La mia conoscenza del ciclo arturiano deriva unicamente da tre film: il bellissimo Excalibur (1981) di John Boorman, il classico Disney La spada nella roccia (1963) di Wolfgang Reitherman e l’orrido King Arthur (2004) di Antoine Fuqua. Non ho mai letto nessun testo storico dedicato alla sua figura, men che meno un testo poetico o narrativo, inglese o francese, medievale o moderno. Non ho mai assistito a rappresentazioni teatrali a tema, né ascoltato opere liriche basate su di esso. Insomma, sono un ignorante quasi totale circa la figura di Re Artù, dei cavalieri della Tavola Rotonda e di tutta la mitologia che vi gravita attorno, ma ciò non toglie che provi una certa fascinazione nei confronti del racconto archetipico della ricerca del Graal, piuttosto che del leggendario regno di Avalon.
È dunque con viva curiosità che mi sono approcciato a King Arthur: Knight’s Tale, sviluppato da Neocore Games e pubblicato su Steam dapprima in Early Access nel 2021, e in seguito come gioco completo il 26 aprile 2022. Presentato come una commistione inedita tra strategico e GDR, il gioco offre un’originale rilettura del ciclo arturiano in chiave dark fantasy, operando un ribaltamento di prospettiva che trasforma Artù nel villain della storia e ci vede impersonare nientemeno che il suo acerrimo nemico sir Mordred.
Il risultato è senza dubbio interessante e ricco di potenziale, al netto di qualche persistente problema di bilanciamento e di una certa monotonia di fondo. Vediamo perché.
L’incipit di cui sopra, un mischione tra Il Signore degli Anelli, Dark Souls e Dragon Age: Origins, prende le mosse dalla tradizione concernente la morte di Artù: Mordred e il Re si sono uccisi in un duello all’ultimo sangue, evento culmine della Battaglia di Camlann, leggendaria guerra combattuta per il dominio sulle terre della futura Inghilterra.
Da qui in poi, la narrativa di gioco prende il suo corso. Nell’isola di Avalon, luogo magico inaccessibile ai comuni mortali e sede del supposto riposo eterno degli eroi, sta accadendo una sciagura; l’oscurità montante da ignoti recessi avanza sempre più, inghiottendo qualsiasi cosa, rilasciando eserciti di soldati non morti capeggiati nientemeno che da… Re Artù stesso, redivivo e assetato di sangue!
La Dama del Lago non ha scelta: per tentare di arrestare l’oscurità e fermare questa versione corrotta e maligna di Artù, occorre richiamare dalla morte il suo acerrimo rivale. Sir Mordred è quindi riportato in vita dalla Dama, che gli affida il compito di salvare Avalon, riunendo ancora una volta i Cavalieri della Tavola Rotonda e muovendo guerra contro il suo nemico giurato, stavolta a fin di bene.
Lo sviluppo dell’intreccio rimane ancorato a schemi piuttosto classici, tra la purga di aree cadute sotto influenze maligne, il salvataggio di paesani dalle grinfie di briganti senza scrupoli e la distruzione della nostra nemesi, Re Artù, solo per scoprire che si trattava di un frammento della sua anima corrotta, e di come sia necessario trovarli e distruggerli tutti per poterlo annientare definitivamente. Nessuna particolare sorpresa insomma, ma era già chiaro dall’Early Access di un anno fa che si tratta di un gioco gameplay-oriented in cui difficilmente la narrativa è in grado di entusiasmare.
Per nobili che siano le intenzioni della Dama, questa non ha fatto i conti con la personalità di Sir Mordred, che il giocatore è chiamato ad interpretare. Sarà infatti possibile compiere determinate scelte in momenti chiave della narrazione, le quali andranno ad influenzare alcuni sviluppi successivi: tali scelte – riguardanti ad esempio eventi di missione o decisioni gestionali da prendere tra una missione e l’altra – concorrono a costituire un sistema di moralità che ci vedrà oscillare entro quattro quadranti, derivanti dalla combinazione di due categorie di coppie contrapposte: pagano/cristiano e giusto/tiranno. Sostanzialmente si potrà modellare il proprio allineamento in uno spettro che va da “legale buono” a “legale malvagio” per usare concetti tipici dei GDR.
Definire sempre meglio il nostro allineamento ci garantirà bonus specifici legati al nostro operato, oltre ad influenzare i rapporti tra noi ed i nostri cavalieri, migliorandoli con chi ci è affine e deteriorandoli con chi la pensa diversamente da noi, arrivando alla situazione limite in cui la scelta di reclutare uno specifico compagno significherà automaticamente l’esclusione di un altro.
Ma in cosa consiste quindi il gameplay di King Arthur: Knight’s Tale? Fondamentalmente si tratta di uno strategico a turni, in cui il giocatore è chiamato a compiere una serie di missioni, alcune obbligatorie ed altre opzionali, con l’obbiettivo generale di ristabilire il dominio su Avalon cacciando l’oscurità che ne ha insidiato i villaggi e le terre.
La storia principale si sonda attraverso quattro atti di difficoltà crescente, in cui al completamento delle missioni si alterna una fase GDR/gestionale, di cui parlerò più avanti.
Nel concreto, affrontare una missione significa muovere un party di guerrieri (da 1 a 4, più aiutanti occasionali) attraverso una mappa isometrica più o meno ampia, caratterizzata da una struttura generalmente labirintica e pullulante di loot e nemici: i primi si presentano sotto forma di casse del tesoro od altri artefatti consoni all’area in cui ci troviamo (ad esempio, tronchi cavi in un bosco, macerie in un tempio sotterraneo e così via); i secondi invece occupano sezioni ben precise della mappa, ed incrociarli darà vita ad una fase di combattimento dalla quale è impossibile ritirarsi. Alcuni tesori sono inoltre occultati alla vista, e si riveleranno solo se disponiamo di personaggi con un alto livello di Percezione, caratteristica utile anche ad individuare le eventuali trappole nemiche celate sui campi di battaglia.
Non tutte le battaglie presenti in una mappa devono essere combattute per finire la missione: questa ha infatti sempre un obbiettivo principale più eventuali incarichi opzionali che possono ricompensarci con un bottino extra. In ogni caso, la battaglia è il cuore del gameplay, e combattere sarà l’attività che ci impegnerà per la maggior parte del tempo, all’insegna della più classica pornografia numerica da strategico/tattico.
Le battaglie si svolgono all’interno di aree circostanziate, organizzate in una griglia di quadranti, in cui il movimento da uno all’altro costa Punti Azione, necessari anche per attaccare, usare oggetti ed abilità speciali. Particolarmente utile è la meccanica di overwatch: si possono utilizzare PA per preparare un attacco in quadranti adiacenti al personaggio che stiamo controllando, in modo che, se nel turno avversario un nemico entra nel raggio d’azione che abbiamo impostato, subisca un attacco preventivo (diverso dall’attacco di opportunità, anch’esso presente). Lo sfruttamento accorto di questa tecnica è in grado di cambiare le sorti di una battaglia, garantendoci un notevole quantitativo di attacchi fuori turno, se siamo bravi a prevedere i movimenti avversari, o a guidarli tramite un accorto posizionamento dei nostri personaggi sul campo.
Le battaglie presentano una buona varietà di configurazioni, e necessitano di concentrazione e di un team variegato per essere portate a compimento nel migliore dei modi. Diversificare le proprie azioni con attaccanti melee e ranged, usare le abilità al momento giusto e sapere quando è meglio restare in attesa delle mosse avversarie… c’è tutto il repertorio che un amante dei giochi tattici si aspetta. I compagni d’arme si uniranno a noi in diverse occasioni: al termine di una missione, nel bel mezzo della stessa o tramite ricompense legate all’allineamento. All’inizio di ogni missione decidiamo quali schierare, ma attenzione: c’è il permadeath, quindi non conviene mandare al massacro i primi eroi che capita, serve invece valutare bene la composizione del nostro team affinché sia preparato ad ogni evenienza.
Utilizzare un mix di classi diverse per la propria squadra è fondamentale, peccato che, allo stato attuale, alcune classi siano troppo svantaggiate rispetto ad altre: in particolare gli arcieri, inizialmente utili in quanto unica classe ranged a disposizione, diventano progressivamente superflui da metà gioco in avanti, con l’introduzione delle classi magiche, estremamente più versatili. Sebbene sulla carta il gioco inviti a diversificare l’approccio al combattimento, dal secondo atto in poi diventa sempre più evidente come alcune formazioni risultino sempre più convenienti rispetto a tutte le altre, a prescindere dal tipo di nemici che affrontiamo. La classe Vanguard, ad esempio, se usata con accortezza riesce a non essere mai colpita dagli avversari grazie alle sue abilità stealth, che la rendono praticamente indispensabile in qualsiasi fase di gioco.
Va detto poi che i nemici non offrono molta varietà: si passa dai briganti, corazzati o meno, ai non morti, senza dimenticare stregoni e una manciata di mostruosità assortite: nulla di troppo entusiasmante dal punto di vista delle caratteristiche o dell’originalità, sebbene va riconosciuto il fatto che si è tentato di assegnare a ciascun atto una fazione nemica principale, il che contribuisce a vivacizzare un per qualche tempo gli scontri… prima di ricadere nella monotonia.
da un certo punto di vista le battaglie sono persino troppe: il fatto è che c’è pochissima varietà fra uno scontro e l’altro, che ripropongono fino allo sfinimento gli stessi gruppi di nemici, ancora e ancora, solo in numero sempre maggiore. I campi di battaglia non offrono spunti creativi al di fuori di qualche copertura: non esiste, ad esempio, alcuna verticalità, che avrebbe potuto conferire più importanza ai summenzionati arcieri; non esistono oggetti o azioni contestuali sul campo, nemmeno cose basilari come rompere un barile per spargere combustibile a terra o strutture da rompere per ricavarne delle coperture. I campi di battaglia sono sempre, tristemente vuoti.
Le stesse mappe di missione, oltre a non abbondare dal punto di vista del dettaglio grafico, sono assolutamente avare di interattività: al di fuori delle battaglie, del loot occasionale e di qualche sparuto NPC, ci sono solo altri due elementi sensibili, i falò e i santuari. I primi permettono una rigenerazione parziale di punti vita o armatura, i secondi offrono invece piccoli bonus (o malus) casuali, validi solo per la battaglia immediatamente successiva. In definitiva, per la maggior parte del tempo non faremo altro che aggirarci per mappe desolate, avanzando di scontro in scontro fino alla vittoria definitiva. O alla morte.
Il design artistico di personaggi e mondo di gioco, del resto, manca di guizzi di ispirazione, ricorrendo a tutti gli stereotipi del dark fantasy. Pur offrendo una varietà di ambientazioni che regala talvolta scorci suggestivi (cimiteri navali, catacombe, boschi maledetti e villaggi razziati), il rischio di anonimia estetica è dietro l’angolo, ed è un peccato per un gioco che si rifà ad un immaginario iconico specifico come quello di Re Artù. Stessa cosa dicasi per la colonna sonora, costituita da pochi temi musicali, piacevoli ma continuamente riciclati, che costituisce tutt’al più un buon sottofondo ma non aggiunge pathos né epos alle nostre eroiche imprese. Peccato.
La difficoltà del gioco necessita ancora di essere bilanciata a dovere: le missioni sono di difficoltà variabile, da elementare a molto impegnativa, ed ognuna indica il livello suggerito per affrontarla. Non è però possibile affrontare nuovamente le missioni già completate, con la conseguenza che è complicato livellare adeguatamente tutti i guerrieri che reclutiamo (massimo 12: per reclutarne di nuovi dovremo cacciarne qualcuno). Le cure sono pochissime, e non di rado capita di essere afflitti da malus importanti (ad esempio, un fendente particolarmente brutale potrebbe comportarci una perdita permanente di punti azione), che ci porteremo appresso finché non la cureremo nella fase gestionale (di cui ora andrò a parlare).
Spiego meglio questo problema con un esempio: facciamo una missione con 4 personaggi. Al termine della missione uno di questi, ad esempio un mago, ha riportato ferite permanenti che devono essere curate, pena un malus permanente alla salute massima. La cura richiede un paio di missioni di attesa. Significa che per le prossime due missioni non potremo utilizzare quel mago. Se ne abbiamo reclutato un altro bene, altrimenti dovremo usare un altro guerriero, magari sottolivellato, con il rischio di una spirale di difficoltà sempre crescente, nuovi infortuni ad altri personaggi e così via.
Va detto che gli sviluppatori hanno lavorato in modo encomiabile sulla scalabilità della difficoltà di gioco: ciò si evince dalla possibilità iniziale di scelta di attivare o meno la difficoltà roguelite, ovvero il permadeath dei personaggi. In altre parole, potremo decidere di gestire personalmente il salvataggio del gioco, per un esperienza con salvagente, o adottare l’approccio più punitivo.
Vi sono più gradi di difficoltà di combattimento, liberamente selezionabili anche nel corso della campagna. Il problema è che la curva di difficoltà procede in modo tutt’altro che omogeneo: ampiamente accessibile per i primi due atti, il gioco si fa inaspettatamente impegnativo dall’inizio del terzo atto in poi, con nemici improvvisamente potenziati in numero e caratteristiche, tanto che per la seconda metà dell’avventura sono stato costretto ad abbassare spesso la difficoltà di gioco per poter sopravvivere a scontri teoricamente ordinari. Da una missione all’altra mi sono trovato a fare i conti con nemici in grado di devastare il mio personaggio di livello maggiore in un solo turno, senza che avessi modo di evitarlo in alcun modo.
Gli sviluppatori hanno dichiarato di aver lavorato sul bilanciamento della Hard Mode, e da lì a scendere. L’impressione che ne ho tratto però è che, allo stadio attuale, alcune missioni siano possibili solamente con classi specifiche, mentre siano assolutamente impossibili da vincere con altri approcci. Si corre così il rischio che la sfida consista nell’individuare quale sia la combinazione di eroi che gli sviluppatori hanno pensato per quella missione, piuttosto che divertirsi ad elaborare tattiche con gli eroi che si ha piacere di usare. Allo stadio attuale suggerisco perciò non solo di evitare la modalità roguelite, ma anche di conservare più slot di salvataggio, per non correre il rischio di dover gettare al vento ore di gioco.
Quando non siamo impegnati in missione abbiamo accesso a Camelot, il nostro quartier generale. La fortezza cade a pezzi e spetterà a noi riportarla agli antichi fasti costruendo miglioramenti che amplieranno le nostre possibilità d’azione. Non potremo mai indugiare in spese pazze, poiché le ricchezze accumulate a fine missione non mai eccezionali, ma con il giusto grado di accortezza saremo in grado di edificare strutture, costruire miglioramenti ed acquistare equipaggiamento. Completare tutte le missioni secondarie disponibili è, da questo punto di vista, assolutamente necessario.
Possiamo edificare diverse strutture: nella bottega potremo ovviamente acquistare e vendere merce, spesso dilapidando i nostri esigui risparmi, mentre nella cattedrale e nell’ospedale potremo guarire vari tipi di ferite gravi (i malus permanenti di cui dicevo sopra), privandoci della possibilità di schierare l’eroe convalescente per un certo numero di missioni, a seconda della gravità delle sue ferite. Come detto, avere anche solo un personaggio ricoverato costituisce un certo handicap, quindi spesso saremo tentati di accedere alla cura rapida pagando una cifra in denaro. A patto di avere i soldi.
Vi sono poi la cripta, dove possiamo vedere i nostri nostri compagni caduti (e resuscitarli a patto di avere l’oggetto per farlo) e la torre dell’alchimista, dove infondere delle reliquie per forgiare oggetti di rara potenza. Alla Tavola Rotonda inoltre possiamo conferire dei titoli ai nostri cavalieri, oltre che emanare editti, tutte attività volte a farci ottenere bonus passivi più o meno permanenti.
Il sistema economico, inizialmente fallato nell’Early Access, è stato notevolmente migliorato ma non va preso alla leggera: il bottino ricavato dalle missioni è sempre esiguo rispetto ai costi di ampliamento degli edifici e l’acquisto di oggetti; sarà necessario fare accorte operazioni di compravendita disfacendoci dell’armamentario in eccesso che possediamo, altrimenti rimarremo spesso nell’impossibilità di sbloccare i miglioramenti più utili o acquistare gli oggetti più preziosi.
Meglio invece sul fronte più spiccatamente GDR di gestione del party: ogni personaggio ha il suo character’s sheet comprensivo di storia, statistiche, equipaggiamento/inventario e albero delle abilità. I menù sono leggibili ed intuitivi a chiunque abbia familiarità con il genere, sebbene risulti un avaro a livello di opzioni di personalizzazione: ogni personaggio ha infatti una sua classe non modificabile, da cui dipendono le abilità e l’equipaggiamento indossabile. Solo pochissimi oggetti equipaggiabili cambiano leggermente questo assetto, poiché conferiscono abilità aggiuntive ai nostri eroi. Spesso queste abilità rappresentano un importante valore aggiunto in grado di potenziare notevolmente un personaggi poiché gli consentono manovre impossibili per la sua classe, ad esempio conferendo abilità curative ad un eroe prettamente offensivo.
Le scelte del giocatore si riducono quindi agli oggetti migliori da assegnare e l’ordine di apprendimento delle abilità, giusto una manciata di passive e qualche miglioramento per quelle attive. Ad esempio, si può diminuire il cooldown di un attacco o aggiungere alterazioni di status ad un fendente. La pianificazione strategica qui è piuttosto esigua, complici le scarse sinergie tra le abilità dei personaggi, che raramente permettono l’elaborazione di setup particolari: si può equipaggiare un arciere con un arco velenoso e garantire ad un cavaliere un boost di danni contro un nemico avvelenato, ma nulla di molto più complesso di così. È la composizione della squadra, più che della scelta delle abilità in sé, a fare la differenza sul campo di battaglia.
King Arthur: Knight’s Tale gode di una premessa narrativa intrigante ed offre buoni spunti di gameplay nella sua commistione di GDR tattico ed elementi gestionali. A fronte di una narrativa dark fantasy tutto sommato piacevole ma di un comparto artistico che poteva essere più ispirato, il gameplay si è dimostrato sufficientemente appagante da giustificarne la prova agli amanti del genere, e la difficoltà scalabile lo rende accessibile anche ai giocatori meno smaliziati. Tuttavia il gioco soffre di una certa monotonia e di forti sbilanciamenti nell’efficacia di alcune classi e di alcuni picchi di difficoltà nella seconda parte dell’avventura. I ragazzi di Neocore Games sono già al lavoro per risolvere questi intoppi con delle patch post-lancio.
This post was published on 31 Gennaio 2021 1:46
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