In quanto articolisti non sempre sappiamo quali giochi andremo a recensire e se la responsabilità di un determinato titolo sarà affidata a noi o a qualche collega.
Ammetto che quando mi è stata assegnata la recensione di Medal of Honor: Above and Beyond avevo quasi perso le speranze di potermici tuffare, e mi ero spoilerato abbastanza elementi tramite recensioni altrui, sorpreso nel vedere voti che andavano dal 6 scarso al 10 (con una preoccupante tendenza verso il basso nei siti dedicati alla VR).
Ero un poco intimorito dal mettermi il caschetto in testa durante il D-Day in un gioco che aveva suscitato nei colleghi opinioni così altalenanti, ma l’ho fatto, e ne sono uscito entusiasta.
La campagna di Medal of Honor: Above and Beyond farà ripercorrere al giocatore i tratti salienti della seconda guerra mondiale in Europa, partendo dalla resistenza francese al freddo norvegese, passando per le trincee e lo sbarco in Normandia.
Di primo acchitto il gioco non si presenta benissimo: la prima scena serve come espediente narrativo per raccontare perché il nostro personaggio non parla, ma si contraddistingue invece per un qualcosa che troveremo ogni tanto nel gioco. Stiamo parlando del corpo del giocatore, ferito, è posto in posizione orizzontale, diversa da quella reale del gioco.
La cosa non fa per nulla un bell’effetto, e mai lo farà nelle (poche) volte in cui viene presentata questa dissonanza. Passato questo cappello iniziale, e fatte le scelte sui settaggi (che sono da promuovere sia per personalizzazione che per implementazione) si viene finalmente catapultati in quella che è la vera azione.
Anche qui, all’inizio il gioco non sembra troppo convincente: se da un lato è divertente e ben pensata, con armi da ricaricare manualmente in maniera fedele e una mira che in VR rende tutto estremamente difficile, le varie scene sono intervallate davvero tanto, troppo, da mini caricamenti.
Ogni scala che si sale, ogni mini cutscene con un personaggio parlante, ogni volta che finisce una azione, c’è un mini-caricamento, che farà pensare ad un continuo più frustrante che altro.
Per fortuna il problema si affievolisce con il proseguirsi degli eventi, e arrivati a metà gioco si inizia quasi a ringraziare per la possibilità di riposare il braccio ogni tanto.
Una volta passato l’adattamento iniziale, che come visto comporta qualche fatica a causa di un design non propriamente fluido, il gioco assume una forma nuova, e diventa una esperienza appagante, forte, che entra nella testa e aumenta i battiti cardiaci a più riprese.
La trama risulta ben pensata anche se un poco stereotipata, ma è difficile innovare nella narrazione su un argomento trito e ritrito come la seconda guerra mondiale. Bisogna comunque riconoscerle la capacità mette insieme dei personaggi ricorrenti coerenti e continui con delle comparse divertenti.
La narrazione poteva essere molto più fluida invece di rimbalzare di scena in scena, ma al netto di qualche passaggio a vuoto che grida solo “tempo perso”, la storia ed i personaggi di Above and Beyond sono degni di un gioco AAA.
Come da tradizione, anche questo capitolo della saga non si fa mancare nulla: combattimenti aerei, blindati che ci passano sopra la testa mentre siamo accucciati in trincea, e persino lo sbarco in prima persona sulle spiagge di Omaha Beach.
Tutte immagini forti, che in VR riescono ad emozionare come difficilmente si è visto su computer. Ho avuto in più di una occasione l’istinto di abbassarmi velocemente gridando parole poco felici. Il gioco mi ha coinvolto così tanto che ad un certo punto, dopo aver ricevuto il saluto di un mio superiore, ho risposto con un cenno della testa prima di allontanarmi.
Si, ho risposto al saluto di un NPC in real.
Tralasciando la mia incapacità comprovata di distinguere il reale dal virtuale, ammetto che sia un miracolo che in questo susseguirsi di azioni il Motion Sickness sia stato quasi completamente assente per tutto il tempo, anche dopo sessioni che superavano l’ora.
E per un gioco in cui si salta sui treni o ci si lancia dagli aerei, è un vanto non da poco.
Discuterò a breve dei problemi relativi al gamingin realtà virtuale in un pezzo apposito e giocare a Medal of Honor non ha fatto altro che confermarmi una cosa: essere immersi in un mondo virtuale possa avere dei rischi psicologici non indifferenti.
Nonostante mi piacciano particolarmente i giochi di guerra, tendo ad essere, fuori dal mondo virtuale, una persona fin troppo sensibile.
Quando nel tutorial iniziale chiede di calibrare la propria sensibilità mi sono detto “beh proviamo a vedere come è il livello massimo”.
Ho sparato ad un soldato tedesco messo davanti a me, sapendo benissimo che era un umano virtuale, ma il realismo dei suoni, della caduta, dell’ambiente che mi circondava, mi ha fatto star male per un momento, così come ho avuto un sussulto la prima volta che ho sentito il suono di quando si viene colpiti.
Contrariamente a quanto credessi, ciò che rende questa fase iniziale forte dal punto di vista psicologico ne è l’isolamento, quando poi si va in scena nei veri teatri di guerra queste sensazioni vengono affievolite da tutto il resto. Rimane il fatto che bisogna star attenti alla propria sensibilità, giocare in VR non è come giocare sul PC, e bisogna rendere merito a Medal of Honor per aver offerto un sistema altamente personalizzabile per mitigare possibili effetti indesiderati.
Scavando all’interno del menù iniziale, in puro 3D ma non proprio intuitivo, il gioco presenta molto altro oltre alla campagna.
Tralasciando la modalità sopravvivenza, la classica arena a ondate, c’è un bel reparto multiplayer in cui si può giocare a varie modalità contro altri avatar virtuali (patto di riuscire a trovarne, vista la scarsità di giocatori nei tentativi fatti).
La cosa davvero bella però sono dei filmati registrati con dei veterani del vero conflitto, in cui vengono affrontate molte tematiche dal punto di vista umano più che storico.I video coi veterani sono bellissimi ed emozionanti, una aggiunta davvero gradita che meriterebbe molta più attenzione.
Il gioco avrebbe dovuto far qualcosa per inserirli come parte della narrativa, o anche dare al giocatore la possibilità di scegliere se guardarli o meno nei punti della campagna che si riconducono a quella determinata testimonianza.
La fattura tecnica è di alto, altissimo livello, anche se con delle sbavature troppo ovvie per essere vere.
Il tutorial è necessario ma rimane davvero un pugno nello stomaco per quanto riguarda la suspension of disbelief, mentre il resto dell’interazione col mondo è da manuale.
Si può interagire con moltissimi oggetti, e le armi hanno un modo semplificato al punto giusto da dar la sensazione di reale tra le mani senza complicarne la maneggiabilità, rendendo il tutto molto intuitivo.
D’altro canto non sempre raccogliere gli oggetti è così semplice, a causa di collisioni non proprio ben pensate e oggetti messi troppo vicini tra di loro, non si riesce quasi mai a prendere l’oggetto che si vuole se è vicino ad altri oggetti.
Un simile discorso può essere fatto per il comparto grafico, che ha delle punte di eccellenza notevoli e degli elementi tremendamente piatti. Ci sono degli elementi che hanno un livello di dettaglio pazzesco, come alcuni veicoli o interni, ed altri che sembrano fatti di corsa, un poco all’ultimo momento.
In generale ho proprio avuto la sensazione che alcuni elementi siano stati sviluppati da veterani con esperienza nel design per la realtà virtuale, mentre altri abbiano risentito della mancanza di testing o di una supervisione “consapevole”.
Un peccato, perché dove il gioco eccelle, lo fa meglio di praticamente chiunque.
Tutto sommato, l’esperienza di Medal of Honor: Above and Beyond è molto meglio del previsto, ma porta comunque con se una lunga lista di cose da rivedere. Per essere il primo gioco AAA che viene costruito specificatamente per la realtà virtuale ci sono tanti elementi che meritano un plauso, ma sfoggia anche una lunga lista di problematiche a cui i designer di domani dovranno trovare una risposta. La VR in fondo è nata quando si sognava di vivere in maniera immersiva questo tipo di esperienze, e questo è solo il primo tentativo di quella che speriamo sia una lunga serie. Non ci siamo ancora, ma ci stiamo avvicinando.
This post was published on 2 Gennaio 2021 19:00
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