Dite la verità: in fin troppi videogame ci siamo ritrovati ad affrontare orde di alieni assetati del nostro sangue, ma vi siete mai chiesti cosa si provi ad essere nei panni dell’invasore? Ebbene, THQ Nordic ha colto la palla al balzo, riportando in auge uno dei titoli più “extra-terresti” che abbiano mai toccato le nostre piattaforme di gioco: Destroy All Humans!
Lo sviluppo del remake del titolo, originariamente concepito da Pandemic Studios, è stato affidato a Black Forest Games, il developer tedesco già autore di Fade to Silence.
Chiunque abbia provato il gioco uscito nell’oramai lontano 2005, su Playstation 2 ed Xbox, non potrà non ricordare la sua struttura a missioni che, a causa della sua natura sandbox, gli fecero guadagnare il nomignolo di Grand Theft Alien.
Lanciamoci a capofitto in questa abduzione nuova di zecca, e scopriamo se questi alieni dal gusto un po’ vintage hanno conservato intatto il loro fascino xenomorfo.
C’era una volta, in una galassia lontana lontana, una razza aliena talmente avanzata ed evoluta da aver perso, nel corso degli anni, qualsiasi traccia dei propri genitali, essendo così costretta a ricorrere alla clonazione per la “conservazione della specie”.
Col passare dei secoli, i Furon, questo il nome degli alieni in questione, si accorsero che il loro corredo genetico si stava pian piano degenerando e che, quindi, erano destinati ad una lenta ma inesorabile estinzione. Come porre rimedio a questa fine indecorosa? Recuperando materiale genetico da una razza di scimmie con cui i Furon, millenni fa, ebbero una “scappatella”: gli esseri umani.
È proprio qui che prende piede l’avventura di Cryptosporidium 137, per gli amici “Crypto”, che sarà inviato sulla terra per recuperare DNA vergine dalle cortecce cerebrali della razza umana cercando, al tempo stesso, il metodo più veloce e sicuro per la sua totale sottomissione.
Inutile dire che, nel corso della sua avventura, Crypto avrà contrattempi di ogni genere, costringendolo spesso e volentieri a ricorrere alle maniere forti e facendoci scoprire quanto sia bello e divertente incenerire tanti “sudici esseri umani”.
Non è proprio semplice classificare Destroy All Humans! Il gioco si presenta come un vero e proprio sandbox, con un sistema di missioni strutturato in sei macro aree totalmente esplorabili e che, come spiegheremo meglio in seguito, sono dei veri e propri tributi ai “film di serie b” sugli alieni che ogni appassionato conosce a memoria.
Il nostro Crypto dovrà recuperare informazioni sulle sorti dell’alieno che l’ha preceduto e, ovviamente, dovrà cercare di non dare troppo nell’occhio. Per questa ragione, la nostra prima necessità consisterà nel confonderci tra la folla, assumendo le sembianze del malcapitato di turno, dando vita a delle fasi stealth divertenti, anche se non aspirano a toccare i vertici del genere.
Per evitare il nostro olografo, infatti, non dovremo fare altro che scannerizzare la mente delle persone attorno a noi, stando attenti agli agenti della Majestic, degli “uomini in nero” capaci di far saltare ogni nostro travestimento.
Non mancheranno i momenti in cui, invece, dovremo sfoderare il nostro Fulminatore Zap-o-Matic e friggere tutti i nostri avversari. In questo caso, si attivano delle fasi tps non molto diverse da quelle a cui Grand Theft Auto ci ha abituati, ma su questo punto torneremo in seguito.
Il nostro arsenale, col susseguirsi delle missioni, si amplierà sempre più, consentendoci di dare sfogo alla nostra fantasie di distruzione di massa.
Ma quale alieno potrebbe definirsi tale senza un disco volante? Ebbene, anche Crypto può contare sulla sua personale navicella spaziale che, all’occorrenza, potremo usare per distruggere carri armati, veicoli blindati e, ovviamente, interi edifici, donandoci quel non so che di Independence Day che tanto ci piace.
Se siete arrivati a questa recensione alla ricerca di un gioco in stile “Alien Isolation” o “Alienation”, sappiate che non sarete mai potuti arrivare ad un videogame tanto diverso. Destroy All Humans! è completamente pervaso da un’ironia tanto costante quanto convincente ed ispirata.
Il gioco non fa che riunire tutti i cliché sugli extraterrestri mai partoriti dalla mente umana. Dall’abduzione al “sono tra noi!“, passando per i cerchi nel grano ed il controllo mentale, culminando con il più classico dei classici: la sonda anale.
Volendo trovare qualche riferimento estetico, è impossibile non citare quel capolavoro di “Mars Attacks!“, di cui Destroy All Humans! sembra quasi essere la trasposizione videoludica.
Il titolo fa continuamente rimando ai tanti b-movie degli anni ’80 sugli extraterrestri, senza ovviamente dimenticare casi come l’incidente di Roswell e la tanto famigerata Area 51 (presente nel gioco col nome di Area 42), o riferimenti cinematografici più recenti come “Man In Black” (di cui gli agenti della Majestic sono una chiara riproposizione).
Il gioco è ambientato nell’America degli anni ’50, anni in cui il maccartismo imperava e la paura di un attacco comunista poteva quasi essere toccata con mano. Ebbene, quel periodo di caccia alle streghe è stato parodizzato come meglio non si potrebbe, ponendo in essere dei modelli poligonali che esaltano tutti i luoghi comuni di quegli anni: dal redneck ottuso alle casalinghe bigotte, passando per agenti segreti tutt’altro che furbi e finendo con sindaci bugiardi, capaci di tirare in ballo comunisti e città rivali per nascondere le loro magagne.
Sotto questo aspetto, il lavoro Black Forest Games ha reso ancor più giustizia al titolo originale, donando una veste grafica con texture e modelli poligonali più definiti, delle cutscene che possono finalmente contare sul motion capture, ma senza toccare il comparto audio.
Dialoghi e doppiaggio, infatti, sono rimasti gli stessi del gioco del 2005, beneficiando solo di un miglioramento delle tracce audio.
Come sempre accade quando si recensisce il remake di un videogame di molti anni fa, si deve operare una distinzione tra la valutazione del gioco originale e quella del lavoro svolto dal nuovo team di sviluppo. Nel caso di Destroy All Humans!, il developer è stato capace di esaltare tutte le caratteristiche che avevano reso famoso il gioco del 2005.
La nuova veste grafica riesce a caratterizzare ancora meglio l’America degli anni ’50 e di tutte le sue contraddizioni, creando degli NPC belli e convincenti e riuscendo ad evitare cali vistosi di frame rate nelle sezioni più concitate, come gli scontri a fuoco e la distruzione a bordo del disco volante.
Tuttavia, nonostante qualche piccola incertezza tecnica (qualche pop in e calo di frame durante le cutscene), c’è da constatare quanto il gioco non sia invecchiato nel migliore dei modi.
Le sezioni stealth sono decisamente originali, ma non perdonano il minimo errore, obbligandoci a fughe rovinose ogni volta che saremo scoperti e ad ascoltare più o meno sempre gli stessi pensieri degli umani che scannerizzeremo. Il sistema di mira è ancora piuttosto grezzo, impedendoci di capire con sicurezza che cosa colpiremo, soprattutto con le armi che richiedono una maggiore precisione, rendendo le fasi tps un po’ confusionarie, anche a causa di un’IA che non brilla.
Ma quello che lascia un po’ di amaro in bocca è rappresentato dalle sfide: tante, complesse al punto giusto per impegnare ogni tipo di giocatore, ma ripetitive alla lunga. Questa sensazione è ancora più amplificata dal fatto che, al giorno d’oggi, gli open world garantiscono una profondità ed una varietà medie molto superiori.
Proprio per questa ragione, la vastità dei livelli creati da Black Forest Games fa il pari con una sensazione di vuotezza che non sempre il divertimento riesce a controbilanciare.
Diciamolo chiaramente: Destroy All Humans! è un gioco dannatamente divertente. Andare in giro nei panni del cattivissimo Crypto e sottomettere tanti “sporchi umani” al nostro volere è una sensazione impagabile, così come quella di fare ricorso a tutte le armi del nostro arsenale, facendo volare mucche, distruggendo edifici ed incenerendo qualsiasi avversario. Nonostante quanto ora detto, il gioco sente il peso di tutti i suoi anni, proponendo una formula che già all’epoca era stata superata da concorrenti del calibro di GTA San Andreas. Detto questo, se riuscirete a chiudere un occhio su questo aspetto, riuscirete a godervi un remake di pregevole fattura che, al netto di qualche imprecisione, saprà regalarvi un buon numero di ore di intrattenimento nei panni dell’alieno più cattivo che esista, e ricordandoci che essere “figli delle stelle” non sia sempre una buona cosa.
This post was published on 27 Luglio 2020 17:00
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