le epiche avventure di Dragon Quest o le crasi stilistiche di Final Fantasy. Perché non riportare in auge quel tipo di gioco di ruolo che si prende sul serio ma non troppo? Perché non riportare ai joypad quelle sensazioni, quelle emozioni che soltanto un certo tipo di videogioco riusciva a trasmettere?
Si vabbè, avete capito, parliamo di Earthbound.
Ecco, se Undertale in un certo senso ha ripreso quel mood e lo ha traslato nel 2016 fondendolo con una miriade di elementi diversi, Everhood (il gioco di cui parliamo oggi) parte dall’onda lunga creata da Undertale per un volo pindarico di grande classe.
Partiamo con qualcosa di simile ad un disclaimer: non è nostra intenzione dire che Everhood e Undertale siano la stessa cosa, è nostra intenzione dire che senza il prodotto di Toby Fox forse oggi staremmo parlando di un gioco diverso.
Apriamo il sipario e iniziamo quindi a fare quattro chiacchiere al riguardo.
Cos’è Everhood, innanzitutto.
Ecco, se la mettiamo sul piano gnoseologico Everhood è un curioso ibrido tra un avventura ed un rhythm game che flirta continuamente con molte cose.
La sua struttura impone l’esplorazione top down tipica di un gioco di ruolo con un sistema di combattimento, o anzi meglio, un sistema di sopravvivenza che chiede al giocatore di fare l’esatto contrario di quello che solitamente si fa nei rhythm game.
Le battaglie, o gare di ballo che dir si voglia, chiedono al giocatore di utilizzare il protagonista red mage per schivare i proiettili che arrivano a schermo, pena la perdita di punti vita. Questi, invece di viaggiare liberi come in uno shoot em up o nel sopracitato Undertale, sono imbrigliati in una griglia di cinque blocchi che riporta alla mente cose come Guitar Hero o i vecchi Bemani di casa Konami.
Durante queste sfide il giocatore potrà controllare l’avatar del protagonista per schivare i vari colpi, sia muovendosi lateralmente che utilizzando un salto. La plancia di gioco durante il corso di molte battaglie non rimarrà uguale a sé stessa e si modificherà diventando psichedelica o utilizzando diversi trucchi, per una serie di graditissime sorprese. Molto intelligente la scelta della software house composta dal duo Chris Nordgren & Jordi Roca di piazzare un selettore di difficoltà nel menu delle opzioni, rendendo l’avventura adatta davvero a tutti i palati.
In base alle situazioni il gameplay base potrà poi subire variazioni di qualche tipo.
Tra rovesci di prospettiva, possibilità di deflettere gli attacchi e altre meccaniche Everhood riesce a rimanere interessante durante il suo svolgimento: un risultato sicuramente encomiabile per quello che poteva sembrare uno dei così detti one trick pony.
Le carte in tavola verranno cambiate spesso dal duo di sviluppatori, portando metagiochi, minigiochi, cambi stilistici e bislaccate varie durante le sei ore di durata dell’avventura. Everhood, come anche detto dalla caption di Steam, è davvero molto molto simile ad un viaggio; uno di quelli un po’ lisergici che finiscono per lasciare dei segni permanenti sulla corteccia cerebrale per di più.
Quando non si combatte si esplora ed esplorare nel gioco vuol dire navigare per queste terre desolate fuori dal tempo e dallo spazio.
La trama ed il worlbduilding di Everhood sembrano, almeno ad una prima occhiata, abbastanza raffazzonate. Sicuramente non aiuta il fatto che l’ambientazione sia praticamente un’enorme tavolozza nera con qualche sprite ad indicare in maniera stilizzata le ambientazioni (più o meno come accadeva in alcune sezioni di Undertale) ma siamo tutti d’accordo nel dire che queste scelte puntano verso una precisa scelta stilistica. Questo, in ogni caso, non salva la dimensione tecnica del titolo che mostra chiaramente i limiti di una produzione a basso budget.
Dopo trenta minuti di giochi Everhood si apre come un fiore nei confronti del giocatore, strizzando l’occhiolino al primo e mitologico Yume Nikki.
Il protagonista, accompagnato dal suo fido compare bluastro di cui non faremo il nome per evitare spoilers, dovrà esplorare vari sotto mondi di porta in porta, finendo in foreste fungine, partite di D&D (!!!) e parchi giochi davvero molto pazzi.
Continua ad essere davvero difficile parlare di un gioco bislacco come Everhood. L’avventura, come anche specificato dagli sviluppatori, spinge moltissimo l’acceleratore nel portare contenuti decisamente inaspettati. Questo rende la narrativa non sempre semplicissima da seguire e, rispetto ai giochi ispiratori di cui sopra, si nota un distacco maggiore tra il giocatore ed il protagonista.
Dal punto di vista prettamente tecnico ci troviamo davanti un videogioco funzionale, nonostante delle mancanze. Mentre le battaglie sono molto spesso davvero pirotecniche, con ampio utilizzo di effetti speciali a volerli così chiamare per variare un po’. A peccare è invece l’esplorazione del mondo, spesso non all’altezza dell’altra caratteristica.
Come già detto poco sopra le ambientazioni abbozzate e la quirkness generale aiutano molto la sensazione di gioco atemporale ma non permettono al giocatore di legare con ciò che si gioca più di tanto; si respirano gli odori che permeavano Yume Nikki alle volte, ma la magia spesso e volentieri finisce li.
Una serie di paragrafi a parte ce li dobbiamo prendere per parlare invece del comparto musicale. La musica in Everhood è molto importante, visto che è il motore della meccanica di gioco preponderante. Ci piace pensare ad Everhood come al più divertente tra tutti i visualizer mai comparsi nel mondo dell’informatica, dotato di interattività e di una narrativa di fondo. La colonna sonora di Everhood non raggiunge gli assoluti picchi di cose molto famose, spesso a causa di melodie non sempre perfette ma vi giuriamo sulla qualità del groove.
Everhood non lesina mai in banger, siano essi elettronici o elettrici: dal metal al funky, passando per EDM e per musica dal sapore chiptune.
Le battaglie di Everhood sono sempre dotate di musiche on point e molto spesso anche i jingle finiscono per farsi fischiettare. A mancare è un fil rogue stilistico tra i pezzi, alle volte distanti tra loro per mood e mancanti di quegli hook fotonici che hanno reso Toby Fox (ecco, lo abbiamo detto) quello che è.
Everhood è un’esperienza che vi consigliamo decisamente di fare. Il titolo è un bizzarro melting pot tra esperienze radicalmente diverse tra loro che, però, trovano una quadra nell’esperimento. Nonostante qualche problema di solidità narrativa e non, tra personaggi un po’ meh ed un aspetto tecnico su cui si poteva spingere di più, il prodotto finale è assolutamente degno di essere provato ed apprezzato da quelli che si sono stancati dei soliti videogiochi e cercano un qualcosa di visivamente potente e genuinamente divertente.
Un po’ Undertale, un po’ Guitar Hero (ma al contrario), lisergico a tratti come solo tempest 2000, Everhood è una sorpresa per i palati forti.
This post was published on 4 Marzo 2021 16:01
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