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Recensioni

Hitman 3 | Recensione di un non professionista (PS4)

I videogiochi stealth mi sono sempre piaciuti, anzi, mi hanno sempre affascinato, come mi hanno sempre affascinato quelle persone che riescono a finire un gioco senza mai far scattare un allarme, in speedrun tra l’altro.

Io ho invece sempre avuto un po’ di timore ad approcciarmi agli stealth puri, alla Hitman, serie che io ritengo l’essenza dello stealth perché l’Agente 47 può far fuori il suo bersaglio alla luce del giorno davanti a 400 possibili testimoni. Timore di fare brutte figure, anche con me stesso, rendendomi conto di essere un incapace.

E infatti la recensione di Hitman 2 l’ho intitolata proprio ‘recensione di un incapace’, perché la redazione a me lo assegnò (sciocchi!), come mi hanno assegnato Hitman 3 (per una questione di continuità). Ho accettato nuovamente la sfida, vediamo dunque cosa pensa dell’ultimo capitolo della trilogia un non professionista del genere.

Hitman 3: pronti a catapultarci

La storia di Hitman 3 riparte da dove l’avevamo lasciata (e certo), cioè con 47 e Diana Burnwood che vogliono distruggere una volta per tutte Providence, la società segreta che voleva fare le scarpe al Cliente Ombra, il quale però abbiamo scoperto essere un amico di infanzia proprio di 47, Lucas Grey.

L’unico modo per mettere il punto alla faccenda è eliminare la Costante, il capo assoluto dell’organizzazione, prima però vanno fatti fuori un po’ di suoi compari, persone potenti, dell’alta borghesia. Da qui in poi, la trama si dipana tra agenti che vogliono uccidere altri agenti, tradimenti, doppio gioco, triplo gioco e asso piglia… no.

Parliamoci chiaro, la storia di Hitman 3 non è quella di Death Stranding che ha bisogno di un interprete che ti faccia da mentore altrimenti faresti solo finta di capirla, è essenziale, è giusta per un titolo di quel tipo. La struttura narrativa che IO Interactive ha usato è quasi meccanica: grande briefing pre-missione, missione, cutscene che manda avanti la vicenda. Quest’ultime sono state girate a mo’ di thriller, quasi noir in certi aspetti, e funzionano. Non si raggiungono mai vette inesplorate, ma va bene così perché Hitman 3 è gameplay, e che gameplay!

Eccomi quindi catapultato a Dubai per la prima missione. Per entrare ho bisogno di un nuovo gingillo, la fotocamera, che permette a Lucas, in remoto, di aprire alcune serrature elettroniche e fornirmi le combinazioni. Sono dentro, il palazzo dello sceicco *nonricordoilnome* è sfarzoso, anzi, è una città intera che guarda dall’alto i poveracci che non possono permettersi questo lusso.

Già, perché proprio come in Hitman 2, le ambientazioni sono enormi, hanno bisogno di un ripasso della mappa ogni due per tre per essere capite a fondo, ti lasciano la curiosità dell’esploratore. Hitman 3 non è un adventure, eppure vedendo location del genere, così ben realizzate, a me spesso e volentieri è venuta voglia di entrare in ogni stanza, percorrere ogni singolo corridoio, uscire nelle zone esterne e perdermi. Poi ti ricordi che non è Uncharted e che hai dei bersagli da accoltellare, avvelenare, accettare, in tutti i sensi, insomma, eliminare dalla faccia della terra, e soprattutto ti ricordi che se entri nella server room vestito da assassino professionista ti calciorotano all’istante.

Devo assolutamente avere il vestito delle guardie d’élite dello sceicco per due motivi: 1 muovermi più liberamente, 2 son proprio belle. Riesco a isolarne una, la tramortisco, mi travesto e nascondo il corpo in un armadietto. Sono passati circa venti minuti, non ho ancora fatto scattare allarmi, mi sento invincibile, finché una guardia che ha un pallino bianco sulla testa (sono i personaggi che possono riconoscerti anche se sei vestito correttamente per l’area e la situazione) sta per insospettirsi. Sangue freddo, mi nascondo dalla sua vista, prendo una moneta, la lancio, lui va a controllare, io passo alle sue spalle. Sì, sono invincibile.

Prendo un oggetto contundente da un tavolo, mi crivellano di colpi, no, non sono invincibile, sono un cretino. Mi trovavo in una stanza privata, non mi è permesso prendere quello che mi pare. Ricarico il salvataggio più recente, provo a fare mente locale, leggo che c’è una storia della missione vicina, ah giusto, posso sfruttarle per avere vita più semplice. Una volta attivati, questi mini obiettivi consentono al giocatore di creare un’opportunità di assassinio, quindi perché no? Perché non approfittarne? La attivo e scopro che esiste un modo per riunire i due bersagli nella stessa stanza e di chiuderceli dentro in modo ermetico. Predo la palla al balzo, faccio tutto quello che il gioco mi chiede di fare e nel momento clou, attivo il sistema di sicurezza che li intrappola. Uno lo uccido lanciandogli un coltello, all’altro spezzo il collo. Finito tutto, vado via in paracadute (un po’ come uno spettacolo teatrale circolare).

Sarà mica sempre così semplice? Eh no, quella era la missione della demo, più o meno qualcosa ricordavo. A Dartmoor, Inghilterra, la location è ancora più splendida, ma non so nulla di quella magione gigantesca, men che meno del giardino a labirinto tipico di quella zona. Io quasi quasi mi vesto da giardiniere, così, a caso, poi qualcosa succede. Entro nella casa, ma meglio essere un cameriere in questa situazione, pertanto il giardiniere diventa inesorabile e diventa un fedele servitore. Mmh… però… percorrendo l’ala est (non so se fosse davvero l’ala est, a dire il vero, mi ero perso) noto il maggiordomo. Bene, faccio l’upgrade, da cameriere semplice a maggiordomo personale del mio obiettivo. Ah, ha un gettone in tasca. Lo prendo, mi servirà per completare l’obiettivo “secondario”. Per uccidere l’obiettivo principale invece seguo una storia della missione: un becchino deve incontrare la persona, prendo il suo posto perché da maggiordomo a becchino è un attimo. Questo porta il bersaglio fuori dalla villa, io mi nascondo tra le frasche del giardino, le lancio in testa un coltellaccio trovato in giro. Panico, c’è un morto, ma non il colpevole che, nel mentre, se ne va fischiettando.

Sì, bisogna ammetterlo, a volte l’IA nemica ha dei mancamenti, ma in un gioco così tentacolare, che ti spinge a sprigionare tutta la tua creatività nelle uccisioni, che ha tanti approcci differenti alla stessa situazione, ci può stare che a volte l’IA abbia delle lacune. Vi posso assicurare che, grazie anche a un level design pazzesco, queste lacune si avvertono pochissimo, inoltre l’IA mostra segni di cedimento soprattutto quando il giocatore cerca di forzare, di sbrigarsi. Hitman 3 non va giocato così, non bisogna sbrigarsi, è necessario scoprire nuove zone, quasi come in un RPG, aspettare con pazienza il momento giusto per agire.

D’altronde, Hitman 3 ha anche delle fasi shooting se le cose dovessero mettersi male, ma anche in questo caso tutto va contestualizzato: lo shooting del titolo IO Interactive non è perfetto, l’Agente 47 sembra poco a suo agio con un’arma in mano, quasi trattenuto da qualcosa. Ci sta. Hitman 3 non è pensato per le carneficine al gusto piombo, gli scontri vanno evitati e quando capita è meglio preferire il caricamento di un salvataggio o addirittura il restart dell’intera missione.

Esistono anche alcune variazioni sul tema, ad esempio, a Berlino mi sono ritrovato a un rave party, ma senza bersagli da eliminare, la missione era riconoscere alcuni agenti infiltrati e ucciderne un certo numero.

La missione, però, che mi ha fatto innamorare di Hitman 3 è quella ambientata a Chongqing, Cina, perché lì si è visto l’enorme lavoro del team di sviluppo sia in termini di gameplay, di scelte, e di cura dei dettagli. In quella specifica missione, ho perso davvero tanto tempo, non ero più un assassino professionista, ero un turista, ho guardato con stupore le insegne al neon, i caratteristici ristoranti della zona, pensavo di essere il protagonista di una versione asiatica di Blade Runner.

E quante volte sono morto, anche a causa di una perquisizione perché, sì, sono proprio incapace, non ricordavo di avere una pistola e un cacciavite addosso, però non mi sono arrabbiato, mi sono migliorato volta per volta e ho portato a termine anche quel livello, non con un punteggio finale altissimo, ma la soddisfazione di quando porti a termine un contratto su Hitman 3 è inspiegabile a chi non prova con mano.

Forse volevate una recensione classica, ma proprio non ce l’ho fatta a scriverne una in cui affermo che tecnicamente siamo una spanna sopra a tantissime produzioni di questa generazione, che il gameplay è appagante, ricco di sfumature che non possono essere elencate, vanno vissute nei panni dell’Agente 47, la longevità forse pecca un po’ con sei missioni principali (6/8 ore), tuttavia anche questo va contestualizzato: Hitman 3 ha tanti percorsi, un’infinità di opportunità, portare a termine una missione non significa aver davvero finirla, è solo il primo passo, perché più saremo bravi e più livelli professionalità sbloccheremo. Questi ci consentono di ricominciare la missione entrando da nuove aree, con armi inedite e strumenti nuovi; ci sono poi missioni secondarie, ci sono le sfide da completare, e sono decine e decine per ogni singola missione. La longevità non è affatto un problema, fidatevi.

Commento finale

Hitman 3 è lo Stealth con la S maiuscola, ogni missione è un piccolo mondo da esplorare sia per il piacere della scoperta sia per le opportunità di assassinio che sa offrire, tantissime, talmente tante che trovarle tutte è una vera impresa. Hitman 2 è stato un gran gioco, ma il terzo capitolo lo supera senza ombra di dubbio, con una varietà di approcci e una bellezza scenica ed estetica fuori scala per titoli di questo genere. Una trama non complessa e qualche sbavatura nell’IA nemica possono fare da contraltare, ma si tratta di lacune poco visibili e che vanno contestualizzate per capirne l’infima incidenza sulla qualità finale del prodotto.

This post was published on 23 Gennaio 2021 19:10

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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