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Cobra Kai: The Karate Kid Saga Continues | Recensione (PS4)

Spuntata fuori dal nulla, quasi magicamente, Cobra Kai, serie tv YouTube Originals poi passata a Netflix, è stata una delle sorprese degli ultimi anni grazie al coraggio dimostrato dagli autori nel voler operare con revival del classico Karate Kid che non fosse un banale atto d’amore nostalgico, ma soprattutto un sequel rigoroso e ispirato in grado di continuare una saga molto amata.

Obiettivo centrato, se pensiamo che pur rimanendo in una nicchia Cobra Kai è riuscito nella straordinaria impresa di ritagliarsi un fandom agguerrito, tale da spingere i ragazzi di Flux Game Studio a creare un videogioco ufficiale che riuscisse a soddisfare i fan.

Ci saranno riusciti? Scopriamolo assieme.

Cobra Kai omaggia gli anni ’80 fin dalla schermata di avvio

Il sapore degli anni ’80

Il motivo del successo di Cobra Kai è stato con tutta probabilità il suo straordinario equilibrio fra un tono capace di omaggiare i film originali (tutti basati sulla retorica del sogno americano e sulla fascinazione per le discipline orientali) e un registro dissacrante che in qualche modo prendeva in giro lo spirito di quelle vecchie pellicole rafforzando l’effetto nostalgia.

Si tratta di uno show estremamente divertente, ricco di citazioni e tuttavia in grado di evolvere i personaggi di Karate Kid in un’ottica più matura e disillusa.

L’effetto finale è una bella rilettura del “mito” originario, adatto tanto ai neofiti del brand quanto ai veterani.

Al suo approdo nel mondo del videogioco, Cobra Kai perde com’è ovvio molti di questi tratti distintivi: Flu Game Studio ha deciso di semplificare il materiale di partenza e di sfruttare la licenza giocando l’arma della nostalgia in maniera molto più spiccata mettendo sul mercato un picchiaduro a scorrimento che omaggia stilemi e gameplay del classici da cabinato. Di fatto, il primo titolo basato su questo piccolo fenomeno di culto è un vero e proprio tie-in vecchio stampo, con il focus tutto su un gameplay classico e immediato, che taglia fuori quasi tutta la componente “narrativa” del materiale di partenza.

Se quindi vi aspettaste di ritrovarvi fra le mani un gioco in grado di trasmettere davvero tutto lo spirito di Cobra Kai, con la sua atmosfera peculiare, allora probabilmente rimarrete delusi. Se però voleste tuffarvi in una classica esperienza arcade… beh, la faccenda potrebbe farsi interessante.

Strade di fuoco

Come accennato, Cobra Kai: The Karate Kid Saga Continues ci presenta una struttura molto basilare: nei panni dei protagonisti della serie, dovremo affrontare una sequenza di livelli in ambiente cittadino, uniti da una misteriosa trama che si innesta all’interno di quanto visto all’interno della seconda stagione della serie, ma che come potrete immaginare non è certo il piatto forte del banchetto.

Selezionato un livello, potremo scegliere se affrontarlo nei panni dei coraggiosi e puri del Miyagi-Dojo (la squadra di Dan LoRusso, il “buono” dei film originali) oppure in quelli dei brutali e sleali Cobra Kai (capitanati da Jonny Lawrence).

I livelli sono, com’è ovvio aspettarci, la quintessenza dell’impostazione arcade, con il giocatore chiamato a farsi largo fra nemici sempre più spietati e agguerriti grazie a sequenze di colpi standard e colpi speciali, in un’alternanza continua che mira a rendere l’esperienza frenetica. Nel corso della partita avremo inoltre a disposizione un vero e proprio team composti da tre personaggi della serie, e potremo cambiare il personaggio che stiamo utilizzando in qualsiasi momento, magari quando le cose si metteranno più male per il pg che stiamo controllando.

L’effetto è quello di un gioco frenetico, nel quale dovremo farci largo rimanendo sempre in movimento e “colpendo per primi” i nostri avversari, senza particolari variazioni se non quelle date da potenziamenti temporanei o dal poter utilizzare qualche mobilio o elemento di sfondo per colpire gli avversari.

Un bell’omaggio al genere e alle sue dinamiche, che tuttavia soffre molto alcune incertezze nella gestione dei colpi, spesso imprecisi e per questo frustranti.

Se quindi nel complesso la mappatura dei comandi riesce a rendere il gioco piacevole, spesso l’effetto su schermo si rivelerà confusionario e un po’ stancante.

Ma è Cobra Kai?

Quest’incarnazione ludica di Cobra Kai è quindi una sorta di celebrazione dello spirito originario di Karate Kid, fra colpi spettacolari, colori sgargianti, musica nostalgica anni ’80, con una gradevole veste grafica in cell-shading che dona al gioco una confezione accattivante.

Purtroppo, quel che manca a The Karate Kid Saga Continues è ciò che più ci si sarebbe aspettato da un gioco basato su una licenza vincente come quella di Cobra Kai: un’identità.

Nessuno, come detto più su, si sarebbe aspettato un’operazione diversa da questa, ma l’impressione è che Cobra Kai: The Karate Kid Saga Continues non riesca a essere altro che un semplice picchiaduro a scorrimento con incollati sopra riferimenti grafici a Cobra Kai in modo semplicistico e un po’ rozzo.

Alcuni fan della serie potrebbero quindi dirsi accontentati, dato che si ritroveranno a giocare nei panni di Johnny, Daniel e dei loro compagni, ma dopo poche ore dall’inizio della partita potrebbero ritrovarsi davanti una trasposizione anonima e senza mordente che fa davvero pensare a un’occasione sprecata.

Cobra Kai: The Karate Kid Saga Continues è una trasposizione che non riesce a far leva sugli elementi distintivi della serie da cui trae origine, preferendo proporre uno schema da classico picchiaduro a scorrimento non troppo ispirato. Il gameplay è abbastanza solido da offrire un’avventura piacevole per gli appassionati del genere, anche se l’impressione dopo qualche partita è quella di una certa confusione nell’impostazione dei livelli, che potrebbe spazientire qualcuno. Senza infamia e lode, il titolo di Flu Game Studios emerge come omaggio a uno stile ludico e a un genere precisi, che purtroppo però manca troppo di personalità.

This post was published on 4 Novembre 2020 16:08

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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