La stagione del Cuore Oscuro di Skyrim, The Dark Heart of Skyrim -appunto-, si conclude col quarto DLC dell’anno: Markarth, che i più studiati tra voi ricorderanno come la gelida capitale del Reach. Interminabili rovine Dwemer, losche miniere d’argento, culti inquietanti e strade tutt’altro che sicure.
Com’è ormai tradizione, infatti, anche questo terrificante 2020 ha aggiunto quattro espansioni alla già vastissima lista dei DLC di The Elder Scrolls Online: siamo partiti col dungeon pack Harrowstorm, abbiamo proseguito nella Skyrim occidentale con l’espansione Greymoor, siamo tornati nelle istanze a tema con il secondo dungeon pack Stonethorn, e ora è il turno dell’espansione Markarth.
Ormai Zenimax – Bethesda ci ha abituati ai crescendo nel ritmo della narrazione, ma in Markarth questa strategia è ancor più evidente: la partenza è lenta, molto lenta, a tratti soporifera; quando però si arriva all’incirca alla metà della lunga quest chain che costituisce la spina dorsale della storia, il passo inizia ad accelerare, fino ad arrivare a una serie di climax frenetici e mozzafiato, per poi tornare a planare dolcemente verso un finale che, a mio avviso, rientra di diritto tra quelli più agrodolci della storia dei videogame.
Visto che siamo già partiti con le mie impressioni, vediamole un po’ più da vicino, e poi -se vi garba- parleremo un po’ delle novità introdotte da questa patch.
L’inizio della storia non è nulla di estremo: fungiamo da portavoce del Conte Verandis Ravenwatch, che per ovvi motivi non è molto ben visto a corte. No, non perché sia un vampiro: il problema è che è un elfo. Ok, già qui la cosa mi piace molto.
Ad ogni modo scopriamo l’Ard Caddach (“Caddach il re della fortezza“, all’incirca) ha stipulato una tregua con l’armata non-morta Gray Host: loro sono liberi di cercare un artefatto Dwemer nelle rovine su cui sorge Markarth, e in cambio la città verrà risparmiata.
Una strega del Reach però non ci sta, e si ribella. Questi rivoltosi potrebbero configurarsi come nostri alleati naturali, e così partiamo alla ricerca dei ribelli in veste di ambasciatori.
Riassumendo, abbiamo già visto come l’inizio della storia non sia, tutto sommato, di quelli che fanno saltare sulla sedia. In un primo momento si ha una sensazione di già visto: i parallelismi con Greymoor sono molteplici, e sono anche frequenti i rimandi alle streghe di Icereach incontrate già nel prologo dell’espansione Greymoor.
Nonostante il mio personaggio sia egli stesso un Nord, si è ritrovato ancora una volta a essere un outsider tra i Nord, costretto a guadagnarsi il favore di un malfidato despota, in un ambiente carico di sciovinismo e campanilismo da provincia italica, per cercare di convincerlo a darci una mano a combattere la minaccia dell’armata mostruosa chiamata Gray Host.
Sì, sono le stesse premesse di Greymoor; la differenza, almeno in questa prima parte, è che questo regnante almeno risulta simpatico. Nelle fasi successive scopriremo che è molto, molto più sveglio di quanto non sembri, e che questo DLC ha molti meno momenti fagiolata alla Bud Spencer e molti più intrighi spionistici alla Tom Clancy, ma non voglio fare spoiler.
Ho definito problematico l’inizio, però, soprattutto perché questo Update 28 ha introdotto un fastidioso bug che provocava un crash del gioco e che, ovviamente, ho beccato sostanzialmente subito: mi bastava aprire il pannello dei pet, quelli non da combattimento, per ritrovarmi a fissare il desktop. E credetemi, mi succedeva spesso.
Per fortuna la patch 6.2.6 ha sistemato -pare- definitivamente questo problema, quindi da lì in poi ho veleggiato verso l’epica conclusione del Cuore Oscuro di Skyrim.
È stato allora che ho notato come, in una particolare fase del gioco in cui sarebbe stato facilissimo ricalcare l’esperienza del precedente DLC, si sia riusciti a evitare di cadere nella trappola del sequel: mi riferisco al finale del DLC Greymoor, che va in scena a Solitude. Se l’avete giocato avrete già capito, altrimenti vi invito a prenderlo senza indugio.
Ormai lo saprete: ESO è uno slow game, come lo slow food è l’opposto di un panino da fast food. Mi perdonerete il paragone, spero, ma The Elder Scrolls Online non è un titolo da giocare distrattamente, mentre si ascolta un podcast sulle adorabili volpi artiche canadesi, o arctic marble foxes. Sul serio: cercatele su Google immagini, poi mi ringrazierete.
Volpette a parte, ESO vuole tutta la nostra attenzione, per seguire il filo della narrazione, e ne vale la pena. La storia e la trama, come quasi sempre in ambito Elder Scrolls, rivestono un ruolo importantissimo nell’esperienza di gioco.
C’è un tratto, ad esempio, in cui ho avuto l’impressione che di lì a poco avrei appreso qualcosa in merito alla fine cui i Nani / Dwemer sono andati incontro: un mistero che mi accompagna fin dai tempi di Morrowind.
Già, perché incontriamo delle creature che si aggirano tra gli scaffali di una biblioteca Dwemer, e scopriamo che si tratta di ombre generate da frammenti di energia oscura; questi lembi di oscurità proiettano pensieri frammentati, un dolore inimmaginabile e un’ira ardente, e ho pensato “Ok, ci siamo“.
Subito dopo ho visto che le ombre finivano ai ferri corti con gli automi lasciati dal popolo scomparso, quindi mi sono rassegnato: il più importante indizio ufficiale sulla scomparsa dei Dwemer rimane ancora la quest di Arniel Gane in TES V: Skyrim.
Quest’espansione aggiunge la regione del Reach al lungo elenco delle aree giocabili in ESO, con la sua città di pietra che dà il nome al DLC stesso, i suoi culti antichi, la magia delle streghe più o meno buone che fanno da contraltare a quelle decisamente più malefiche di Greymoor, e poi non mancano le rovine della civiltà Dwemer e tutte le amenità che abbiamo imparato ad amare in Skyrim.
I più claustrofobici, però, noteranno senz’altro che il DLC Markarth ci fa mettere nuovamente piede nel vastissimo sistema di caverne nel sottosuolo di Skyrim, che porta il nome di Blackreach.
Nell’immancabile parte sotterranea delle quest c’è anche qualche mini (molto mini) rompicapo esplorativo, come ad esempio i jumping puzzle e i segmenti platform necessari per raggiungere uno skyshard o altri luoghi sopraelevati.
In genere questo tipo di puzzle m’infastidisce, ma qui ha rotto in modo obiettivamente piacevole l’eventuale monotonia generata dall’esplorazione via terra. Quanto vorrei una mount volante, dannazione.
Da questo puzzle possiamo scoprire prima del tempo, ossia prima di doverla usare per la quest principale, la meccanica dei Void Portal: una sorta di teletrasporto a breve raggio o, per i lettori che giocano di ruolo, una Porta Dimensionale.
In quest’occasione ho trovato un elemento tutto sommato semplice, che però aiuta a rendersi conto dell’immensità dei reami sotterranei che, un tempo, dovevano essere dominio dei Dwemer: una porta che dal Blackreach di Arkthzand, cioè la parte sotterranea del Reach, porta a quello di Greymoor, nelle profondità di Western Skyrim, la zona introdotta da Greymoor.
Volendo, quindi, si può attraversare tutta la Skyrim Occidentale senza riemergere dal sottosuolo, come probabilmente facevano i Dwemer stessi. Sono questi piccoli tocchi, intrisi di lore e cura per i dettagli, che rendono preziosa l’esperienza di gioco nel cosmo di The Elder Scrolls.
Non avevamo dubbi, visto che ben conosciamo l’infatuazione di Bethesda per le opere di Lovecraft, ma anche in quest’espansione si riconosce la volontà di omaggiare con un tributo il Solitario di Providence: cultisti della morte, antichi orrori dormienti da risvegliare, volontà oscure che toccano le menti dei mortali, eccetera.
Ad ogni modo nel corso del DLC Markarth abbiamo modo di scoprire molto di più sull’eponimo Cuore Oscuro di Skyrim: pur evitando il più possibile gli spoiler, posso dirvi che c’entra un esperimento Dwemer andato male, e ci accorgiamo che anche la compagine più serrata può essere meno unita di quanto sembri.
Una parte spettacolare, che ricordo bene anche a distanza di qualche giorno, è quella che riguarda un rituale daedrico che coinvolge Hircine, il Principe Daedrico dei Terreni di Caccia, padre dei Licantropi, patrono della Natura selvaggia, della caccia onorevole.
Per un attimo sveliamo l’anima primitiva, ancestrale e ferina del Reach, in cui anche l’incantatore più spirituale e potente alberga, in fondo al proprio animo, un Barbaro pronto a entrare in Ira.
Come ogni cattivo degno di questo nome, anche Rada al-Saran, il villain di Markarth e in generale di tutto l’arco narrativo di The Dark Heart of Skyrim, non è un pazzo furioso che brama solo morte e distruzione: ha delle motivazioni più che valide dal suo punto di vista, e vede sé stesso come un salvatore più che come un malvagio.
Ben presto abbiamo un incontro ravvicinato con Rada dove, come essere civilizzati che si scambiano convenevoli, abbiamo modo di parlare a tu per tu con il villain della storia. A tal proposito: secondo Leamon Tuttle, Loremaster ufficiale di The Elder Scrolls Online, la voce di Rada al-Saran è quella di Ike Amadi, ossia il caro Javik di Mass Effect 3. Stavolta niente airlock, ma ai suoi occhi restiamo ugualmente esseri inferiori.
Quando gli raccontiamo dell’amabile conversazione, il Conte Verandis Ravenwatch ha una reazione davvero, davvero, davvero esilarante. Sempre evitando di rovinarvi la sorpresa, comunque, in tutto questo DLC abbiamo modo di approfondire i retroscena tra il conte vampiro e la sua controparte malvagia.
Il leitmotiv di quest’espansione è che nessun potere è buono o cattivo intrinsecamente: è come lo impieghiamo che conta. Certo, poi ricorrono gli aspetti legati ai Dwemer, ma anche le dipendenze, i sacrifici, i tradimenti e gli egoismi che generano tragedie, però tutto sommato due sono gli elementi che vengono esplorati più a fondo: la natura del potere, e il Vuoto.
Qui corro sul filo di un taglientissimo rasoio, per evitare di spoilerare robe, ma sappiate che il tema del Vuoto elementale mi ha causato l’occasionale flashback del Vietnam, facendomi tornare al periodo in cui ho riletto, studiato e scandagliato con cura l’immensa lore di The Elder Scrolls, sia quella ufficiale sia quella spuria e apocrifa, per analizzare gli elementi mitologici contenuti nella saga.
A loro volta Anu (la Stasi, in soldoni l’Ordine), Padomay (il Cambiamento o, in parole povere, il Caos), il Vuoto (l’Oscurità Esterna) e i relativi parenti ci ricordano prepotentemente che è da poco uscita l’ultima puntata di Supernatural. Sigh. Ne abbiamo già parlato in passato, e quella serie ha e avrà sempre un posto speciale nella mia personalissima videoteca virtuale.
Ad ogni modo questo legame con la cosmologia di The Elder Scrolls da una parte, e con i capitoli precedenti di questo Cuore Oscuro di Skyrim, in particolare il DLC Harrowstorm, viene evidenziato nelle ultime due fasi della quest chain che, in teoria, dovrebbe concludere l’arco narrativo di quest’anno.
Al momento giusto, quando rischiamo di perderci tra gli episodi, una nostra vecchia conoscenza ascia-munita ci intrattiene con un recap delle puntate precedenti: il solito spiegone, in questo caso più che necessario dato il lasso di tempo intercorso dall’uscita del precedente DLC. L’adorata Lyris Titanborn, però, ci regala anche perle come la seguente:
“È da qualche parte in una rovina nanica? Benissimo. Per fortuna ho portato la mia ascia spacca-costrutti.”
È a questo punto che scopriamo come questo fantomatico cuore oscuro, le harrowstorm, le biblioteche e i planetari Dwemer siano tutti elementi fondamentali, e collegati tra loro nel piano di Rada al-Saran, e qui mi fermo: siamo arrivati al limite massimo oltre cui si aggira lo spoiler.
Ad ogni modo, citando l’Ard Caddach:
“Qualcuno chiarirà i dettagli, e me li spiegherà più tardi”.
Giocate The Elder Scrolls: Markarth e saprete tutto, in sostanza.
Nella miglior tradizione degli MMORPG, l’uscita di un DLC porta devastazione e crash; per fortuna l’hotfix v6.2.6, tra le altre cose, ha risolto gran parte di questi problemi legati a crash-to-desktop e perdita di skill point. Problemi che mi hanno tormentato spesso, fin dal rilascio dell’espansione.
Le novità introdotte dall’Update 28 includono Vateshran Hollows, un’arena da affrontare in solitaria e che, tra le varie ricompense, offre l’ambito titolo di Spiritblood Champion, oltre a parecchi collezionabili di vario genere.
Soprattutto, però, c’è il sistema delle Item Set Collections: i set di equipaggiamento che lootiamo, a esclusione di quelli craftati, vengono raccolti in un’apposita tab delle Collections, e da lì possiamo creare infinite copie per tutti i personaggi dell’account, utilizzando una Transmute Station e un certo quantitativo di Transmute Crystal o materiali sostitutivi, in base alla qualità dell’oggetto da replicare.
Si tratta di una novità che ci farà risparmiare un bel po’ di slot della banca che, come sappiamo, è condivisa tra tutti i PG dell’account, e ha una limitata disponibilità di spazio soprattutto per quelli che, come chi scrive, non hanno sottoscritto l’abbonamento all’ESO Plus e tende ad accumulare materiali per il crafting.
Markarth ci porta anche un sacco di achievement, e poi anche titoli, pet, tatuaggi / decorazioni per corpo e viso e collezionabili assortiti, oltre a loot, set e al consueto assortimento di roba.
Come sempre, infine, le colonne sonore sono spettacolari, al punto da riuscire a rendere tollerabile un combat system che uso abitualmente ma con cui faccio fatica a trovare un vero e proprio feeling, e una grafica e delle texture che a ogni espansione o DLC iniziano a far sentire sempre di più la loro età.
A tal proposito, la scorsa settimana Matt Firor, Studio Director di Zenimax Online Studios, ha rilasciato un comunicato ufficiale per avvisare la player base che ESO non sarà compatibile con i nuovi processori ARM che Apple monterà sui nuovi Mac: questo perché le CPU ARM non supportano né i software creati per i sistemi basati su Intel, né tollerano il dual boot tramite Boot Camp.
Questo significa che il supporto di ESO per Mac verrà limitato ai sistemi Intel based, mentre i possessori dei nuovi Mac potranno giocare tramite Stadia, ad esempio, o ricorrere all’emulazione X86 che però, per un gioco come ESO, sarebbe troppo gravosa, e quindi non è ufficialmente supportata da Zenimax.
Con Markarth iniziamo a gettare, in sostanza, le basi per una Skyrim unificata, più o meno come la vediamo in TES V: Skyrim. E sì, questo DLC fa leva sulla nostalgia per i bei vecchi tempi di Skyrim, ma questo tipo di fan service non disturba e non dispiace, tant’è che ora il mio Nord Templar porta fieramente il titolo di “Hero of Skyrim“.
Un mio eventuale PG vampiro, però, porterà quello di “of House Ravenwatch“: per ottenerlo basta passare a salutare un certo personaggio sulla balconata che sovrasta il wayshrine vicino a Bthar-zel, nella zona di Arkthzand Cavern. In questo modo otterremo l’achievement “Taking up the mantle“, intratterremo un discorsetto affettuoso con un NPC che ci ha accompagnato per tutto il corso di The Dark Heart of Skyrim, e otterremo il nostro bel titolo vampiresco.
In conclusione sì, Markarth è senza dubbio un DLC che vi consiglio di giocare. L’espansione è inclusa nell’ESO Plus, o è acquistabile separatamente per 2,000 corone. Con 4000 corone si ottiene la Collector’s Bundle che include la cavalcatura Chaurus Egg Chaser’s Horse, il pet Chaurus Chitterling e le consuete pergamene col 50% di bonus per l’esperienza ottenuta.
Ora scusatemi, ma devo andare a compiere le gesta più eroiche di tutte: gestire l’inventario e la banca in The Elder Scrolls Online senza avere l’abbonamento a ESO Plus. Perfino Molag Bal, Principe Daedrico e Mietitore d’anime, impallidirebbe ancora di più.
Concludo quindi con le parole della cara Lyris Titanborn, che ci accompagna ormai da anni ma che, soprattutto, si è fatta adorare in quest’arco narrativo ambientato nella sua Skyrim:
“Non ce l’avremmo mai fatta senza di te, partner. Quindi mangia, bevi, trovati della compagnia per il tuo letto, e domani… Domani probabilmente dovremo affrontare di nuovo qualcosa del genere.”
>>Leggi anche: la nostra recensione del DLC ESO: Greymoor<<
This post was published on 27 Novembre 2020 10:00
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