Il mondo con cui Do Not Feed The Monkeys si presenta a noi giocatori è straniante.
Vi è mai capitato di leggere davvero i tos di un qualcosa?
In Do Not Feed The Monkeys sarà necessario farlo perché il protagonista avrà deciso di aderire ad un club molto particolare.
Gli zoo sono luoghi strani dopotutto: da spettatori non facciamo altro che osservare esseri viventi in quello che crediamo essere il loro habitat naturale o in quello che ci propinano come tale. Fictiorama Studios, partendo da questo assunto, ha deciso di costruire il gameplay del suo videogioco. In Do Not Feed The Monkeys non siamo altro che spettatori al di fuori della gabbie, seduti sulla nostra sedia da ufficio di fronte ad un mouse ed una tastiera virtuale, pronti a fare zapping tra differenti proposte contenutistiche.
Le vite degli altri sono sempre le più interessanti, no?
Ecco, adesso prendetevi un videogioco che mischia l’interfaccia di un five night’s at freddys con un impianto da avventura grafica narrativa in cui il giocatore ha il compito di spiare altre persone, combattendo una sfida invereconda tra la tentazione di scoprire ogni cosa di ciò che non si è e la sopravvivenza tra cibo, affitto e regole sociali.
Avete mai dato il cibo ad uno scimpanzè?
Il gioco ci mette nei panni di un membro del primate observation club, ovvero una specie di gruppo/club/elite di persone che trova un certo gusto nell’osservare vite altrui. In questo caso le scimmie non sono altro che esseri umani. Questi vivono la loro vita quotidina e noi, da bravi osservatori patologici, non faremo altro che spiare il loro quiotidiano per il puro gusto di farlo.
Le gabbie in questo caso non sono altro che stanze: i salotti, le soffitte, le cantine non sono altro che gli habitat naturali di esseri umani esattamente come noi, con i loro bisogni ed i loro desideri. Nel nostro silenzioso osservare potremo ottenere informazioni sulle abitudini dei primati, segnandoci parole chiave da accoppiare. relazionare o cercare sul web, per un qualsiasi motivo.
La nostra fame di informazioni sarà addirittura più forte della nostra fame di sopravvivenza.
Nel mentre partecipiamo a questo folle esperimento il nostro stomaco non farà che brontolare, il nostro affitto aspetterà soltanto di essere pagato ed il nostro cervello ci implorerà per qualche ora di sonno. Non possiamo osservare i primati per tutto il giorno, dobbiamo per forza di cosa alternare questa nostra attività con il sopravvivere: sia esso l’acquisto di cibo, il completamento di piccole mansioni per assicurarci la sopravvivenza o il riposo sullo sgangherato letto che ci ha accompagnato finora nella vita.
Alla fine potrebbe anche non essere la fine del mondo se non fosse che per restare nel club c’è una postilla da considerare: ogni settimana sarà necessario aumentare il numero di gabbie a nostra disposizione pagando una cifra progressivamente maggiore, in una spirale di vizi inarrestabili.
Do Not Feed The Monkeys assomiglia pericolosamente alla vita reale: pagare sempre di più per avere sempre meno tempo per poi concludere le nostre giornate esausti dopo due mele ed un hot dog, al fine di risparmiare qualche soldino. L’orologio diventerà un nostro compagno inseparabile, questo perché vogliamo assolutamente essere sicuri di trovarci in casa una volta che l’abitante dentro la camera 7 tornerà a casa.
Vi chiederete voi che state leggendo questa recensione: ma come cavolo si fa a diventare ossessionati da figure che compaiono a schermo?
Il bello sta proprio qui: i nostri superiori nel primate observation club ci ricompenseranno con del denaro se riusciremo ad ottenere informazioni riservate riguardanti gli inquilini delle varie schermate. Cinquanta dollari per scoprire il nome del tizio che abita nella casa inquadrata nella camera 2, 150 per scoprire l’indirizzo esatto della location che possiamo vedere in camera 5 e così via.
La nostra casella email arriverà presto a saturazione a causa di queste richieste che fungono anche da traliccio narrativo. Seguendo questa scia di briciole verremo portati verso verso una vasta gamma di finali più o meno interessanti.
Tanto più si procede nel gioco, tanto più Do Not Feed The Monkeys si rivela essere una devastante rappresentazione della nostra realtà quotidiana, dove non facciamo altro che lottare contro l’orologio che ci corre addosso.
L’ansia legata al gameplay di Do Not Feed The Monkeys non farà altro che crescere in modo esponenziale fino allo scegliere cosa sacrificare: meglio patire la fame, patire il sonno, perdere la casa o farsi cacciare dal club?
I nostri desideri finiscono dove inizia la nostra sopravvivenza?
Una cosa che fa decisamente sorridere è il come Do Not Feed The Monkeys sia un gioco particolarmente atipico che se per sbaglio fa click nel cervello del giocatore finisce per appropriarsene senza se e senza ma. L’opera della software house spagnola sembra far leva su alcune delle caratteristiche cardine dell’umana specie e raggiunge picchi di grande tensione emotiva e di indefinibile curiosità.
Un esempio perfetto può essere rappresentato dal percorso che ci porterà alla risoluzione dei misteri che ci auto suggeriamo. Il nostro spirito voyeuristico si sentirà infinitamente soddisfatto dalle volte in cui riusciremo a capire un dettaglio prima manchevole o da quando, origliando casualmente una conversazione, otterremo il tassello mancante per fare una ricerca su internet.
Il complesso ecosistema realizzato dagli sviluppatori non finisce mai per stupire, tanto sono stati raffinati durante il periodo di ideazione. Alle volte ci sarà anche concesso di abbattere la regola principe del club e ci verrà data la possibilità di interagire con le scimmie del caso, con chiamate, regali o altre cose. Questo ci metterà in cattiva luce agli occhi del club, ovviamente, ma ci permetterà per la prima volta di ottenere un qualche tipo di riscontro umano dagli esseri che visioniamo con tanto amore e tanta passione. Il nostro coming-out da stalker potrebbe non avere sempre gli effetti desiderati.
Tutto questo ben di dio, tutto questo guazzabuglio di idee geniali dopo due anni dalla primissima release è approdato su Nintendo Switch con risultati tutto sommato onesti.
Se dal punto di vista tecnico possiamo soltanto essere molto felici dello stile artistico impiegato aka una pixel art ad alta risoluzione, con personaggi carini, riconoscibili e inquietanti, dal punto di vista della fruibilità forse qualche domandina in più ce la facciamo.
Il titolo fortunatamente è giocabile anche attraverso il touch-screen della Nintendo Switch (cosa che ha fatto fare, a me che scrivo, i salti di gioia) perché altrimenti sarebbe stato necessario subordinare il cursore all’analogico, senza moltissime chance di personalizzazione tolta la sensibilità dello stesso.
Nello specifico avremmo apprezzato infinitamente un valore personalizzabile per lo snap, per l’aggancio del cursore alle varie icone; ciò avrebbe semplificato di molto la fruibilità del gioco in sé e per sé ma a conti fatti poco importa sul peso complessivo dell’opera.
L’unico vero altro difetto che ci sentiamo di segnalare riguarda forse l’assenza di una specie di modalità libera con la quale dare sfogo a tutto il proprio voyeurismo.
Do Not Feed The Monkeys ha la brutta abitudine di giungere alla conclusione quando si riesce ad ingranare perfettamente la marcia, obbligandoci a non sfruttare tutti i ritmi acquisiti e le conoscenze memorizzate. La presenza di una modalità per così dire libera aiuterebbe il giocatore a poter ottenere il massimo risultato dalle risorse guadagnate durante l’esplorazione del titolo.
Do Not Feed The Monkeys, anche su Nintendo Switch, è certamente qualcosa da provare e gustare. Il titolo è un adventure game atipico, in grado di innestarsi nella parte più recondita del cervello umano e di giocare con il nostro inconscio molto meglio di quanto faccia la concorrenza. Il titolo è rigiocabile, con qualche problemino dovuto al sistema di controllo e con delle situazioni (come l’endgame) che potevano essere gestite meglio snaturandone un po’ l’essenza. Il nostro consiglio è quello di prendere e giocarci poiché è difficile pentirsi dell’avventura che vi state preparando a vivere.
Ricordatevi di coprire con lo scotch le telecamere che avete in casa, piuttosto.
This post was published on 18 Giugno 2020 14:00
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