Il decennio appena concluso ha visto le industrie dell’entertainment riesumare vecchie IP, consapevoli che il fattore nostalgia fosse un guadagno sicuro e a basso rischio. Questo trend di recente ha visto protagonista anche Bandai Namco, la quale ha deciso di rimettere le mani su alcune saghe videoludiche derivate dai cartoni anni ’90, sfornando giochi al passo coi tempi e che vanno a colpire dritti al cuore i più nostalgici.
Dopo l’uscita di Dragon Ball Z: Kakarot, stavolta è il cartone di calcio per antonomasia, Captain Tsubasa (meglio noto nel vecchio continente come Holly e Benji) a sbucare da un cassetto ormai chiuso della nostra infanzia in quella che si prefigura come una vera e propria operazione nostalgia.
Pronti via, e subito dopo l’avvio il gioco ci mette al comando della selezione giovanile giapponese. Questo primo scampolo di partita serve solo come tutorial, e aiuta il giocatore a familiarizzare con le dinamiche miste calcio-picchiaduro che il gioco propone. Passato il match iniziale, la storia fa diversi passi indietro e riparte con la prima fase della vera campagna ed il torneo delle sucole medie. Si, la prima, perché la modalità storia si divide in due distinte campagne: la prima, in cui si ripercorrono i passi della Nankatsu (conosciuta in Italia come New Team) fino alla fine del campionato nazionale; la seconda, in cui si dovrà creare un nuovo eroe e assegnarlo ad una squadra per giocare di nuovo il campionato giapponese. Questa seconda fase è molto più lunga, e porta il giocatore dal campionato locale fino al torneo per eccellenza, la coppa del mondo (giovanile, s’intende).
La suddivisione in due blocchi distinti non è un male ma anzi, rende l’esperienza più longeva e da un forte senso di progressione. La scelta della modalità “Your Hero” nella seconda campagna però non è troppo convincente: dato che per il resto il gioco segue minuziosamente la storia del cartone, e che in nessun momento il personaggio creato è davvero protagonista, sarebbe potuto essere più efficace un qualche altro espediente narrativo. La scelta resta comprensibile solo in un ottica di apertura al pubblico più giovane, abituato a questa modalità dai giochi calcistici più popolari, una giustificazione più forzata che davvero apprezzata.
Parlando della storia, il gioco segue alla perezione la trama del cartone, trasformando il campionato delle scuole medie nella Champions League asiatica. Questa minuzia di dettaglio viene esaltata anche nei (quasi infiniti) dialoghi che fanno da contorno alle partite. Proprio questi dialoghi sono un valore aggiunto all’immersività, e dalla seconda campagna in poi danno persino la possibilità al giocatore di scegliere quale risposta dare tramite il proprio alter ego. Si potranno scegliere delle risposte diplomatiche ed incoraggianti, o fare del vero e proprio trash-talk stile pre-match NBA. L’unica nota stonata avviene proprio nel passaggio tra le due campagne: all’inizio tutte le formazioni si insultano e odiano, con le scuole pronte a uccidersi per la coppa nazionale. Quando poi si va in nazionale, si è tutti fratelli. Un affare più all’italiana che alla giapponese.
Mi sono chiesto a lungo quale fosse il target di un gioco del genere, e sono arrivato alla conclusione che il gioco voglia essere un anello di congiunzione tra diverse generazioni. Il pubblico giovane lo vede come un gioco di calcio diverso, e se lo gode senza saper molto di Captain Tsubasa; il trentenne nostalgico invece viene colpito dritto al cuore dal gioco che avrebbe voluto durante la sua infanzia, e lo cerca anche se magari del calcio si è stufato nel 2008. Il gioco è un degno anello di congiunzione tra queste due generazioni, strizzando l’occhio al vecchio con la storia, ed al nuovo con il gameplay.
In fondo, il gioco è perfettamente bilanciato tra momenti di nostalgia pura, con TUTTI i volti della serie, le video-collezioni di memorie e le scene del cartone, e un gameplay basato sui riflessi e sulla personalizzazione. Tra mosse, voci, nomi ed effetti speciali sembra di giocare al cartone, qualcosa che forse neanche avrei sperato al momento dell’annuncio, ma non è necessario aver visto neanche un episodio per godersi il gioco.
Purtroppo in questo tentativo di avvicinamento generazionale, qualcosa finisce inevitabilmente per riuscire meno bene rispetto al resto. La critica principale la si può fare al sistema di gestione della squadra che viene fuori da “Your Hero” in poi: tra i vari match il protagonista verrà chiamato a rinforzare le proprie “amicizie” con i vari personaggi, qualcosa che sarà utile nel creare successivamente la propria squadra. Peccato che il sistema sia eccessivamente artificioso, e non dia davvero un feedback emotivo. Anche i dialoghi a scelta multipla menzionati sopra sono una aggiunta molto banale che non aggiunge nulla al gioco e al suo svolgimento. Per finire, essendo la modalità storia basata su un campionato di calcio, ogni volta che si pareggia o perde una partita, la si deve ricominciare da capo. Narrativamente parlando non fa una piega, ma in termini di gameplay, alle volte è un poco frustrante.
La valutazione tecnica di Captain Tsubasa è difficile da fare, perché il gioco è preciso e responsivo, ma lascia sempre una sensazione di incompiutezza. Riesce a fare grandi cose, sopratutto dal punto di vista visivo, e fallisce in cose davvero sciocche che sarebbero dovute essere palesi dal primo giorno di test, come l’interfaccia. Inoltre, dopo decine di ore di gioco, ancora non ho capito se sia più giusto categorizzarlo tra i giochi sportivi o tra i picchiaduro. Non c’è l’arbitro, e il gameplay è al 90% macro, combinazioni di tasti e prontezza di riflessi. Rimane comunque un gioco di pallone dove la tattica è di importanza centrale, i giocatori hanno delle skill che si rifletto in campo, e in essenza, dove conta buttarla dentro. Tra l’altro, gli elementi a tempo si ritorcono contro in il multiplayer: anche con una connessione stabile, è difficile eseguire le combo con la fluidità necessaria a causa della mancanza di sincronizzazione, e capita spesso di perdere delle combo che sarebbero state facilmente vinte in single player.
Al di la di tutto ciò, il gioco è comunque un gran bel vedere. il CEL shading è stato dell’arte, le animazioni sono per la gran parte fluide e gli effetti speciali sono da bacio accademico. Il comparto sonoro è forse un poco ripetitivo, ma viene salvato in calcio d’angolo da un doppiaggio che meriterebbe un articolo a parte. Purtroppo il doppiaggio è solamente in giapponese, motivo per cui i nomi sono stati lasciati così come erano nella versione originale di anime e manga, ma tutto sommato danno al gioco un tono nipponicamente coerente con il resto. Se il giapponese non è la vostra lingua madre comunque non preoccupatevi, i sottotitoli sono disponibili in tantissime lingue, compreso l’italiano. Ovviamente, a patto di riuscire a sopportare di sentir chiamare Benji col nome di Wakabayashi Genzō e Mark Lenders come Hyūga Kojirō.
Captain Tsubasa – Rise of New Champions è una operazione nostalgia che riesce bene ma non benissimo. Il gameplay è un ibrido picchiaduro-calcio che convince ma solo fino ad un certo punto, ma che comunque può regalare qualche buona ora di divertimento. La cosa importante di questo titolo è la fedeltà con cui i personaggi e le loro caratteristiche, calcistiche e interpersonali vengono ricostruite alla perfezione. Pazienza se poi la storia è stata allungata con un poco d’acqua dalla modalità “Your Hero”, ciò che contava in questo titolo era regalare le stesse emozioni del cartone a distanza di decenni, ed in questo, Captain Tsubasa riesce alla grande.
This post was published on 4 Settembre 2020 10:44
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