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The Last of Us Part II | Recensione | Il lungo addio a PS4

The Last of Us Part II PlayStation 4 Code Available Now“.

Mi hanno sempre detto che le parole hanno un enorme potere; nel mio caso, ne sono bastate poco più di dieci per stravolgere la noiosa routine post quarantena.

Ero sveglio, non si trattava dell’ennesimo tentativo di phishing; alla fine, era arrivato il giorno: Sony aveva bussato alla mia porta, concedendomi di essere uno dei pochi che avrebbero recensito il gioco più atteso del 2020.

In quel preciso istante, capii una cosa: avevo un lavoro improbo da svolgere. The Last of Us Part II non è un gioco qualsiasi, e ciò che avrei dovuto scrivere non sarebbe quindi potuto essere l’ennesimo pistolotto super professionale, in cui si snocciolano dati, numeri, pareri, come se si stesse parlando di un videogame preso dal cassone delle offerte del Lidl.

Un avviso ai naviganti: in questa recensione sentirete parlare poco di dati tecnici e molto di emozioni, le MIE emozioni.

Cosa ha questo sequel da raccontare? Cosa c’è ancora da scoprire del mondo di gioco? È possibile superare un capolavoro? E, se si, in che modo? È esattamente da queste domande che è partita la mia personale esperienza nell’opera di Neil Druckmann e soci.

Come già anticipato nell’anteprima pubblicata qualche giorno fa, la preoccupazione principale, mia e di tutta la redazione, è quella di offrirvi una recensione completamente priva di spoiler, preservando l’impagabile piacere della scoperta.

Vendetta chiama vendetta, sangue chiama sangue

Un nuovo viaggio in ciò che rimane degli Stati Uniti.

Riassunto delle puntate precedenti: una mattina dell’ennesimo, tetro giorno di un’America post apocalittica, un burbero e barbuto contrabbandiere di nome Joel si imbarca nella più singolare delle missioni: gli viene chiesto di condurre una ragazzina, Ellie, praticamente all’altro capo del paese, perché potrebbe essere l’unica speranza per la salvezza dell’umanità, o di ciò che ne rimane.

Joel ancora non lo sa, ma quel viaggio lo cambierà per sempre, conducendolo ad una sua personale redenzione e restituendogli almeno un briciolo di speranza nel domani.

E vissero per sempre felici e contenti? Ma niente affatto!

In tutti questi anni, Joel ha cercato di (ri)costruire la sua vita, facendola ruotare attorno alla sua “figlia adottiva”, ma basando questo nuovo inizio su una piccola, grande bugia. Con questa menzogna, il nostro eroe ha contratto un debito con la verità, ed i debiti prima o poi vanno onorati.

E così, di punto in bianco, il passato viene a bussare alla sua porta, ricordandogli chi è, cosa ha fatto, ed esigendo il pagamento di ciò che è dovuto, senza lesinare sugli interessi.

La tranquillità di Jackson (l’avamposto già visto nel gioco precedente, diventato oramai una vera e propria città) viene improvvisamente sconvolta da un evento drammatico che travolge tutto e tutti, un sassolino che, rotolando giù per la collina innevata, scatenerà una valanga di eventi in rapida successione, tutti accomunati da un filo rosso sangue: la vendetta.

Ellie viene letteralmente strappata alla sua vita, fatta di tutti i problemi di una ragazza della sua età, e scaraventata nuovamente in un mondo che conosce fin troppo bene, scoprendo di trovarsi quasi a suo agio nella spietata violenza che lo avvolge.

Da questo momento ha preso piede il mio lungo viaggio tra le terre sconvolte dell’America post apocalittica, tra infetti sempre più numerosi e pericolosi e con delle fazioni altrettanto letali.

Volti nuovi e “vecchie conoscenze”

Ellie è cresciuta, ed ha tanti nuovi amici.

Voi non lo sapete, ma io vi vedo: so che cosa state pensando. Avete letto qualche leak qua e là sulla trama di gioco, vi siete fatti la vostra idea e siete arrivati fin qui soltanto per sentirvi dire “si, avete ragione“: The Last of Us Parte II è veramente tutto qui! Il titolo del momento è l’ennesima e semplice “strada verso la vendetta“! E invece no, avete miseramente fallito!

Quella che ho vissuto (e che vivrete anche voi) è una storia di donne, uomini, padri, madri e bambini, le cui esistenze sono state sconvolte da una perdita dolorosa, e The Last of Us Parte II parla di come loro hanno reagito al lutto, votando le proprie vite alla violenza, scoprendo che il prezzo da pagare è enorme e perdendo la propria umanità e tutto ciò che hanno a cuore.

Dovrete farvene una ragione: questo non è un God of War in salsa zombie. Mi spiego meglio: la vendetta è il punto di partenza scelto sia da Santa Monica che da Naughty Dog, ciò che cambia è il modo in cui essa viene sviscerata.

Kratos è un personaggio monolitico, che non cambia di una virgola e non arretra di un millimetro rispetto al suo fine ultimo, che consiste nel porre fine all’esistenza di coloro che gli hanno distrutto la vita. Anche Ellie inizia la sua avventura con queste premesse, ma scoprirà presto che l’essere umano non è fatto di pietra, e che il rischio di trasformarsi in ciò che si odia è altissimo.

L’essenza di The Last of Us Part II non è quindi il raggiungimento dell’agognata resa dei conti, ma il viaggio che si compie verso di essa, scoprendo quanto sia insensata, crudele e, soprattutto, quanto non sia una soluzione al problema.

A narrarci questa storia di rabbia non sono dei maestrini ingiacchettati, con la loro morale da due soldi, con un’etica new age e con delle frasi a effetto degne dei Baci Perugina, ma delle persone in “carne ed ossa“.

Neil Druckmann ha selezionato un cast di personaggi estremamente vario, molto più vasto di quello visto in The Last of Us. Mi sono bastati pochissimi istanti per capire che nessuno di loro è un santo: tutti portano delle cicatrici che non si chiuderanno mai, ognuno di essi ha le mani sporche di sangue, ma questo basta a definirli delle bestie? C’è qualcuno di voi che ha forse la presunzione di conoscere la sottile linea che divide l’odio dall’amore?

Nel corso della mia avventura, ho visto Ellie compiere degli atti efferati di cui non la credevo capace, falciare vite come spighe di grano, ho visto la sua fronte sempre più accigliata ed i suoi occhi sempre più ferini ed iniettati di sangue. Non vi nascondo di essere arrivato, in alcuni momenti, addirittura a detestarla. Tuttavia, nonostante le atrocità, non ho mai realmente smesso di provare compassione per lei e per tutti i suoi compagni di avventura.

I tantissimi flashback di cui è costellato il gioco rendono chiaro il passato di ogni singolo attore in scena, facendomi capire esattamente qual è stato il momento in cui hanno perso l’innocenza, straziandomi i timpani con le loro urla di dolore, ma invitandomi a non giudicarli mai: perché sono dei sopravvissuti e, per sopravvivere ad una catastrofe di quella portata, spesso si deve scendere a compromessi.

Ellie non sarà l’unica protagonista di The Last of Us Parte II. Ancora una volta, Naughty Dog ha rifiutato di imboccare la strada più comoda, rinunciando ad una trama “a senso unico“, con lo scopo di abbattere ogni certezza del giocatore.

Più passavano le ore, più tutto mi era chiaro: gli sviluppatori si sono spinti lì dove pochi osano, mettendo in discussione anche ciò che è più caro a chi gioca: il protagonista stesso. Questa scelta autoriale mi dato la possibilità di vedere i “buoni” dal punto di vista dei “cattivi” e viceversa, rivelandomi quanto queste categorie siano degne di un boomer annoiato.

Avevate messo Joel ed Ellie sul piedistallo? Bene, sappiate che li farete scendere in pochissimo tempo e questo è solo l’inizio.

Quando videogame, cinema e serie tv si uniscono

Naughty Dog non ha perso il suo tocco e la sua direzione artistica.

Allora forse non ci siamo capiti: io vi sento! Sento benissimo che, dopo neanche aver letto il titolo del paragrafo, sta già partendo lo stornello: “ecco qua, ancora la solita storia dei videogiochi che diventano film e dei film che diventano videogiochi! Ma noi vogliamo sparare, non vogliamo guardare i film!“. Questa volta, mio malgrado, devo darvi ragione… in parte!

Molti videogame che miravano ad abbattere la barriera rispetto alle produzioni hollywoodiane finivano per diventare dei film interattivi, con il 90% degli eventi scriptati e con un gameplay ridotto all’osso.

Tuttavia, se sentirete mai qualcuno estendere questo concetto anche a The Last of Us Parte II, avrete la sicurezza di essere in presenza di una persona che non conosce minimamente ciò di cui sta parlando.

Ciò che Naughty Dog aveva mostrato con quella gemma di Uncharted 4 è stato portato ad un nuovo livello. The Last of Us Part II trasuda cinema da ogni singolo pixel, le inquadrature sembrano opera del più consumato dei registi, i giochi di luce, le ombre, le citazioni, i colpi di scena, tutto va nelle stessa direzione: innalzare il giocatore a vero protagonista della vicenda.

Sotto questo aspetto, anche quel “Parte II” che troviamo scritto nel titolo non è casuale. Non si tratta di una menata radical chic degna di un politico baffuto che, di tanto in tanto, esce fuori dal suo sarcofago di naftalina offrendoci il Santo Graal, ma è una scelta ben ponderata. La sensazione che ho avuto è stata quella di trovarmi di fronte non al più classico dei sequel, ma al secondo atto di un’unica, grande storia che giunge al suo tragico epilogo.

Ma in tutto questo cinema, c’è spazio per il gameplay? Certo, giovani padawan! Come vi spiegherò a breve, sopravvivere non sarà affatto semplice, e richiederà nervi saldi ed un mano ancora più ferma. Ciò che sorprende è quanto lo stesso gameplay sia al servizio della trama, annullando qualsiasi calo grafico tra cutscene e sezioni giocate, ed azzerando qualsiasi tempo di caricamento tra le varie aree di gioco, garantendo continuità ed immersività difficilmente eguagliabili.

Un mondo di gioco ancora più vasto ed esplorabile

Le zone esplorabili sono molto più vaste di quelle del precedente capitolo.

Padre, chiedo perdono perché ho molto peccato: non ho giocato The Last of Us al suo lancio.

Per motivi dovuti alla precarietà delle mie risorse economiche, ho potuto recuperare il titolo non più di 3 anni fa, su Playstation 4. La sensazione di trovarmi davanti ad un lavoro di immensa caratura era innegabile, come altrettanto innegabile era l’amaro in bocca lasciatomi dai limiti tecnici imposti da Playstation 3, tra cui senza dubbio spiccava l’impossibilità di esplorare ogni singolo centimetro della world map.

Che senso aveva creare un mondo così intrigante se poi non potevi spolparlo fino in fondo?

Sotto questo aspetto, Naughty Dog ha compiuto un nuovo miracolo. The Last of Us Part II è enorme, molto più di quanto non lo fosse il suo predecessore, e decisamente più esplorabile. Non è un open world, il che significa che, ancora una volta, non potremo entrare in tutti gli edifici e non potremo muoverci liberamente, ma non è forse un bene?

Oramai sembra quasi che un videogame, per essere considerato degno di esistere, debba possedere le caratteristiche di un open world. Spesso però si perde di vista l’obiettivo e il tutto si traduce in un mondo sconfinato dove, se è vero che si può rivoltare ogni singolo sasso, è anche vero che si incontrano personaggi piatti come una tavola da surf e si svolgono attività che rasentano il nulla più assoluto. So che non vorreste sentirlo, ma io ho l’obbligo di dirvi la verità: open world sta purtroppo diventando sinonimo di contenitore vuoto.

È quindi veramente un male, nel 2020, dare vita ad un videogame in cui si è liberi all’80%? Assolutamente no, specie se quell’80% è realizzato a regola d’arte come in TLOU2.

Ogni singolo rudere in cui sono entrato, alla ricerca di munizioni e risorse, non aveva niente di lasciato al caso, e quasi mi è stato possibile ricostruire la vita di chi ci abitava semplicemente osservando l’arredamento. Per quanto riguarda invece gli spazi aperti, le tappe del mio viaggio (Wyoming, Seattle, Washington, ecc.) mi hanno portato in ambienti all’apparenza sconfinati, tutti diversi tra loro, pieni di segreti da scoprire e di “attori silenti“.

Gli attori principali, infatti, non sono gli unici a delineare i contorni del mondo di gioco. Nel corso della mia avventura, ho letto una miriade di documenti e messaggi, e vi ho trovato le paure, i sogni e le speranze dei loro autori; mi sono imbattuto nei cadaveri e negli scheletri di chi non ce l’ha fatta, provando pena per il loro destino; i tanti easter egg nascosti mi hanno strappato un sorriso; ho avuto modo di parlare con vari NPC e di “spiarne” la vita. Ognuno di questi tasselli va a comporre un mosaico di incredibile bellezza, incastrandosi alla perfezione senza mai risultare stucchevole e banale.

Ma c’è di più: ogni texture sembra quasi avere una sua storia da raccontare, sia essa un lavello incrostato, una macchia di sangue sulla parete, dei personaggi non giocanti che svolgono le loro attività quotidiane o anche delle libellule che volano in una radura.

Nelle circa 30 ore che mi sono servite per arrivare ai titoli di coda, ho vissuto tante emozioni diverse e spesso contrastanti, facendomi conquistare dall’atmosfera di un mondo sconvolto dalla crudeltà, di cui però già sento la mancanza e che, non lo nascondo, avrei voluto esplorare in maniera più approfondita.

Ma forse questo è solo il desiderio di un giocatore incontentabile.

Gameplay rinnovato e “sfiancante”

Come sempre, dovrete vedervela tanto contro gli infetti, quanto con le fazioni dei sopravvissuti.

Come recitava la tagline di un grande film “Nello spazio, nessuno può sentirti urlare“… ma qui siamo con i piedi saldamente piantati a terra, e anche il minimo rumore può trasformarsi in un urlo a squarciagola.

Come da tradizione, il gameplay di questo secondo capitolo va nella stessa direzione del primo: sopravvivenza ad ogni costo. E sopravvivere significa anche imparare quante più abilità possibile grazie agli integratori che raccoglieremo, potenziare le armi grazie agli ingranaggi, e fare dello stealth la propria ragione di vita.

Ovviamente, non sono mancate le volte in cui sono stato costretto a dare fuoco alle polveri ma, come già si verificava in The Last of Us, la coperta sarà sempre troppo corta. Ogni singolo proiettile ha un valore enorme, non ho mai avuto il lusso di avere i caricatori pieni, né tantomeno quello di lamentarmi dell’abbondanza di risorse (questo al livello di difficoltà standard), e tutto ciò ha innegabilmente influenzato il mio approccio al gioco.

Se appartenete alla categoria di coloro che affermano che un videogioco che aspira a diventare film ha poco gameplay, leggendo le righe che seguono capirete quanto avevate torto.

Il titolo Naughty Dog non è un gioco per speedrunner, perché sarete nelle stesse condizioni in cui si trovava l’Italia nei due conflitti mondiali: con obiettivi enormi ed un numero insufficiente di risorse per raggiungerli. Proprio per questa ragione, l’esplorazione è un obbligo.

Spieghiamoci, potrete sempre andare dritti per la vostra strada, fregandovene di tutto e di tutti, nessuno ve lo impedirà, ma probabilmente vi perdereste la vera essenza del gioco, e altrettanto probabilmente vi ritrovereste presto indifesi, con il Game Over come diretta conseguenza.

A proposito, cosa c’è di nuovo in agguato in questa Parte II? Uno dei “pericoli nuovi di zecca” è rappresentato dai segugi, che potranno fiutare il vostro odore e localizzarvi in men che non si dica, obbligandovi così a spostarvi di continuo.

Va da sé che i cani non saranno da soli, ma sempre in compagnia dei loro padroni e di un consistente numero di nemici. Rimanere nascosti, quindi, sarà ancora più difficile, e sbarazzarvi del “migliore amico dell’uomo” sarà spesso il primo passo verso il tanto agognato “lavoro pulito”, anche se non necessariamente il più facile.

Sul “versante infetti” sono da registrare delle new entry, e c’è da annoverare il miglioramento complessivo dell’IA nemica e del potenziamento degli Stalker. Avevo già incontrato questa varietà di infetti nel gioco precedente, e ne ricordavo perfettamente l’aggressività, il passo felpato e, soprattutto, la capacità di sfuggire alla percezione del mio personaggio.

In questa Part II, gli Stalker potranno spuntare addirittura dalle “f*ttute pareti“! Vi faccio un piccolo esempio: mi trovavo in uno stabile abbandonato, con un vero e proprio “rave party” di infetti al suo interno, tra cui spiccavano ben due Bloater (gli infetti più corpulenti e capaci di deflagrare in un’esplosione di spore). Avevo pianificato ogni mossa, mi avvicino lentamente ad un Clicker immobile e… BAM! da un ammasso di funghi sul muro vicino sbuca uno Stalker che mi afferra e, con i suoi rantoli, attira i suoi compagni di merende.

Tutti i miei piani erano saltati in un solo istante, rendendomi cibo per infetti e facendomi perdere qualche anno di vita con un solo jumpscare.

Quanto ora detto non è però fine a sé stesso, ma si allinea perfettamente con il feeling che l’opera vuole comunicare: calare il giocatore nei panni di un sopravvissuto, facendo capire cosa si prova ad essere costantemente in pericolo ed alla base della piramide alimentare. Un’esperienza di gioco talmente pregna di situazioni e pericoli da risultare quasi sfiancante e che spesso mi ha costretto a delle pause forzate.

Una direzione artistica sopra le righe

Una cavalcata finale carica di pathos.

Una trama magistrale, un comparto tecnico eccellente ma al servizio della narrazione, un’esperienza di gioco immersiva come praticamente nessun’altra, una colonna sonora da brividi: a The Last of Us Parte II non manca niente di tutto questo.

Ma qual è l’ingrediente segreto, quel quid pluris capace di far emergere un’opera e di ergerla a paradigma della sua generazione? La direzione artistica.

Nel corso del gameplay, sono stato testimone non solo del dipanarsi di tutta una serie di eventi, ma della stessa evoluzione dei personaggi che si alternavano sulle scene. Ognuno di essi finirà col rivestire un ruolo importante quanto quello di Ellie, spesso subendo le conseguenze delle sue scelte.

Con questi personaggi mi sono avventurato in sotterranei inondati, in spazi angusti, in palazzi abbandonati, per poi vedere la luce in fondo al tunnel che indicava la fine provvisoria dei pericoli, e che spesso accompagnava i momenti più dolci dell’intera vicenda, controparte dell’ombra che invece suggeriva l’approssimarsi di quelli più crudi.

A tal proposito, è bene avvertire i benpensanti e gli “allergici al sangue”: The Last of Us Part II è un gioco violento, molto più violento del suo predecessore. Ogni singola morte è esasperata, riportando con dovizia di particolari emorragie, fratture, smembramenti ed altre amenità.

Nel corso dell’avventura, mi sono reso conto di quanto la vita umana valesse poco, tra esecuzioni sommarie, torture e vendette. Questa violenza non ha avuto il solo scopo di inorridirmi, ma ha rappresentato il veicolo ideale per trasmettere un messaggio forte: il passo da vittima a carnefice è brevissimo.

Come già sottolineato in precedenza, la narrazione mette in mostra le luci, le zone d’ombra, i dubbi, le (in)certezze di ogni personaggio, e saranno proprio queste ultime a spingerlo a commettere gli atti più feroci. E neanche il giocatore è al sicuro! Quegli atti di violenza sono stato anche io a perpetrarli, premendo i tasti su un pad spesso pesante quanto un macigno, e facendomi tornare in mente la frase del professor Harold Monroe di Cannibal Holocaust, quando si chiedeva chi fossero in realtà i veri cannibali.

Ma in questo caso, Monroe non avrebbe avuto dubbi: i sopravvissuti sono i veri cannibali. Sono loro il pericolo principale dell’America post apocalittica, e le armi più letali del loro arsenale non sono le pistole, ma le loro scelte, le loro convinzioni, i loro dogmi ed i loro “fini superiori“, per cui sono disposti a distruggere ogni ostacolo, anche se questo significa compiere stragi in piena regola.

Man mano che la spirale scenderà verso il basso, è stato sempre più difficile per me fare i conti con il sangue che mi lordava le mani, ho persino parteggiato per i nemici di Ellie, nonostante anche loro avessero alimentato la catena dell’odio alla base di tutto.

Tuttavia, la grandezza della direzione artistica messa in piedi da Naughty Dog consiste proprio nella capacità di immedesimarsi nei vari personaggi: così devastati, così arrabbiati, così violenti ma, al tempo stesso, così dannatamente umani, fragili ed emotivi.

Sono tante le volte in cui mi sono schierato, in cui mi sono disgustato, e sono tante le volte in cui sono stato sull’orlo del pianto, ma forse è proprio da questi elementi che si riconosce un capolavoro.

Conclusioni finali

Già dopo le prime ore di gioco, avevo la sensazione di essere davanti ad un titolo stupendo; dopo aver raggiunto i titoli di coda, quella sensazione si è definitivamente consolidata: The Last of Us Part II è uno dei migliori videogame di questa generazione, la migliore esclusiva Sony ed il vero anello di congiunzione tra videogioco e cinema. L’opera di Naughty Dog è superiore al suo predecessore sotto ogni punto di vista, ed alza vertiginosamente gli standard a cui, da oggi in poi, qualsiasi videogame dovrà attenersi, e credetemi quando vi dico che anche solo eguagliare questo titolo sarà una sfida immensa, anche per lo sviluppatore più talentuoso. Ma The Last of Us Part II non è mero sfoggio di tecnica: è emozione fatta videogioco, è un viaggio nella parte più oscura del nostro spirito, quella di cui non parliamo volentieri e di cui forse ci vergogniamo, ma che è una delle facce che definisce il nostro essere umani, imperfetti e bellissimi al tempo stesso. La seconda parte di quest’avventura vi sconvolgerà, ma si imprimerà nella vostra memoria come un marchio a fuoco, lasciandovi in bocca quel sapore agrodolce tipico delle grandi opere dell’intelletto, quelle di cui parleremo oggi e, soprattutto, in futuro. Dare un voto a The Last of Us Part II sembra quasi un’offesa, tanto è grande e fuori scala il lavoro svolto da Naughty Dog, ma siccome una valutazione deve pur essere data, non può che essere la massima possibile. Per concludere, vorrei darvi un consiglio da giocatore appassionato quale credo di essere: gustatevi quest’avventura allo stesso modo di un liquore pregiato, lentamente, un sorso alla volta, godendovene ogni sfumatura, perché passerà molto tempo prima di poter nuovamente posare le labbra su una prelibatezza del genere.

This post was published on 12 Giugno 2020 9:02

Claudio Albero

Nasce a Torre del Greco, una piccola metropoli alle falde del Vesuvio, nei favolosi anni ’80, che già però non avevano più niente di favoloso. Provano ad educarlo con Beatles e musica classica sin dalla più tenera età, ma lui, di tutta risposta, si appassiona all’ heavy metal ed ai videogame , spendendo un piccolo patrimonio in sala giochi, quando queste due parole erano ancora slegate dalle slot machine. Dopo aver mosso i primi passi su Sega Master System II con Alex Kidd, il Super Mario con le orecchie a sventola, si innamora dei platform, degli action/adventure e degli RPG, con particolare attenzione alla saga di Final Fantasy. Inguaribile sognatore con le radici saldamente ancorate nel passato, scopre la sua passione per la scrittura quasi per caso, in uno dei tanti pomeriggi passati tra i corridoi della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, dove si laureerà giusto qualche anno dopo, con una tesi in Diritto d’Autore basata sull’opera multimediale. Dopo aver scritto di attualità e musica su Lacooltura.it , Road TV Italia e Federico TV , approda sui lidi di Player.it , in cui comincia sin da subito ad apprendere e fare domande, guadagnandosi rapidamente il titolo di “ redattore rompiscatole del mese ”. Nonostante sia legatissimo alla grande famiglia di Player, non sono rare alcune sue incursioni su portali come Gameplay Café e Spazio Rock . Musica, videogame, concerti, boardgame, modellismo, fumetti, cinema e serie tv: tanti hobby diversi tra loro, ma collegati da un fil rouge che li unisce tutti: il divertimento . È proprio questo che cerca in un videogame, è proprio questo sentimento che muove le sue dita, ed è sempre il divertimento la sensazione che cerca di infondere nei suoi articoli. Al di fuori del mondo del gaming, indossa giacca e cravatta per mimetizzarsi nel mondo degli avvocati, esercitando la professione forense, con lo scopo di conoscere a fondo le “ regole del gioco ”, nonché di minacciare di far causa a chiunque al minimo pretesto.

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