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Recensioni

Amnesia: Rebirth – Recensione PS4

Un appassionato di horror lo sa che che il vero terrore non è quello che ti fa saltare dalla sedia, ma è uno stato d’animo più profondo, in grado di scorrere nelle vene. Lo sanno bene anche i ragazzi di Frictional Games, mai banali nella costruzione di una storia che sappia mettere a disagio ogni fibra del nostro corpo.

Amnesia: Rebirth corre su due binari, il primo porta all’hype estremo perché, dopo The Dark Descent e Soma, tutti si aspettano l’ennesimo titolo di prim’ordine, il secondo invece è percorso da chi sa che è molto difficile non perdere mai colpi.

Frictional Games quale binario ha preso? Scopritelo leggendo la nostra recensione.

La spedizione perduta

Che a Frictional Games si faccia scorpacciata di racconti di Lovecraft un giorno sì e l’altro pure lo sanno anche i sassi e, difatti, la storia di Amnesia: Rebirth prende spunto da una tematica riconducibile allo stile dello scrittore americano, cioè la spedizione che in cerca di qualcosa trova qualcos’altro, molto più prezioso, più importante per la conoscenza umana, ma anche estremamente più pericoloso.

Nonostante ciò, il team è riuscito a non ripetere un leitmotiv in modo pappagallesco, bensì è stato capace di reinventarlo inserendolo in un contesto azzeccatissimo e appiccicandolo addosso a un personaggio meravigliosamente raccontato, Anastasie (Tasi) Trianon.

La donna di origini francesi parte insieme al marito Salim e a un gruppo di geologi e archeologi per l’Algeria, alla ricerca delle meraviglie sommerse della terra africana. Il sito archeologico ha una forte aura di mistero che la squadra ha intenzione di far affiorare, ma durante il viaggio in aeroplano qualcosa va storto. Un’avaria lo fa precipitare facendo perdere le tracce dei membri dell’equipaggio.

Nei panni di Tasi, attraversiamo il torrido deserto algerino con la premura di stare all’ombra, in uno scenario nuovo per i fan di Frictional, c’è infatti un sole che spacca le pietre e l’oscurità è bramata, non temuta. Tuttavia, una volta raggiunte alcune grotte, si torna a sperare che qualcuno abbia acceso una fiaccola, che una striscia di sole attraversi le rocce.

Amnesia: Rebirth ha una continuità pazzesca da questo punto di vista: sezioni nel deserto e in zone più ampie e illuminate si susseguono a quelle canoniche immerse nel buio totale senza che nessun momento risulti forzato o di troppo. Ciò che non manca mai è la tensione perché anche alla luce del sole il giocatore è in balìa degli eventi, di forze oscure e di ricordi pesanti come un macigno.

La ricerca del gruppo, infatti, porterà Tasi a fare i conti anche con se stessa perché chi entra nel mondo di Amnesia: Rebirth ne esce (se ci riesce) cambiato, nel fisico e nell’anima. La storia, come di consueto in produzioni del genere, non spiattella in faccia tutto il suo contenuto, a prova di distratto, ma lesina la conoscenza, lascia che sia il giocatore a trovare i frammenti che compongono il puzzle e a metterli nell’ordine giusto.

Questi frammenti corrispondono a documenti, flashback, visioni che si intervallano perfettamente con il gameplay puro.

Il buio sa che hai paura

Amnesia: Rebirth è la paura del buio e dell’ignoto nella sua massima espressione. Il gameplay del gioco esalta ciò che avevamo visto nel precedente The Dark Descent e in parte abbandonato in A Machine for Pigs di The Chinese Room, cioè la necessità di creare una fonte di luce che fenda le tenebre grazie a strumenti di fortuna come fiammiferi e una lanterna che consuma olio come un cammello beve acqua.

Stanziare al buio genera panico in Tasi, ciò comporta una minor lucidità, visioni terrificanti e sprofondare nella follia assoluta fino allo svenimento. In Amnesia non esiste un luogo sicuro, muoversi significa esporsi, non muoversi può risultare fatale. Il pericolo è costante e la tensione è palpabile in ogni singolo attimo, infatti la paura rappresentata da Frictional Games non è estemporanea, ci segue passo passo per tutta l’avventura (che si può portare a termine in una decina di ore).

Le creature che abitano gli abissi della mente e le tetre stanze sono ghul e djinn mostruosamente tenaci, anche solo avvicinarsi si ripercuote sulla lucidità di Tasi, il gameplay di Rebirth fa in modo che queste presenze non diventino un mero fastidio causato da un’eventuale eccessiva frequenza con cui possono essere incontrate; tutt’altro, i mostri sono stati inseriti in modo intelligente, senza esagerare, tutto è stato dosato per mantenere il giocatore sul filo del rasoio.

Fasi di esplorazione, stealth tra le creature, sezioni più oniriche e narrative ed enigmi si uniscono senza mai dare l’impressione che ogni parte sia sé stante, staccata dall’altra. Gli stessi enigmi non sono statici ma costringono ad esplorare, a cercare la soluzione immergendosi nella storia e nell’atmosfera. Amnesia: Rebirth è un caso davvero eccezionale di storia e gameplay che si fondono creando un solo grande organismo continuamente in divenire, in movimento perpetuo.

Scendere nelle profondità di un pozzo, leggere i documenti lì trovati, fare qualche passo e sentire addosso la sensazione di essere messi alle strette da qualcosa nascosto nel buio, svenire, ritrovarsi in un luogo dall’architettura aliena, tutto con una coerenza incredibile, offre una sensazione di appagamento senza eguali.

Ad arricchire la proposta ludica c’è anche la meccanica che consente l’apertura di fratture attraverso l’utilizzo di un amuleto. Questo farà da bussola e indicherà il luogo in cui è presente una frattura, cioè una sorta di “glitch” dello spazio e del tempo che cela luoghi altrimenti irraggiungibili.

Abbiamo parlato di architettura aliena e di Lovecraft, ebbene Amnesia: Rebirth è senza dubbio uno dei maggiori omaggi fatti allo scrittore de Il Richiamo di Cthulhu e Le Montagne della Follia. Non solo tunnel labirintici e cisterne diroccate, in Rebirth dovremo addentrarci in luoghi costruiti da civiltà superiori, leggere antiche tavolette su cui rune arcane raccontano eventi indicibili e di incontri extrasensoriali, interagire con manufatti che non possono avere natura umana.

Guardare nell’abisso…

Dal punto di vista grafico e stilistico, Amnesia: Rebirth conferma tutto ciò che di buono abbiamo descritto precedentemente. L’oscurità non può nascondere la bellezza e l’accuratezza degli ambienti, sia quelli più visibili sia quelli sprofondati nelle tenebre.

Il colpo d’occhio nel deserto è di altissimo livello, le ambientazioni di stampo lovecraftiano sono spettacolari e inquietanti allo stesso tempo, il design delle creature è ispiratissimo e la differenza tra una struttura narrativa/ludica e l’altra si percepisce nettamente grazie a un lavoro di sound design impeccabile e a una cura dei dettagli grafici che ci ha impressionato.

Un pelo nell’uovo? Alcuni cali di frame che non inficino per nulla l’esperienza e la possibilità poco carina di rimanere incastrati nello scenario negli spazi più angusti. Si tratta comunque di peccati veniali.

Commento finale

Amnesia: Rebirth si candida come horror della generazione, approccia al genere in modo impeccabile, fa della paura il perno su cui costruire l’intero impianto narrativo e ludico. Ambientazioni, sound design, storia e meccaniche di gioco sono ingranaggi che, ben oliati, girano a meraviglia facendo funzionare l’impressionante macchina della paura messa in piedi da Frictional Games. Questa è una vera e propria prova di forza del team svedese che ha saputo negli anni confermarsi e reinventarsi arrivando oggi a regalare al mondo una perla in grado di illuminare anche le zone più oscure.

This post was published on 24 Ottobre 2020 17:26

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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