La saga di Assassin’s Creed ha indubbiamente preso una piega curiosa, che tanto i fan ha fatto arrabbiare, a partire dal 2017. Dopo una pletora di capitoli tutti quanti ispirati e rimodellati con base nelle intuizioni del primogenito, Ubisoft ha deciso di cambiare le carte in tavola e di creare un vasto gioco di ruolo action, stavolta declinato diversamente in base all’ambientazione.
Dopo aver sudato sette camicie nello splendido egitto di Origins, dopo aver eliminato l’ineliminabile nell’enorme Odissey, Ubisoft ci ha riprovato ricalibrando il tiro.
Meno componenti ruolistiche, meno farming, meno acqua da navigare.
Assassin’s Creed Valhalla prende il giocatore e gli fa vivere le gesta e le cronache di un clan che migra e che si approccia ad un’altra realtà, diversa da quella che conosce, il tutto con un fortissimo desiderio di rivalsa e conquista.
Tra scaldi e drengr, tra case lunghe e drakkar, tra monasteri da razziare e insediamenti da potenziare. Assassin’s Creed Valhalla, al netto di diverse problematiche che ormai fanno continuamente capolino nella saga (e più in generale nei titoli Ubisoft), convince.
Vediamo in maniera più approfondita perché.
Partiamo dai disclaimer: se non avete molto tempo libero Assassin’s Creed Valhalla non è il titolo che fa per voi.
L’avventura montata in piedi da Ubisoft è un videogioco enorme, con una quantità di contenuti soffocante che ha bisogno di diverse decine di ore per poter essere spulciata. Quasi come i predecessori, Ubisoft ha sembrato puntare più sulla quantità di contenuti che sulla qualità sommergendo meccaniche non esattamente perfette con infinite varianti della stessa cosa da fare.
Il perché ovviamente lo vedremo meglio dopo, fate giusto il conto di quanto ci vuole per finire il titolo nella sua interezza.
Noi per arrivare alla fine della storyline principale, cercando di evitare la maggioranza dei contenuti secondari, ci abbiamo messo una quarantina comoda di ore. Se si ha intenzione di iniziare ad esplorarne anche i contenuti secondari allora queste ore potrebbero tranquillamente triplicare.
Le quaranta ore di Assassin’s Creed Valhalla sono al servizio di una storyline niente male, dotata di un taglio più crudo e violento rispetto al passato, che si adatta perfettamente alla spigolosità dell’epoca.
I vichinghi, in Valhalla, sono rappresentati in maniera carismatica e a più riprese si possono assaporare scene che non avrebbero sfigurato nel noto telefilm basato sulla storia di Ragnar Lothbrok.
Assassin’s Creed Valhalla continua il dualismo tra presente e passato riportando sullo schermo Layla Hassan, già “protagonista” di Assassin’s Creed Odissey e Origins. Layla, all’interno dell’animus, sarà il nostro tramite per Eivor, protagonista (dal sesso variabile in base alle preferenze del giocatore) dell’intera vicenda.
Eivor Morso di Lupo, nel nostro caso di sesso femminile, è una guerriera selvaggia, legata in maniera fraterna a Sigurd, al secolo jarl del clan del corvo.
Insieme a quest’ultimo la nostra protagonista si sposta dalla Norvegia verso quella che era considerata una terra ricca di opportunità aka l’odierna Inghilterra, alla ricerca di spazio e risorse per le proprie ambizioni.
La trama di Valhalla si snoda qui, tra varie saghe di conquista dove noi giocatori avremo il compito di esecutori materiali dell’espansione del clan all’interno del frammentato e selvaggio paesaggio (più sociale che fisico) inglese, durante il nono secolo dopo cristo (siamo in uno splendido alto medioevo, nell’800).
Abbiamo parlato di saghe perché, il gioco stesso, divide sé in differenti faldoni di missioni in base ai compiti, volendo un po’ riprendere il concetto di saga nordica.
Eivor e soci, seguendo le politiche dell’epoca, decidono di espandersi in Inghilterra a suon di razzie e di massacri, stabilendo un insediamento e nutrendolo con le risorse rubate altrove.
In questo dipanarsi di alleanze e conoscenze, ovviamente, il nostro gruppo di protagonisti entrerà prestissimo in contatto con l’eterna faida tra Occulti (aka gli assassini) e gli antichi (aka i templari dell’origina AC).
La trama, specie durante le prime venti ore di gioco, regge decisamente il tiro proponendo personaggi interessanti e avvalendosi di una scrittura piuttosto efficace. Purtroppo, come spesso accade per i videogiochi open world, più si va avanti con l’esplorazione del mondo meno risulta forte la presa della narrativa. Ciò non è un vero e proprio demerito nei confronti del titolo, che può vantare tutta una serie di caratteristiche molto intelligenti, queste finiscono per creare un nugolo di storie e di racconti, tutti a carattere personale, che formano un secondo tessuto narrativo, diverso per intensità ma molto più efficace per l’importantissimo fattore cuore
Questo è legato all’esperienza di ogni singolo giocatore, al come egli ha interagito con il mondo di gioco e al come il mondo di gioco, specie nei panni dei misteri e dei manufatti interagisce con noi.
Assassin’s Creed Valhalla ha dalla sua una mappa di gioco di dimensioni incredibili, che parte da un fiordo norvegese per poi arrivare in una Inghilterra a dir poco meravigliosa. Se mettiamo da parte il ludibrio tecnico totale dato dall’utilizzo di un Anvil Engine spremuto come non mai, quello che rimane è un comparto contenutistico da mani nei capelli, sia nel bene che nel male.
Partiamo quindi dalle brutte notizie: perché il comparto contenutistico di Valhalla è da strapparsi i capelli, negativamente parlando? Perché il titolo è diluito tra centinaia se non migliaia di cose diverse da fare, non tutte dotate della stessa profondità a livello di costruzione e ideazione.
Rispetto al passato Ubisoft ha fatto passi da gigante nella creazione di piccoli dungeon, rendendo credibili molte tra le avventure possibili.
Purtroppo il world building non sempre mantiene i suoi livelli su queste rassicuranti medie, sfociando (tristemente) spesso in lingotti di carbonio o tungsteno in case popolane o nascondendo oggetti nella tasche di guardie randomiche, con bachi tecnici tristemente presente che, per giunta, finiscono per non farci nemmeno ottenere progressione in tal senso.
Questo fattore viene ampiamente controbilanciato da un reparto missioni secondarie e non veramente divertente, con un sacco di missioni non particolarmente brillanti per esecuzione ma molto divertenti per idee e scrittura. Tra case che vanno a fuoco, gatti contro la peste, sbornie mefistofeliche e mille altre macchinazioni Assassin’s Creed Valhalla saprà divertire anche il più scottato tra i giocatori di Odissey.
Nostra missione feticcio è sicuramente quella dove ci verrà chiesto di togliere un ascia dal cranio di un confuso compagno, memore delle idee geniali che avevamo già visto in giochi più umoristici per vocazione come Borderlands 2.
Gli indicatori sulla mappa si dividono in tre categorie: tesori, manufatti e misteri.
Se le prime due categorie di indicatori lasciano davvero poco spazio all’interpretazione, con i misteri c’è generalmente molto con cui divertirsi.
Le attività secondarie presenti all’interno di Valhalla sono molteplici e vanno dalle classiche missioni secondarie a delle bossfight di vario genere, mettendoci in mezzo l’esplorazione di luoghi maledetti, passando anche per sezioni platform in mondi glitchati con quà la sparsi menhir misteriosi, pietre votive e chi più ne ha più ne metta.
La quantità di cose che Ubisoft mette in campo è gargantuesca e nonostante una qualità non sempre al top, è difficile annoiarsi se si gioca a piccole dosi.
Assassin’s Creed Valhalla mette moltissima carne sul fuoco, con la sopracitata quantità infinita di attività e blablabla.
Come è sto fuoco? Come funziona il gioco? Riusciranno gli assassini ad eliminare gli avversari con un singolo colpo o si ricade negli incubi greci fatti di avversari da assassinare ripetute volte?
L’esperienza di gioco è particolarmente personalizzabile e di questo dobbiamo ringraziare Ubisoft, una delle aziende cardine nella creazione di opzioni dedicate all’accessibilità nei videogiochi.
Tolte tutte le opzioni relative ad eventuali problematiche fisiche come daltonismo, scarsezza di riflessi o impedimenti di vario genere, Assassin’s Creed Valhalla offre una vasta gamma di possibili semplificazioni tra selettori di difficoltà divisi per argomento (stealth, esplorazione, combattimento) o interruttori che semplificano o modificano determinate meccaniche.
Mai ci stancheremo di ripetere quanto sia importante poter personalizzare la propria avventura e mai ci stancheremo di sottolineare quanto sia stato ottimo il lavoro fatto da Ubisoft all’interno di questo capitolo.
Al netto di queste opzioni c’è da dirlo: Assassin’s Creed Valhalla guarda più ad Assassin’s Creed Origins che a Odissey, mettendo un po’ da parte la bulimica parte ruolistica del predecessore in favore di una struttura più snella, che almeno nelle prime trenta ore mette da parte il grinding selvaggio del predecessore per salire di livello. Il gioco associa alle varie regioni un differente livello di potenza, quest’ultimo è del tutto legato al quantitativo di talenti che avremo appreso sfruttando gli appositi punti, guadagnabili attraverso il riempimento di una barra con i classici punti esperienza.
I talenti fanno l’occhiolino alla sferografia di Final Fantasy X e rappresentano la metodologia preferenziale per potenziare le statistiche del proprio personaggio, anche attraverso l’introduzione di abilità passive o di nuove caratteristiche. Il combattimento vero e proprio invece strizza l’occhio ad una versione più rpg dei Soulslike.
Parliamo di soulslike perché, rispetto al passato, c’è stata l’introduzione delle razioni (corrispondenti alle fiaschette estus) e della barra di stamina.
Le prime sono un consumabile che ricarica la barra dell’energia del protagonista mentre la seconda è invece una risorsa legata all’utilizzo della parata, degli attacchi e della schivata. Questa commistione di fattori non rende particolarmente giustizia ai capostipiti del genere, ne rendono vagamente perfetto il sistema di combattimento di Valhalla ma certamente migliorano l’esperienza complessiva di gioco.
La parte ruolistica del combattimento, fatto di attacchi pesanti o leggeri, è invece legata ad una serie di otto abilità intercambiabili, quattro ravvicinate e quattro a distanza. L’ottenimento di queste abilità è legato all’esplorazione e al ritrovamento di libri specifici, ben nascosti e se trovati in doppia copia, capaci di potenziare ad un livello successivo le mosse coreografiche di cui sopra.
Rispetto al passato (fortunatamente) c’è molta meno enfasi nel looting: armi ed armature sono molto più limitate nel numero ed hanno caratteristiche ben definire. Esistono armature destinate al combattimento a distanza, quelle ravvicinate, altre che enfatizzano l’azione stealth. Esse vanno accoppiate ad armi rinchiuse in macrocategorie, tra spade, spadoni, lance, pugnali e altro; ogni arma è chiaramente dotata di un suo moveset, magari non raffinato quelli che possiamo trovare nei sopracitati soulslike, ma capaci di fare la differenza tra un playstyle e l’altro.
Tutti i componenti dell’equipaggiamento risultano potenziabili linearmente attraverso un dispendio di risorse; questo vuol dire che ogni arma diventerà unicamente capace di fare più danni o, nel migliore dei casi, otterrà una seconda abilità passiva; niente personalizzazione con danni elementali o altro.
Le possibilità di personalizzazione delle armi vengono relegate ad una meccanica molto comune nei looter games tipo Diablo; ad adempire tale compito ci pensano le rune, interscambiabili, trasportabili e di molteplici tipologie, perfette per qualsiasi tipo di incavo.
Il culmine del divertimento del sistema di combattimento viene rappresentato dalle boss fight, presenti spesso all’interno del tessuto narrativo, che vedono il nostro personaggio contro un singolo altro figuro, solitamente grande, grosso e particolarmente abile o minaccioso. Qui ci troviamo davanti a combattimenti non sempre ben realizzati ma mediamente molto divertenti, tra necessità di padroneggiare la meccanica della schivata e difficoltà nel trovare scorciatoie con cui rompere il sistema.
Le boss fight hanno anche il pregio di mascherare, in maniera piuttosto intelligente, uno dei difetti principali dell’intero titolo: l’intelligenza artificiale deficitaria.
Quest’ultima da il peggio di sé durante le razzie, uno degli eventi che più spesso ci ritroveremo ad affrontare nel corso del gioco, e che vedrà spessissimo avversari incastrati o come congelati all’interno di percorsi ad ostacoli inesistenti. Questo avviene a qualsiasi livello di difficoltà e vale anche per i personaggi non giocanti che fungono da accompagnatori, spesso protagonisti di gag involontarie o di situazioni assurde in cui il path tracing finisce per non fare mai troppo bene il proprio lavoro.
Sempre nelle razzie si possono riscontrare tutte le problematiche di natura tecnica che affliggono Valhalla (ma anche molti altri giochi dotati di un respiro così ampio). Assassin’s Creed Valhalla ci ha fatto perdere una decina di ore di gioco a causa di un baco assurdo che ci ha letteralmente softlocckato in un ciclo di morte perenne, ci ha fatto ridere a crepapelle tra compenetrazioni poligonali e bachi, ci ha fatto imbestialire a causa di un sistema di arrampicata che alle volte decide al posto nostro. Problematiche tecniche che non affossano la produzione complessiva ma che, sicuramente, fanno storcere il naso ai videogiocatori più attenti ed esigenti.
In favore della coerenza storica, molti degli avvenimenti che la narrativa ci metterà davanti, saranno pesantemente legati al concetto di razzia. La razzia, a quanto pare vero e proprio hobby dei vichinghi discesi in Inghilterra, consisteva nella distruzione e nell’appropriamento indebito di beni e risorse altrui.
L’ottenimento di queste risorse ci permette di parlare di uno dei nuovi cardini del titolo: il potenziamento dell’insediamento di Ravensthorpe, un vero e proprio hub centrale, da gestire, potenziare e sfruttare costruzione dopo costruzione.
Le meccaniche messe in gioco sono semplici ed intuitive, chiedendo al giocatore di scegliere quali costruzioni potenziare e poco altro ma sono in grado di ridare un meraviglioso senso di progressione, sbloccando missioni secondarie, opzioni di personalizzazione extra e qualche interessante potenziamento per il gameplay generico.
L’insediamento rappresenterà il punto dove sempre ritornare dopo il nostro girovago percorso nell’Inghilterra dell’epoca, sempre se non ci innamoriamo di una qualche veduta o cittadina. Il senso di immersione che Assassin’s Creed Valhalla regala attraverso la commistione di pura tecnica grafica e worldbuilding è spesso meritevole di attenzione e finisce per immergere il giocatore in una delle ambientazioni più belle viste durante il corso degli ultimi anni.
L’AnvilNext 2.0 è sfruttato con dovizia di particolari, offrendo anche sulla ormai antiquata Playstation 4 base, un colpo d’occhio capace di emozionare e di togliere il fiato, complici le palette colorate perfettamente in grado di donare atmosfera nel giro di un paio di pennellate.
I modelli poligonali dei personaggi più importanti sono pieni di particolari e rientrano all’interno della categoria realizzati con cura e maestria, leggermente inferiore è il livello qualitativo dei personaggi secondari, magari privi di una personalità esaltante ma dotati di una certa solidità stilistica.
Assolutamente over the top le costruzioni architettoniche, capaci di donare identità alle macro locations di gioco. Dalle rovine romane alle case popolari, passando per templi vecchi di chissà quanto o per torri legate a chissà quale racconto dell’epica arturiana.
In sostanza abbiamo le stesse vette toccate dal precedente capitolo, ingraziosite da una minore quantità di mare da attraversare e da un’espressività certamente migliorata. Ah, dimenticavamo di sottolineare di come l’acqua di Assassin’s Creed Valhalla sia al giorno d’oggi una delle migliori mai viste nella storia dei videogiochi, capace di riportare a schermo le sensazioni di torbidezza delle paludi come nient’altro al mondo. Al netto di un pop-up piuttosto fastidio e di un frame rate non certamente granitico, su PS4 base Assassin’s Creed Valhalla resta un gioco incredibilmente valido.
Di assoluto riguardo anche il comparto sonoro, dotato di un ottimo sound design e di un tessuto musicale molto efficace. Il tema principale del titolo ben incarna le sensazioni che il gioco vuole evocare, tra l’austera severità delle popolazioni in gioco e l’epico respiro delle loro imprese.
Il titolo possiede anche una modalità foto di buona qualità, con un numero di opzioni decente e con una semplicità d’uso che rende la caratteristica adatta a praticamente qualsiasi tipo di giocatore. È più un peccato mortale il fatto che, su PS4, non ci sia un modo semplice per esportare quelle foto da qualche parte e che, anche solo per riguardarle, c’è bisogno di litigare con la sovrastruttura online di Ubisoft Connect.
Ci sarebbe all’atto pratico ancora abbastanza da dire su Assassin’s Creed Valhalla, tra attività secondarie che non abbiamo descritto e altre piccolezze non citate da noi. Le ultime cose che vogliamo sottolineare sono due: Assassin’s Creed Valhalla rimane, in tutto e per tutto, un videogioco come Ubisoft ne ha fatti nel corso degli ultimi 5/6 anni e non è un gioco che richiede un costante impegno per essere completato.
Chi scrive è anche autore di un vecchio speciale sull’argomento. Assassin’s Creed Valhalla è un videogioco bulimico, sicuramente ben realizzato a livello tecnico e ludico ma (ripetiamo) bulimico dal punto di vista contenutistico.
Moltissime delle cose al suo interno sono altroché divertenti ma si giocano, letteralmente, a cervello spento.
Valhalla è indicatissimo per quei giocatori che, in un videogioco, cercano anche una componente Zen offrendo una mappa incredibilmente grande, piena di puntini e piccoli compiti a cui adempiere. È meno indicato per quei giocatori che cercano i tuffi al cuore, quelli che titoli come Red Dead Redemption 2, The Legend Of Zelda Breath Of The Wild o GTA V hanno reso un loro marchio di fabbrica.
Rispetto al passato Assassin’s Creed è diventato più godibile, più grande, meglio realizzato e più interessante da giocare ma sembra restare comunque una produzione con poco cuore.
Un parametro difficilmente valutabile attraverso poligoni, grafica e chiacchiere, purtroppo per noi.
Asssassin’s Creed Valhalla è uno dei migliori titoli Ubisoft degli ultimi anni, figlio di un processo di limatura che ha portato a rinunciare a caratteristiche presenti nei precedenti capitoli in favore di un equilibrio tutto nuovo. Valhalla mostra in modo bello come non mai l’alto medievo inglese e norvegese, facendoci vestire i fascinosi panni dei vichinghi in espansione e mettendo sul piatto una quantità incredibile di contenuti. Non tutti questi contenuti sono realizzati con la stessa perizia, ne tutti divertono allo stesso modo ma il risultato finale è encomiabile. Il titolo non è qui per cambiare la storia dei videogiochi, del genere o anche solo del brand, ma riesce nel duro compito di risultare divertente nella stragrande maggioranza dei casi.
This post was published on 25 Novembre 2020 17:05
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