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Outbuddies DX | Recensione

Nikolay Bernestein è un archeologo che si ritrova nel posto giusto nel momento giusto/posto sbagliato nel momento sbagliato; dipende tutto da quanto egli ha cara la propria vita. Non capita tutti i giorni di inabissarsi nel punto più profondo di tutto l’oceano esplorato e fare una scoperta con il potenziale per cambiare per sempre la storia conosciuta.

Ecco, al nostro protagonista in Outbuddies DX è accaduto l’imprevedibile. Per motivazioni variegate si è ritrovato nelle profondità oceaniche, a diecimila metri sotto la superficie del mare a causa di una tempesta di proporzioni improponibili. Qui ha trovato però la scoperta della sua vita: la città di Bahlam, una volta di proprietà di quegli esseri che potremmo chiamare grandi antichi

Julian Laufer, il developer che in solitaria si è occupato della realizzazione di tale videogioco, ha probabilmente fatto un sacco di compiti a casa prima di mettersi a razionalizzare il concept per il suo cucciolo. Chissà quanti libri di Lovecraft e quanti playthrough di Bloodborne devono essere passati da lì all’ideazione di Bahlam.

Non divaghiamo; la città di Bahlam, i grandi antichi e tutto il resto sono accompagnati anche da una civilizzazione perduta chiamata Wozan. Questi Wozan non sono stati altro che gli schiavi perduti dei grandi antichi nel corso degli ultimi cinque millenni ed hanno trovato in te, o protagonista della storia, la chiave di volta per il loro futuro.

Lettera d’amore a Metroid.

Outbuddies DX parte con l’esplorazione, quella dura, pura e semplice. Il nostro protagonista, armato del suo drone buddy, dei suoi piedi e di una quantità esorbitante di pazienza, si metterà fin da subito all’esplorazione della città di Bahlam. Fin da subito il feeling riporta alla saga Nintendo, tra ambientazioni oscure, fascinazioni fantascientifiche ed un senso di abisso inesplorato che non lascerà mai il cervello ed il cuore del giocatore.

Il comparto tecnico fa la parte del leone qui, grazie ad un uso sapiente della pixel art e degli zoom per far gestire le situazioni del caso al giocatore. La pixel art, per quanto non dettagliatissima, ricorda moltissimo il tratto molto espressivo impiegato da Daisuke Pixel Amaya nella realizzazione di Cave Story mentre la palette di colori sembra richiamare in più frangenti le zone oscure e cavernose di Brinstar o gli abissi dei Mimiga. Anche musicalmente parlando, sebbene lontani dai fasti assoluti dei due titoli sopra citati, ci troviamo davanti ad un lavoro onesto con canzoni atmosferiche al punto giusto e melodie evanescenti che ben tratteggiano l’assurdità dei luoghi che si visitano.

Quando la color palette si fa gentile allora iniziano a comparire i colori più accesi e quelli più inquietanti. Il mondo pitturato dal solitario developer possiede quei colori impossibili e quegli accostamenti rischiosi tipici delle rappresentazioni recenti dell’orrore cosmico e tutto ciò funziona perfettamente.
Nonostante un character design (specie nei nemici) non sempre carismatico, quando Outbuddies DX prende e trascina il giocatore all’interno delle bossfight le cose diventano frizzantine, con sprite enormi, nemici abili e situazioni incredibili che si mischiano in un melting pot di indomita potenza.

Di fuoco, fiamme e rotolate.

Dal punto di vista prettamente ludico le gioie invece vengono contrastate da un livello di difficoltà sopra la media, con nemici molto reattivi e con dei pattern d’attacco che richiedono riflessi fulminei.
Fortunatamente il sistema di controllo è abbastanza permissivo nella stragrande maggioranza dei casi, evitando frustrazioni inutili ed un copioso numero di improperi grazie ad una reattività notevole. Come in un metroidlike che si rispetti il nostro protagonista avrà accesso ad un buon numero di differenti armamentari con cui andare a risolvere le situazioni, tra colpi con effetti elementali, proiettili caricati ed altre mestizie.

Rispetto alle avventure di Samus in ogni caso il grosso delle differenze lo possiamo trovare in due specifici frangenti: l’importanza della schivata e l’importanza del drone.
Esattamente come in videogiochi tipo Enter The Gungeon o Dark Souls la rotolata sarà la migliore amica del nostro protagonista poiché ci permetterà di evitare i colpi nemici o gli ostacoli attraverso dei frame d’invincibilità. Colonne di fuoco, proiettili e altre mestizie di questo genere potranno essere tutte quante evitate attraverso l’utilizzo di tale movimento ginnico, dando un dinamismo notevole rispetto ai precedentemente citati Metroid o Cave Story.

Discorso non troppo dissimile può essere fatto per l’utilizzo del drone Buddy. Quest’ultimo sarà in grado di utilizzare abilità telecinetiche per modificare lievemente alcuni frammenti dello scenario, necessari per creare nuove piattaforme e dare modo al nostro protagonista di muoversi ulteriormente nello spazio. A questo va aggiunta la possibilità di scannerizzare le circostanze del drone o di mandarlo in esplorazione per il quadro, cosa che semplifica il raggiungimento di determinati spot e che in un certo senso aiuta il giocatore a non perdersi.

A claudicare leggermente è il level design di Outbuddies DX, piuttosto labirintico e non esattamente navigabilissimo senza dover tornare di volta in volta alla mappa di gioco. Le ambientazioni, per quanto belle e oscure, risultano molto meno leggibili di quelle di Metroid e questo non aiuta la fruizione a breve termine del gioco.

Il sistema di controllo anche ha una interessante stortura: l’associare il richiamo del drone Buddy alla pressione della direzione UP sull’analogico destro della nostra Nintendo Switch, riconsegnando poi il controllo all’analogico sinistro. Una soluzione anti-intuitiva che farà sicuramente dubitare i giocatori della loro sensazioni di controllo durante i primi minuti di gioco.
Fortunatamente questo problema è mitigato dall’utilizzo di Buddy che non è costante ed è sopratutto legato a specifici momenti di gioco, solitamente privi di nemici o in aree già ripulite per quanto possibile.

Perfettamente bilanciato, come tutto dovrebbe essere.

Per il resto Outbuddies DX funziona come un orologio svizzero ben fatto, preciso in ogni sua forma e dotato dei particolari posizionati al punto giusto. In diversi frangenti si nota l’amore e la passione promulgati dal suo autore per il genere metroidvania; si nota nel bilanciamento degli elementi, nel sistema di controllo sempre divertente e nei tanti piccoli colpi di genio che si possono osservare durante il percorso che porta il giocatore verso la fine dell’avventura.

La grande mappa di gioco avrà bisogno di minimo una decina di ore per essere esplorata in modo sommario, queste finiscono anche per raddoppiare se si punta a conoscere tutto il possibile. Outbuddies DX è un titolo che lascia alla narrativa il compito di fare da sfondo ad una vicenda che si esprime maggiormente nel gameplay, lasciando al giocatore il gusto di esplorare le macchinazioni che degli dei chissà quanto pericolosi hanno messo in piedi in tempi lontani.


Outbuddies DX è uno di quei giochi, uno di quelli su cui non scommetti niente e che poi finiscono per sorprenderti a più riprese grazie ad una combinazione di elementi inaspettati. Tanto figlio di Metroid quanto di Cave Story, il titolo in questione salta a pié pari qualsiasi velleità ruolistica per mettere in piedi un avventura tutta esplorazione, memoria muscolare, paura e orrori cosmici, complici anche le notevoli influenze lovecraftiane che si nascondono nelle viscere del cosmo.

This post was published on 18 Giugno 2020 12:00

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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