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Recensioni

Call of the Sea | Recensione (PC)

Novembre 1934. Il mondo occidentale è in piena espansione coloniale: ricercatori e studiosi da tutto il mondo, dall’inizio del decennio, iniziano a visitare atolli e isole sperdute nell’Oceano, alla ricerca di tracce di antiche civiltà, tradizioni, usi e costumi. Questo però non è il caso di Harry, giovane ricercatore, che con un folto gruppo di studiosi, si reca al largo di un isola nella Polinesia francese nell’estate del ’34 per scoprire qualcosa che va oltre il semplice studio di antiche tribù.


Harry è mosso da un intento nobile: vorrebbe scoprire una cura per la strana malattia debilitante della moglie, Norah, e sembra che la chiave per la cura risieda proprio nei meandri dell’isola tropicale. Gli sposi, malgrado la giovane età, sono costretti a vivere di sacrifici dovuti dalla malattia ereditaria della moglie. Norah è afflitta da una patologia rara dell’epidermide: le sue mani sono ricche di chiazze scure, simili a squame. Non tutto però, sembra andare liscio come l’olio.
La “Spedizione Evenhart“, che prende il titolo dal cognome di Harry, non ha dato risultati. Tutti coloro che sono sbarcati sull’isola sono dispersi e Norah, rimasta a casa, non si dà pace. Si fa coraggio e decide di recarsi da sola sull’isola per scoprire cosa è successo a suo marito. Così inizia Call of the Sea, interessante avventura investigativa in salsa lovecraftiana.

Sogno o son desto?

Call of the Sea si apre con un sogno… o forse un incubo? Norah è tormentata da sogni a seguito della sparizione del marito. Uno in particolare tormenta le sue notti: sogna di essere una creatura marina, con mani blu, squamate che ricordano molto le chiazze presenti sulla sua pelle. Tale introduzione ci fa subito familiarizzare con il concept del nuovo titolo curato da Out of the Blue.

Forte di riferimenti alle opere di H.P. Lovecraft, Call of the Sea è un’ottima avventura investigativa, curata nei minimi dettagli. Seguiremo i passi di Norah per tutta l’isola: l’ambiente è curato da molti particolari e i colori pastello rendono il mondo di gioco quasi una tavolozza di acquerelli. Uno spettacolo visivo in cui è piacevole “tuffarsi” per scoprire cosa si cela dietro la sfortunata spedizione.

Non mancano, tuttavia, elementi dark già visti in titoli quali The Sinking City e Call of Cthulhu. I ragazzi di Out of the Blue sono riusciti a ricreare perfettamente l’ambiente tropicale ma allo stesso tempo misterioso, a tratti sinistro, capace di far trasparire ansia ed incertezza nel videogiocatore. Badate bene che Call of the Sea non è un horror, ma i richiami al paranormale e una sensazione di assoluta incertezza pervade per tutta l’opera narrativa che riesce a combinare bene enigmi non troppo banali e fasi esplorative a tutto tondo.

Indiana… Norah Jones

Call of the Sea è una avventura grafica abbastanza semplice che, come detto poc’anzi, riesce a mescolare bene gli elementi esplorativi con puzzle ben fatti. Norah avrà un diario nel quale appunterà sia le sue considerazioni che “pezzi” di trama, sparsa qua e là per dare una visione d’insieme di ciò che è accaduto a suo marito. Questi elementi andranno arricchiti sempre di più man mano che andremo avanti nel corso dell’avventura. L’isola è teatro dell’insediamento di Harry e compagni, accampamenti, taccuini, oggetti lasciati dagli studiosi che ci saranno utilissimi sia per comprendere cosa è effettivamente successo pochi mesi prima, sia per risolvere gli enigmi che ci faranno andare avanti nella storia.

Sarà possibile esaminare ogni documento, il gioco conterrà un tracking dei collezionabili presi in esame, cosa piacevole per i “cacciatori di obiettivi”. Gli ambienti di gioco non sono troppo piccoli, anzi, risultano abbastanza ampi e variegati. Call of the Sea è un’avventura grafica apprezzabile un po’ da chiunque, esperto di puzzle game oppure no. Gli enigmi presentati all’interno della storia non sono molto difficili, Norah avrà sempre l’accortezza di appuntare qualsiasi indizio (a patto che venga trovato!) per la risoluzione dei puzzle. L’unica nota negativa è la mancata presenza dei suggerimenti, ad esempio: dobbiamo aprire un portale e abbiamo vari indizi in nostro possesso, forse fin troppi. Dove andare? Servono davvero tutti per la risoluzione dell’enigma? Sono interrogativi che ci porteranno a girare un po’ in tondo quando, magari, la soluzione l’avevamo già lì, pronta per essere utilizzata.

Cthulhu fhtagn!

Come già anticipato prima, le ambientazioni di Call of the Sea saltano subito all’occhio del videogiocatore, dalla spiaggia tropicale con totem e colori vividi e caldi, ad una spettrale tempesta dai colori freddi e il profilo di una nave arenata. L’Unreal Engine 4 fa il suo egregio lavoro e, esaminando la versione su PC, non abbiamo visto bug o glitch di alcun tipo, a parte qualche piccolo calo di framerate nelle fasi iniziali. Il gioco è abbastanza fluido e il sonoro è ottimo, complice il doppiaggio di buona fattura, anche se ci sarebbe piaciuto ascoltare una colonna sonora più incisiva soprattutto nelle fasi esplorative.

Il gioco si aggira tra le 6/8 ore in base alla nostra bravura, con possibilità di rigiocabilità in quanto sono presenti due finali che verranno influenzati dall’ultima scelta possibile e non dal nostro stile di gioco per tutta la durata dell’avventura.

La lore di Call of the Sea è ricca di particolari e la narrativa, punto forte del gioco, riesce a tenere il videogiocatore incollato allo schermo per tante ore, con una “fame” di contenuti insaziabile. Malgrado il gameplay si muovesse su piani abbastanza visti e rivisti, la storia d’amore tra Norah e Harry costituisce il vero motore del gioco: ben realizzata e descritta, il team madrileno Out of the Sea ci consegna un’avventura grafica molto ben fatta al calare di questo nefasto 2020. Una sensazione che ci ha ricordato un po’ i walking simulator come Firewatch o What Remains of Edith Finch, un po’ opere cinematografiche di alto livello come La Forma dell’Acqua. Noi di Player promuoviamo in toto questa bellissima avventura di Out of the Blue: un puzzle game molto semplice, una storia d’amore e mistero che, per quanto pregna di riferimenti ad altre opere, è assolutamente godibile fino alle fasi finali di gioco.

This post was published on 14 Dicembre 2020 15:22

Pia Colucci

Barese born & raised, sono nata a pane e videogiochi. Il mio battesimo è stata l'Amiga 500 di mia sorella, con l'arrivo di Playstation non ho mai più lasciato il joypad. Sono una psicologa e mi occupo di divulgazione in materia di psicologia, videogiochi e digital media. Non ho molte passioni a parte i gatti rossi, le birre e il Giappone. I miei videogiochi preferiti? Sicuramente troppi, ma spero sempre in un remake di Xenogears. Lo ribadisco almeno una volta all'anno e su qualsiasi mia bio presente in rete.

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