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Recensioni

Yakuza: Like a Dragon | Recensione (PS4)

Si è tutti un po’ scettici quando, in un’opera narrativa, cambia il protagonista principale. È un po’ come perdere un volto familiare, una “base sicura”.

Quando un franchise arriva ad avere molti capitoli, spesso cambiare personaggio principale è una mossa che va fatta. Per poter continuare ed ampliare gli orizzonti creativi, per inventarsi storie e background, per presentare al pubblico un altro personaggio a cui affezionarsi, creando storie sul suo conto sempre nuove. È una mossa davvero azzardata in un franchise di successo, è vero, perché noi esseri umani siamo portati ad affezionarci a qualcuno, seppur fittizio.

Il team di Yakuza, capeggiato da Toshihiro Nagoshi ha provato a spodestare dal trono un “gigante” come Kazuma Kiryu e riempire quel grande vuoto lasciato da un personaggio così carismatico. Il risultato è il migliore, in tutti i fronti.
Nomen Omen: Kasuga Ichiban al vostro servizio.

Ichiban in giapponese significa proprio “il migliore”, ed è un nome che simboleggia un po’ la (s)fortunata vita di Ichiban. A guardarlo, sembra davvero uno yakuza di infimo livello, uno strozzino al servizio di una famiglia minore del celebre clan Tojo, lo stesso a cui faceva riferimento il nostro amato Kiryu. Quasi non sembra essere lui il nuovo capostipite della serie, per via della goffaggine e della sua scarsa autorità, eppure, bastano pochi minuti all’interno di Yakuza: Like a Dragon per capire che sotto la dura corazza esterna da mafioso nato e cresciuto a Kamurocho, c’è un cuore d’oro, un uomo d’onore e leale fino al midollo.

Kasuga Ichiban nasce in una squallida soapland di Kamurocho. Per chi non lo sapesse, le soapland giapponesi sono dei bagni pubblici che fungono anche da bordello. Tuttavia, la prostituzione in Giappone è illegale (e nel corso di questo capitolo sarà un tema ricorrente) e il Sol Levante è uno dei paesi più contraddittori al mondo. Yakuza Like a Dragon sposta timidamente il velo sulla questione mafia e le sue fitte trame non dissimili dalla linea metropolitana di Tokyo, gli intrighi, le lotte territoriali, le alleanze, nascoste dalla sottile patina luminosa del progresso e della tacita accettazione.

La fedeltà prima di tutto

Kasuga Ichiban nel 2001 sceglie di farsi 15 anni di galera per un crimine che non ha mai commesso, spinto dalla semplice fedeltà e dall’affetto nei confronti del suo patriarca, Masumi Arakawa della famiglia Arawaka, sottoposta al clan Tojo di Kamurocho. Lo fa per sdebitarsi, perché per lui la famiglia è tutto: la sua casa ed il suo presente. Tolta la sua famiglia, Kasuga Ichiban è una tra le anime che vagano per Kamurocho, luogo in cui è nato e da dove non è mai andato via.

Quindici anni di galera per lui sono niente, ciò che è veramente importante è ripagare con la stessa moneta il suo patriarca e mentore che lo ha salvato dai guai e da un futuro ancora più funesto.

Dopo più di 15 anni, a causa della pena aumentata per cattiva condotta, Ichiban torna tra le strade di una Kamurocho all’apparenza identica a quella che aveva lasciato. Il 2019 lo aspetta, con tutte le sue innovazioni tecnologiche e culturali. Prendere in mano uno smartphone per lui è fantascienza e tornare dai vecchi amici è pura utopia: tutti hanno abbandonato Kamurocho, persino la stessa Tojo. Adesso, paradossalmente, è l’Alleanza Omi a governare il territorio (clan di stanza ad Osaka, un’altra regione del Giappone) e il loro principale consigliere è proprio il loro rivale del clan Tojo, il clan Arakawa.

I quasi vent’anni di silenzio sono spiegati con minuzia e precisione da un uomo misterioso, Adachi, un poliziotto in pensione attualmente in forza alla motorizzazione civile. È lui che va a prendere Ichiban dal penitenziario; l’ormai quarantenne ex-yakuza è stravolto e deluso dalla mancata presenza del suo patriarca fuori dalle possenti mura del carcere e dalla sua scelta di appoggiare gli storici rivali del clan Tojo. Adachi è sulle tracce di una delle tante sottotrame presenti in Yakuza Like a Dragon e, come Ichiban, è alla ricerca della sua verità e per pareggiare i conti con qualcuno.

Blue Light Yokohama

Ichiban scopre di essere vittima di qualcosa più grande di lui, un piccolo ingranaggio di una gigantesca macchina infernale. Decide, quindi, dopo varie peripezie, di abbandonare definitivamente Kamurocho, teatro di vecchie battaglie della serie e, suo malgrado, si ritrova nel capoluogo della prefettura di Kanagawa, Yokohama.

A Yokohama ritroverà Adachi e farà amicizia con il senzatetto Yu Nanba, che lo aiuterà ad ambientarsi nella nuova città sul mare e cercare lavoretti per sbarcare il lunario. Ichiban mostrerà di volta in volta la sua personalità dirompente, la sua allegria e fermezza: uno yakuza atipico con un forte senso di giustizia, caratteristica presa in prestito da Kiryu. Con un completo fucsia e una pettinatura fuorimoda (il punch perm che andava in voga tra gli yakuza a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta), Kasuga Ichiban è un protagonista di spicco, nel vero senso della parola. È lui il motore che avvia il più vasto e longevo Yakuza della serie. È il volto del capitolo che si appresta a debuttare sulla nuova generazione di console.

Like a Dragon… Quest!

Yakuza Like a Dragon si presenta con varie innovazioni all’interno della sua struttura ed è un vero e proprio punto di svolta rispetto al passato. Malgrado cameo e luoghi familiari, il resto è un racconto nuovo e fresco.
Prima innovazione tra tutte è nel gameplay, Yakuza Like a Dragon volta le spalle ai combattimenti beat ’em up che eravamo abituati a vedere per un approccio radicalmente più JRPG.

La struttura da gioco di ruolo segue pedissequamente tutta la carica narrativa e gestionale del titolo e non si limita solo alle fasi da combattimento.

Yakuza Like a Dragon prende gli aspetti fondamentali di un gioco di ruolo, le caratteristiche dei personaggi, il job system, la gestione dell’inventario personalizzato e li modella in un contesto specifico, come quello vissuto da Ichiban, in una città a lui sconosciuta.
Questo radicale cambiamento non è solo un vezzo da parte degli sviluppatori ma è una motivazione che parte proprio da Kasuga Ichiban.
Ichiban è un grande fan di Dragon Quest, storico gioco di ruolo giapponese di Square Enix. Cosa voleva fare da grande? Voleva essere il protagonista principale di Dragon Quest, l’Eroe. Ed è così che la struttura di un gioco di ruolo emula le vere ambizioni di Ichiban che può scegliere di ricoprire il ruolo dell’Eroe, con armi e potenziamenti adatti a lui, mentre gli altri compagni del party hanno le loro caratteristiche e le loro tecniche speciali. Sarà possibile anche “invocare” personaggi speciali in battaglia, i cosiddetti Pestamici, chiamandoli tramite un’app dello smartphone (il loro servizio è solitamente a pagamento, in-game), in grado di lanciare mosse potenti o mortali.

Tramite questo escamotage narrativo convincente, ci abituiamo al nuovo cambio “di regia” ed accettiamo la nuova virata JRPG che ha preso il titolo. All’inizio si resta un po’ incerti e scettici riguardo la mancanza di dinamicità durante gli scontri. L’adattamento al nuovo stile di gioco non è immediato e in alcuni combattimenti si percepisce il rischio di questa scelta.

Spesso i personaggi rimangono incagliati nello scenario e manca un’opzione che ti fa interagire con l’ambiente circostante (prendere una bicicletta o un cono del traffico da scagliare contro l’avversario avviene ma in modo abbastanza random) o muoversi con più naturalezza e poca legnosità all’interno del “campo di battaglia” sono aspetti che, sicuramente, Ryu Ga Gotoku Studio migliorerà in vista di eventuali capitoli della serie.

Per il resto, la parte gestionale è davvero ben fatta. Ichiban e gli altri saranno chiamati a fare lavori impensabili e tonnellate di subquest popoleranno le intricate strade di Yokohama, grande il triplo rispetto alle altre città nel franchise.


Si sentirà il peso di dover fare soldi e cercare di ottenerli in modo, più o meno, legale, come raccogliere montagne di lattine e altri rifiuti in cambio di gettoni convertibili in oggetti ed equipaggiamenti, oppure creare un proprio bento box (cestino per il pranzo) per risparmiare un po’ di denaro, dedicandosi alla piantagione di piantine come pomodori, daikon o peperoncini per creare set unici che danno punti salute e punti tecnica in battaglia. Le piantine e i semi si potranno comprare in uno dei tanti konbini presenti in città ed è possibile dedicarsi al modesto “giardinaggio” nelle apposite fioriere in uno dei pub che ci aprirà le porte la sera per un drink o per uno struggente Baka Mitai cantato al karaoke.

Non poteva mancare l’aspetto da “dating sim” all’interno di Yakuza Like a Dragon. Con i personaggi del party si potrà instaurare un legame d’amicizia profondo grazie ad alcuni compiti quali: mangiare insieme in un ristorante o tavola calda, fare battaglie con la yakuza o vari teppisti urbani, oppure chiacchierare davanti ad un drink, un po’ come già sperimentato in Yakuza 6 The Song of Life, che vedeva Kiryu fare amicizia con vari personaggi secondari di Onomichi. Sia durante questi momenti (chiamati chat) o durante le subquest, Ichiban avrà varie risposte da scegliere, ognuna delle quali darà punteggio ad alcune sue caratteristiche innate tra cui ardore, autostima, carisma, bontà, acume e stile. Ognuna di questa potrà essere aumentata anche grazie a dei certificati che Ichiban potrà acquisire in una scuola di formazione di Yokohama. È davvero importante sviluppare queste caratteristiche perché, a livelli più alti, permetteranno di sbloccare alcune quest secondarie presenti in giro per i quartieri.
Ichiban all’inizio della sua avventure avrà una personalità non proprio da invidiare. Sarà nostro compito portarlo sulla retta via e farlo diventare una persona migliore. Ci riusciremo?

La grafica è da lodare e sulle console di current-gen (abbiamo provato Yakuza: Like a Dragon su PS4) fa il suo egregio lavoro. La perfezione e il fotorealismo sono il marchio di fabbrica della serie, che ricrea le strade e gli anfratti delle città giapponesi con assoluta minuziosità. Il sonoro non è diverso dagli altri capitoli, le musiche sono alternate in motivetti scanzonati in alcune fasi dal tono più leggero e comico, ad altri che vanno a sottolineare la tragicità e il pathos di alcune scene.
Yakuza: Like a Dragon è un gioco davvero longevo, la main quest dura 30 ore (14 capitoli) e, se consideriamo tutte le attività secondarie, la longevità si estende arrivando alle 100 ore in-game, comune a qualsiasi altro gioco di ruolo. Spesso si ha come l’impressione di perdere il filo conduttore della trama principale per via delle tante sotto-trame che legano indissolubilmente i protagonisti principali con la realtà urbana nella quale sono calati. Seppur certi che questo può portare ad un po’ di confusione nel videogiocatore neofita della serie, Yakuza riesce nelle fasi finali a portare tutti i nodi al pettine, quindi, non disperatevi.

La regia non ha nulla in meno rispetto agli altri episodi della serie e la qualità è altissima con scene cinematografiche di ottima fattura. Yakuza: Like a Dragon è il primo della serie ad essere completamente localizzato in italiano e anche per questo merita di essere nella vostra libreria, non avete più scuse.

Conclusioni

Yakuza: Like a Dragon è il nuovo capitolo della saga creata da Ryu Ga Gotoku Studio e riparte da zero, con un nuovo protagonista e un rinnovato gameplay. Le basi solide che hanno reso la saga una pietra miliare del panorama videoludico dei “crime games” rimangono tali, come le subquest e i negozietti ormai diventati punto di riferimento. Gli intrighi, le fitte trame della corruzione e le lotte all’ultimo sangue ritornano in grande stile, con una buona dose di umorismo e moltissimi riferimenti alla cultura pop e videoludica che ci strapperanno un sorriso. La storia di Kasuga Ichiban ci ha convinto totalmente e non vediamo l’ora di calarci nuovamente nei panni dello yakuza dai capelli ricci.

Yakuza: Like a Dragon sarà disponibile dal 10 Novembre, atteso su PS4, Xbox One, Xbox Series S|X e PC. La versione PS5 uscirà invece il 2 Marzo 2021.

This post was published on 4 Novembre 2020 14:00

Pia Colucci

Barese born & raised, sono nata a pane e videogiochi. Il mio battesimo è stata l'Amiga 500 di mia sorella, con l'arrivo di Playstation non ho mai più lasciato il joypad. Sono una psicologa e mi occupo di divulgazione in materia di psicologia, videogiochi e digital media. Non ho molte passioni a parte i gatti rossi, le birre e il Giappone. I miei videogiochi preferiti? Sicuramente troppi, ma spero sempre in un remake di Xenogears. Lo ribadisco almeno una volta all'anno e su qualsiasi mia bio presente in rete.

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